Hanno destato scalpore le affermazioni di Letizia Moratti, neo assessore al Welfare nonché vicepresidente della Regione Lombardia, circa i criteri che il Governo dovrebbe adottare per organizzare la distribuzione alle Regioni del vaccino Pfizer, in particolare l’ex sindaco di Milano ha suggerito in una lettera inviata al Commissario per la pandemia Domenico Arcuri i seguenti criteri “… le zone più colpite, la densità abitativa, il tema della mobilità e … il contributo che le Regioni danno al Pil” come si ascolta nitidamente in una registrazione audio dell’intervento in cui la Moratti illustra ai capigruppo lombardi questa sua iniziativa.
L’assessore ha poi cercato di rettificare il suo intervento e rispondendo ad una interrogazione in aula, nel corso del primo Consiglio Regionale a cui partecipava, ha affermato “… non ho mai pensato di declinare vaccini e reddito” ma che ”il Pil è un indicatore economico finanziario che attesta l’attività di una regione che, questo sì, ho detto, è il motore dell’Italia”, e quindi, ha precisato ancora, “… in questo senso questa regione ha la necessità di essere tenuta in considerazione, non parlo di piano vaccini ma di zona rossa”. Anche se le sue parole fossero state riferite alla definizione della zona rossa e non alla distribuzione dei vaccini, resta sempre di difficile comprensione – almeno mia – come si possano prendere in considerazione fattori economici come il Pil anziché motivazioni esclusivamente medico/scientifiche per l’attribuzione dei colori delle varie zone, in ogni caso la questione che voglio analizzare non riguarda cosa abbia detto o scritto l’assessore lombardo, l’audio da cui sono tratte le sue iniziali affermazioni, riportate virgolettate, è facilmente rintracciabile on line e ognuno, ascoltandolo può farsi la propria idea, ma vorrei partire da questa ennesima brutta pagina della politica italiana per svolgere qualche più ampia riflessione.
Sono mesi che assistiamo a reiterati attacchi alle Regioni del Sud e ai meridionali da parte di politici e giornalisti, “Meridionali inferiori” abbiamo sentito esternare Vittorio Feltri più volte nelle sue comparsate televisive e dalle pagine del suo giornale e in trasmissioni come Quinta Colonna, Non è l’Arena, Dritto e Rovescio, ci sono stati propinati a ripetizione i soliti luoghi comuni sui meridionali, fannulloni, incapaci, dediti solo a delinquere, furbetti e buoni solo a lamentarsi. Barbara Palombelli nel corso della trasmissione Stasera Italia ha precisato, a proposito del Covid, che se “…il 90% dei morti è nelle regioni del nord” è perché sono “… persone più ligie, che vanno tutte a lavorare” lasciando intendere che al Sud il lavoro non è gradito e comunque poco praticato. Come non ricordare le belle parole di Gianfranco Librandi deputato di Italia Viva che in un intervento radiofonico a La Zanzara di Cruciani – quel Cruciani che a suo tempo si era distinto nella difesa di Feltri e delle sue dichiarazioni contro i meridionali – esternava la sua bizzarra teoria per la quale “Gli immigrati africani sono anche più forti di noi. Fatemi vedere un migrante che è in ospedale col covid. Basta farsi un giro negli ospedali di Saronno o di Varese, non hanno niente, non vengono neppure contagiati, e questo avviene per una questione genetica. Io, ad esempio, sono calabrese (di origini, lontane evidentemente! ndr) e sono più forte. Io ho fatto il covid per un solo giorno. I calabresi sono più forti perché geneticamente resistono di più al virus sono gli africani bianchi“. L’onorevole Librandi, nato a Saronno e poi vissuto a Como, vero girovago della politica – ha militato nel Popolo delle Libertà, in Scelta Civica è poi confluito nel gruppo parlamentare di Civici e Innovatori, per poi approdare al Pd e infine, ad oggi, a militare in Italia Viva – ha teorizzato la distinzione genetica tra settentrionali e meridionali, oltre che tra africani ed europei, insomma apparteniamo a razze ben distinte aspettiamo ansiosi ulteriori sviluppi delle sue elucubrazioni che potrebbero aggiungere nuova linfa agli studi fisiognomici di Cesare Lombroso.
“Non siamo sudditi di un governo di sudici sudisti” ha tuonato pochi giorni fa da Trento Andrea Merler vicepresidente del Consiglio comunale del capoluogo trentino ed infine, solo per adesso, l’ex Rettore della Bocconi Guido Enrico Tambellini così si è espresso sul quotidiano Il Foglio: “[…] Per tornare a crescere…investire nei settori e nelle aree geografiche che sono all’avanguardia e che sono già più integrate nell’economia mondiale, facilitare la crescita delle imprese, indirizzare le risorse dove sono più produttive. Tutto ciò non è indolore. Le politiche più efficaci per avvicinare l’Italia all’Europa sono anche quelle che aumentano la distanza tra Milano e Napoli, tra aree avanzate e arretrate del Paese. […]”.
In sintesi: il Nord Italia è avanti e resti avanti, il Sud è indietro e resti indietro.
Ho elencato questa lunga e forse noiosa lista di irriguardose esternazioni nei confronti del Sud e di noi meridionali (pur vivendo a Pisa continuo fieramente a sentirmi tale) non per senso di vittimismo bensì per evidenziare, esempi alla mano, come queste schermaglie tra Nord e Sud tra settentrionali e meridionali si siano ulteriormente amplificate nel corso di questa pandemia, si tratta comunque di decine e decine di messaggi, di ore e ore di trasmissioni televisive, di migliaia di posts e meme sui social che si sono diffusi per il Paese. Qualcuno dirà che sono semplici scaramucce campanilistiche – ci sono sempre state e d’altra parte i meridionali non definiscono polentoni quelli del Nord? – ma ritengo questa affermazione superficiale e semplicistica.
Innanzitutto perché sono sempre unidirezionali, da Nord a Sud e mai viceversa e a ben guardare soprattutto dal modo in cui questa pandemia è stata gestita ci sarebbero stati ottimi motivi per criticare l’operato delle Regioni del Nord e i più grandi scandali politico-economici degli ultimi anni della storia repubblicana si collocano quasi tutti (Mose, Sanità lombarda, finanziamenti alla Lega, alle cooperative etc.) a nord del Rubicone e nei documenti della Commissione antimafia si legge più volte di come le mafie (al plurale) abbiamo profonde ramificazioni nel tessuto economico, produttivo e finanziario, del Nord.
Il particolarissimo e grave momento storico che stiamo vivendo, con tutte le difficoltà economiche e sociali determinate dal Covid 19, ha incrinato ulteriormente l’incerto equilibrio tra Nord e Sud su cui è costruito il nostro Paese e ha fatto da cassa di risonanza a problemi che si trascinano da anni, direi dalla stessa nascita dello Stato Unitario e mai risolti.
La storia e l’antropologia ci insegnano che quanto più le situazioni sono drammatiche e difficili tanto più le persone tendono a proiettare il proprio disagio al di fuori di sé (esternalizzazione) e a ricercare un comune nemico a cui attribuire la colpa del problema perchè fare fronte comune fortifica e aumenta le possibilità di vittoria.
Non vorrei, ma sono senz’altro io a pensar male, che stia accadendo, forse inconsciamente, proprio questo.
Oggi ci troviamo ad affrontare questioni e ad assumere decisioni fondamentali per il nostro futuro sia in termini di mera sopravvivenza – i criteri di ripartizione dei vaccini tra le Regioni possono concretamente migliorare per alcuni e peggiorare per altri le probabilità di sopravvivenza al virus – sia di sviluppo economico per i prossimi 30/40 anni – l’allocazione dei finanziamenti del Recovery Found sarà decisiva in tal senso. Il Nord ha dimostrato da tempo di aver ben compreso l’importanza della partita che stiamo giocando e ha messo in campo tutte le armi possibili, lecite sia chiaro, mentre il Sud sonnecchia, accontentandosi, come sempre, delle briciole in una cronica autocommiserazione che si trasforma spesso in una convinta inferiorità non solo economica ma, cosa ancor più grave, sociale e culturale che ancora oggi non si riesce a superare.
Illustrazione in copertina di Maurizio Ceccato tratta da L’espresso “ Il Sud dimenticato dalla politica” di Marco Damilano del 7 settembre 2015