Lo scorso 13 gennaio nella nuova aula bunker di Lamezia Terme si è aperto il primo maxi processo alla ‘ndrangheta calabrese denominato Rinascita-Scott.
Numeri da capogiro: 438 capi di imputazione, 325 imputati, 913 testimoni d’accusa e 58 collaboratori di giustizia appartenenti alla ‘ndrangheta, ma anche a Cosa Nostra e alla malavita pugliese, chiamati a deporre. Per altri 91 imputati il rito abbreviato inizierà il 27 gennaio. Le parti offese individuate dalla procura sono 224, ma meno di 30 si sono costituite parti civili e fra loro figurano diversi Comuni del Vibonese. Circa 600 gli avvocati impegnati nel collegio di difesa degli imputati.
La stessa sede in cui si svolgerà il processo è stata costruita ad hoc, sotto la supervisione diretta del magistrato Nicola Gratteri vero deux ex machina dell’intera azione investigativa ma anche della fase organizzativa del procedimento. Il capannone di un ex call center in disuso a tempo di record si è trasformato in una moderna aula bunker “C’è il massimo della tecnologia disponibile – ha spiegato Gratteri – c’è la possibilità di fare 150 video collegamenti in contemporanea e può contenere oltre mille persone a distanza di sicurezza contro il Covid”, in modo che la pandemia in corso non si trasformi in un ostacolo alla celebrazione del processo.
Oltre ai membri delle cosche ‘ndranghetiste attive fra Vibo Valentia e Catanzaro, nel novero degli imputati per associazione mafiosa figurano personalità politiche di spicco come l’ex senatore di Forza Italia Giancarlo Pittelli e l’ex consigliere regionale del Partito democratico Pietro Giamborino. Anche in Germania, Svizzera e Bulgaria sono stati arrestati un ex senatore, un capo della polizia, consiglieri locali e uomini d’affari accusati di favoreggiamento a dimostrazione di come le cosche calabresi siano ormai ben agganciate con la politica ad ogni livello e con alcune logge massoniche coperte. Perché, come ha spiegato Gratteri, ‘ndrangheta e massoneria interagiscono tra loro «in una logica di mutuo soccorso, in una perfetta sinergia si toccano, si parlano e fanno affari per interessi. Una aiuta l’altra mettendo a disposizione il suo know how, la sua rete di rapporti e una serie di strumenti che si completano». Proprio queste relazioni esterne «portano la mafia lontano dai suoi territori d’origine, e rappresentano il capitale sociale che fa crescere l’organizzazione». Questa inchiesta è importante, ha continuato Gratteri “… percomprendere l’evoluzione della ‘ndrangheta, che non fa solo estorsioni e usura ma che tesse rapporti con la pubblica amministrazione, con i cosiddetti colletti bianchi”.
Il processo è il frutto della azione investigativa svolta in 11 regioni italiane tra il 2016 e il 2019 dalla Procura distrettuale antimafia di Catanzaro e che ha fatto emergere gli stretti legami tra mafia, politica ed economia che hanno trasformato la ‘ndrangheta in una rete globale, portando all’arresto nel dicembre del 2019 di centinaia di sospetti nell’area di Vibo Valentia controllata principalmente dal clan Mancuso.
Insomma l’avvio di un processo per il quale ci saremmo aspettati titoli in prima pagina e invece vi è stata una scarsa attenzione da parte dei media nazionali e della classe politica con il solo Nicola Morra presidente della commissione parlamentare antimafia, ad essere presente nel giorno dell’avvio del procedimento.
Ma la cosa sicuramente più importante che questa inchiesta prima e il processo ora sta determinando in Calabria è un vero e proprio cambiamento del clima sociale nei confronti della lotta alla ‘ndrangheta. Già all’indomani della maxi retata del 2019 una folla colorata ed eterogenea composta da più di mille persone si era radunata per le strade di Vibo Valenza in maniera spontanea grazie al tam tam sui social per esprimere “vicinanza e gratitudine agli uomini e alle donne dello Stato che quotidianamente sono in trincea per l’affermazione dei principi della legalità e della democrazia nel nostro territorio” come si leggeva in un comunicato allora diffuso dai partecipanti alla marcia e pochi giorni dopo, il 18 gennaio 2020 si era replicato a Catanzaro con migliaia e migliaia di adesioni. In quella occasione lo stesso Gratteri tramite lo scrittore e fondatore del Movimento 24 agosto Equità Territoriale, Pino Aprile inviò un sentito messaggio di ringraziamento alla piazza: “La vostra presenza indica sete di giustizia, sentita e non gridata o sbandierata. È solidarietà testimoniata anche con la presenza fisica” e ancora, “in Calabria e non solo, stiamo vivendo un periodo in cui la gente è disorientata e non sa più a chi rivolgersi e in chi avere fiducia. Auguriamoci che il risveglio delle coscienze porti tutte le agenzie educative a lavorare, con maggiore impegno, per promuovere una nuova cultura che, tra l’altro, abbia il coraggio di denunciare il male e riportare fiducia in tutte le Istituzioni”.
Ecco la vera novità che si registra in Calabria grazie all’azione di Gratteri e che potrebbe davvero segnare un passo decisivo nella lotta alle cosche ‘ndranghetiste, un cambio di passo da parte della società civile, che acquista la consapevolezza di voler essere attore, al fianco delle Istituzioni e non semplice spettatore nella lotta alla ‘ndrangheta. Un cambio culturale nella società civile come arma per scardinare il sistema malavitoso, era quello che già Giovanni Falcone dichiarava indispensabile in una sua intervista alla rivista Meridiana: “Un’opera di risanamento non avverrà senza la partecipazione attiva dei siciliani ….Quando si dice che bisogna insistere sulla educazione delle giovani generazioni, intervenire nella scuola, progettare il riscatto delle classi subalterne, credo che si dica proprio questo”. L’educazione alla legalità che coinvolga in primis i giovani è l’importante lascito di Giovanni Falcone di Paolo Borsellino e di quanti sono morti sotto i colpi della mafia.
Senza un sussulto convinto e diffuso da parte della società civile e soprattutto dei giovani non può esserci un serio argine alla malavita, e questa lezione deve essere di monito anche per la nostra città (Foggia) e per l’intera Capitanata.