Nel corso della seduta dei lavori della “Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale” dello scorso 16 giugno 2021 il Ministro per il Sud e la coesione territoriale, Mara Carfagna è intervenuta sullo stato di attuazione e sulle prospettive del federalismo fiscale, anche con riferimento ai relativi contenuti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR).
Il ministro ha ricordato che “… la nostra Costituzione (art. 117 ndr) impone di garantire e riconoscere a tutti i cittadini le principali prerogative connesse al diritto di cittadinanza, come il diritto a ricevere un’istruzione e un’educazione sin dalla prima infanzia, il diritto a ricevere cure, assistenze sociali per le persone fragili o il diritto alla mobilità” e questo principio si realizza “… in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale (con) il rispetto dei LEP (livelli essenziali di prestazione) e delle funzioni fondamentali concernenti i diritti civili e sociali. La mancata definizione per legge, dopo tanti anni, di queste disposizioni costituzionali ha indebolito il principio di uguaglianza e ha anche vanificato le potenzialità virtuose di un processo di federalismo fiscale. È sotto gli occhi di tutti che in Italia le persone non godono degli stessi diritti e, dunque, delle stesse prospettive per il futuro, che invece sono fortemente condizionate dal luogo di nascita o dal luogo di residenza. Nascere al Sud è diventato una sorta di peccato originale, che viene scontato attraverso un minore accesso a diritti fondamentali come l’istruzione, la sanità o la mobilità.
La Corte dei Conti ha spesso evidenziato questa criticità, ha ricordato la Carfagna, “…. stigmatizzando nei fatti la grave ricaduta sui cittadini della mancata definizione dei LEP. Infatti, non possiamo negare che oggi il calcolo dei fabbisogni standard dei Comuni altro non fa che ricalcare il vecchio principio della spesa storica a danno in primis dei Comuni del Mezzogiorno.”
Il Ministro ha poi elencato alcuni dati che evidenziano la disomogeneità della ripartizione dei finanziamenti tra Nord e Sud del paese: “… la spesa sociale del Sud è molto più bassa che nel resto d’Italia: 58 euro annui pro capite contro una media nazionale di 124 euro. Le isole, trainate dalla Sardegna, toccano i 122 euro pro capite, il Nord-ovest si attesta a 133, il Centro a 137 e il Nord-est a 177. Come ho detto prima, evidenzio il dato del Sud a 58 euro pro capite”.
In buona sostanza un comune del Sud ha dallo Stato centrale risorse da spendere per i propri cittadini notevolmente inferiori rispetto ad un Comune del Nord-ovest, in barba ad ogni criterio di equità e di opportunità sancite dalla Costituzione. Poche risorse, che forse si spenderanno anche male, ma questo non giustifica il dato che esistano delle macroscopiche disparità come è incontrovertibilmente certificato dagli impietosi numeri presentati dal Ministro.
Abbiamo voluto commentare queste affermazioni del Ministro Carfagna, che sembrano essere un “cahiers de doléances” per il Sud Italia, con il Senatore Saverio De Bonis, che ha sempre posto le tematiche dello sviluppo del Mezzogiorno al centro della sua attività politica.
Senatore de Bonis come valuta le parole della Ministra Carfagna circa la mancata attuazione dei LEP e quali sono le sue considerazioni su questo argomento?
Il tema dei LEP, a cui si affiancano quello della spesa storica e dell’Autonomia differenziata sono sul tavolo della discussione politica da anni. Era stata la Lega ad introdurre questo argomento nel lontano 2001 quando si definì la revisione del Titolo V della Costituzione che istituiva il federalismo fiscale con l’obiettivo di dare maggiore autonomia alle Regioni e alle Amministrazioni locali. In realtà però non si è mai giunti ad una definizione dei LEP perché la loro attuazione avrebbe inciso in maniera sostanziale sulla ripartizione delle risorse economiche destinate agli Enti locali, e questo avrebbe favorito i territori del Sud Italia. Questo spiega perché le decisioni sono state rimandate e l’argomento accantonato dalla Lega e dai partiti che hanno sempre avuto a cuore gli interessi del Nord.
È giusto che il ministro Carfagna si esponga con parole chiare e definitive, ma io rimango scettico e perplesso circa la reale possibilità di giungere ad una definizione dei LEP e a una ripartizione equa dei finanziamenti, e quanto avvenuto nei mesi scorsi, conferma questa mia convinzione.
A cosa si riferisce, senatore De Bonis?
Alla definizione dei criteri utilizzati dal Governo Draghi per la ripartizione dei finanziamenti del PNRR che non hanno rispettato i criteri indicati da Bruxelles. Se siamo in Europa e il regolamento comunitario ha fissato dei criteri vincolanti con i quali sono stati ripartiti i soldi del Next Generation EU (in Italia rinominato Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ndr) che valgono su tutto il territorio europeo, questi dovrebbero essere gli stessi utilizzati dai singoli Stati per ripartire i finanziamenti. In Italia si è deciso di fare diversamente e i progetti che vedono coinvolto il nostro Mezzogiorno riceveranno finanziamenti che complessivamente si attestano a meno del 40% del totale. Se avessimo tenuto conto dei criteri di ripartizione previsti dall’Europa sarebbero stati molti di più.
Senatore De Bonis lei è membro della 9° Commissione permanete Agricoltura e produzione agroalimentare. Le previsioni di Coldiretti parlano per la Capitanata di una produzione del grano duro in calo di circa il 30-35% ma di un’ottima qualità del prodotto, che è ritenuto il miglior grano duro al mondo. Il prezzo che però viene riconosciuto ai nostri produttori non riesce neanche a coprire i costi di produzione. Come mai? I contratti di filiera, sono la strada giusta da seguire oppure c’è qualcos’altro?
Noi abbiamo già incardinato un affare assegnato al Senato, per analizzare le dinamiche del mercato cerealicolo e gli aspetti tossicologici correlati ed è un lavoro che va avanti da un paio di anni. E’ uno strumento di consultazione, di audizione aperto che ho voluto attivare proprio per monitorare in un lasso di tempo più ampio le dinamiche del settore cerealicolo. Questo comparto è uno dei tanti mercati agricoli, forse tra i più importanti, che maggiormente risente della mancanza di politiche nazionali. Paradossalmente il grano duro d’Italia, per quanto sia attenzionato dall’Europa, ha perso, nel corso degli ultimi vent’anni, quella funzione propulsiva di reddito nei comuni rurali. Una volta gli agricoltori che producevano grano erano ricchi, compravano, investivano, diversificavano in ambito aziendale e gli investimenti agricoli erano il vero fulcro della ricchezza dei comuni rurali, soprattutto nel foggiano nel beneventano, in Basilicata e in Sicilia. Io ho dedicato molte energie dal punto di vista professionale, sindacale e adesso anche in qualità di politico per analizzare, comprendere questo fenomeno di depauperamento delle nostre campagne e ho le idee ben chiare su cosa si dovrebbe fare per invertire la rotta.
Senatore, il Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, ha sancito il via libera al PNRR italiano, con la consegna in Conferenza stampa, a favore di telecamere e fotografi, della famosa busta gialla a Mario Draghi che conteneva il parere favorevole della Commissione. Ormai la partita è chiusa?
Non penso possa essere considerata chiusa definitivamente. Ci sono state una serie di segnalazioni che abbiamo fatto all’Unione Europea, al Presidente della Commissione, al Parlamento Europeo proprio per evidenziare i criteri di riparto adottati dall’Italia, e non è da escludere che si possa adire anche le autorità giurisdizionali. Sebbene l’Europa non abbia espressamente vincolato gli Stati membri a rispettare i criteri che essa stessa ha adottato per la ripartizione dei fondi tra i vari paesi, violare i criterio fissati dal regolamento comunitario non è un aspetto secondario, in quanto un regolamento si distingue da una direttiva perché è immediatamente vincolante e obbligatorio. Se gli allegati al regolamento prevedevano dei criteri precisi adottati per l’attribuzione dei fondi è in base a questi che l’Italia ne ha ottenuta la parte più consistente. Io credo che l’Europa ci chiederà di documentare gli obiettivi e gli indicatori prefissati dalla Commissione e bisognerà dimostrare, per ottenere i finanziamenti, di averli raggiunti e allora il tema dei criteri adottati per l’attribuzione interna delle risorse, tornerà al centro dell’attenzione pubblica. Se anziché investire al Sud, continuo ad investire al Nord come si ridurrà la disoccupazione che è prevalente nel nostro Mezzogiorno? Come si ridurrà la disoccupazione di genere e quella generazionale che sono tra gli obiettivi che l’Europa ci impone di raggiungere se non investiamo al Sud dove queste disparità sono maggiormente presenti? Finanzio altre autostrade al Nord anziché preoccuparmi di portare un treno ad alta velocità da Taranto a Palermo, ad esempio. L’Europa controllerà con degli indicatori che certificheranno il raggiungimento degli obiettivi prefissati e il raggiungimento degli step intermedi previsti, e se questi non si raggiungeranno si potrebbe mettere a repentaglio la rendicontazione degli stati di avanzamento dei progetti e addirittura determinare la restituzione dei finanziamenti già ottenuti. Su tutto questo ho l’impressione che si stia scherzando un po’ troppo. Abbiamo la convinzione che possa essere sufficiente per ottenere i fondi che arriveranno da Bruxelles la presenza di un premier come Draghi che è stimato in ambito internazionale e che diventa il garante dell’intera operazione. Ma in ambito europeo fanno testo solo i numeri e le carte e se un altro Paese dell’Unione, ad esempio l’Olanda che già in passato ha espresso pareri negativi sulle politiche italiane, dovesse ritenere, sulla base dei report di spesa, che si stanno bypassando gli obiettivi che si è data l’Europa, tutto l’impianto del nostro PNRR potrebbe essere messo in discussione. Austriaci, olandesi, spagnoli tutti ci guardano con attenzione e aspettano un errore da parte dell’Italia. Gli altri Stati dell’Unione sono pronti a prendere le risorse a noi destinate qualora non dovessimo saperle spendere nel rispetto delle regole comunitarie. Non è tanto la reazione del Sud che può inficiare il buon andamento del PNRR, quanto quello dei nostri competitor dell’Unione Europea e secondo me i meccanismi di distribuzione delle risorse così come sono stati concepiti dal nostro governo presteranno il fianco a un mancato raggiungimento degli indicatori previsti.
Se Lei fosse Ministro dell’Agricoltura quali sarebbero i primi interventi in ambito cerealicolo che metterebbe in campo?
Mi concentrerei sul versante dei controlli e del mercato, due aspetti irrisolti e non troppo considerati, a mio avviso. Partiamo dalla necessità di intensificare i controlli. In questi anni abbiamo dimostrato che esiste un problema di qualità legato all’utilizzo di sostanze tossicologiche nel prodotto cerealicolo e abbiamo anche dimostrato che questo aspetto incide direttamente sulla determinazione del prezzo del grano, le cui quotazioni risultano falsate. In pratica vengono immessi sul mercato italiano ingenti quantitativi di grano coltivato non si sa esattamente dove e di qualità decisamente inferiore al grano prodotto in Italia. Proprio recentemente abbiamo denunciato strane triangolazioni di carichi di grano che arrivano in Italia su navi panamensi ma la cui origine probabilmente è canadese e tutto questo avviene in concomitanza dei periodi di raccolta. La mancanza di controlli genera due problemi diretti: falsa i listini dei prezzi e consente l’introduzione di merce che potrebbe essere stata coltivata con prodotti chimici non idonei per i parametri comunitari ed italiani in particolare. Siamo stati al Tar e al Consiglio di Stato e abbiamo dimostrato che i listini erano falsati. Ad esempio c’erano dei giustificativi di acquisto di grani esteri di qualità non ben definita che andavano ad alterare il corso delle quotazioni nazionali. Tutto questo ha comportato l’annullamento di 2 anni di listino della Borsa Merci di Foggia, con gravi conseguenze per il reddito del mondo agricolo meridionale, senza che l’ex ministra Bellanova abbia detto alcunché.
Nel corso della storia da quando è stata istituita la borsa merci con il decreto Regio del 1913, mai si era verificato l’annullamento di un listino delle materie prime di qualsiasi categoria. Il nostro sospetto ha quindi ottenuto l’avallo anche dei tribunali ed è stata una vittoria che costituisce un primo punto fermo nella vicenda della determinazione del prezzo del grano. Un secondo punto a favore lo abbiamo ottenuto sempre nei Tribunali dimostrando che esiste una sorta di annacquamento del grano nazionale con il grano straniero con un prodotto finale di minore qualità. Ovviamente questi magheggi si ripercuotono poi sulla qualità del prodotto finito, la pasta in primis, che in alcuni casi può risultare contaminata da sostante tossicologiche. Sono verità scomode e non gradite dai grandi marchi che producono pasta in Italia e per questo siamo stati attaccati, ma i tribunali hanno dimostrato che non era nostra intenzione diffamare nessuno bensì solo tutelare i consumatori ai quali stavamo semplicemente dicendo “Fate attenzione perché tutto questo comporta anche qualche rischio per la salute”.
Quali provvedimenti ha adottato il Governo?
Nonostante le vittorie sul fronte dei Tribunali di cui ho appena parlato e alcuni pareri emanati dall’antitrust, il governo non ha ancora assunto alcun provvedimento conseguente, potremmo dire che si è comportato all’italiana. Mi spiego. Le decisioni che vengono prese sono in primis a tutela del sistema industriale che ha i suoi problemi di approvvigionamento per poter soddisfare la crescente domanda internazionale di pasta. La produzione nazionale di grano, a detta degli industriali, non è sufficiente e quindi noi dobbiamo assecondare le esigenze dei grandi produttori di pasta e fingere che tutto vada bene anche a scapito dei produttori agricoli e dei consumatori, e questo non lo posso accettare.
Cosa si può fare nel concreto, a suo avviso?
Costituire la Commissione Unica Nazionale (CUN) quale organo preposto alla determinazione previsionale del prezzo del grano per evitare commistioni con gli accordi di filiera. Se ne parla da tempo ma siamo ancora in alto mare. Non vedo il corale impegno delle associazioni di categoria e siamo al paradosso che chi dovrebbe difendere gli agricoltori purtroppo spesso è legato in vario modo proprio ai gruppi industriali, insomma non ha le mani libere per poter difendere gli agricoltori, e il ruolo dei corpi intermedi (associazioni sindacali e di categoria ndr) meriterebbe di essere approfondito. L’Italia avrebbe dovuto assumere una posizione netta sul tema delle filiere. Non possiamo accettare che chi vuole produrre grano italiano in filiera a prezzo garantito debba pure beneficiare di aiuti comunitari ad hoc. Questo meccanismo interviene a gamba tesa sul libero mercato e sulle sue regole che sono dettate dalla domanda e dall’offerta. Il produttore agricolo deve essere messo nelle condizioni di poter pianificare gli investimenti della sua azienda sulla base delle previsioni di mercato, degli scenari che si profilano e dello storico della propria azienda e del proprio territorio.
Pensare di rilanciare la coltura di Capitanata, una coltura storica come quella del grano, offrendo ai coltivatori i contratti di filiera, con aiuti ad hoc provenienti dall’Europa, non funziona. Mettere le briglie al mercato e obbligare le imprese a seguire delle regole imposte non può funzionare e spesso i produttori che vi aderiscono si scottano le mani e non accettano più questi contratti. A mio avviso, per come sono strutturati ora, i contratti di filiera non funzionano e il Governo, nonostante se ne discuta da anni, continua a proporli e questo a prescindere dal colore politico del Governo o del singolo Ministro, anche la Bellanova li ha difesi quando era al ministero dell’Agricoltura. Noi invece dobbiamo assicurare ai produttori il buon funzionamento del mercato con un tasso di trasparenza e di informazioni che possano mettere al riparo i produttori agricoli da certe pretese “monopolizzanti” che ci sono all’interno delle Commissioni che operano nel comparto e che stabiliscono i prezzi. Se vogliamo rilanciare il prodotto cerealicolo della Capitanata pugliese, della Basilicata o della Sicilia, dove produciamo il grano migliore del mondo dobbiamo essere capaci di valorizzare il prodotto e mettere il produttore al centro del sistema come ha fatto il Nord per il prosecco e per il riso.
Quindi senatore, lei afferma che a livello nazionale, non si è fatta una politica di valorizzazione della qualità del prodotto italiano, e questo vale per il grano ma anche per il pomodoro e per i tanti altri nostri prodotti di qualità. È come se non ci fosse alcuna differenza tra il grano italiano prodotto da noi nel Sud e quello che arriva dal Canada o dagli Stati Uniti?
Esattamente. Noi dovremmo puntare a un riconoscimento del nostro prodotto. È quello che dovrebbe fare la CUN introducendo una griglia di qualità che consenta di armonizzare il prezzo del grano degli Stati Uniti, Canada, Australia con quello italiano.
Bisogna definire degli standard per arrivare a determinare il grano di prima categoria, di seconda o terza categoria e, ad ognuna di queste, oltre alle caratteristiche reologiche, quali il colore, il peso specifico, la resa, le ceneri etc., devono essere presi in considerazione i livelli di contaminazione. Questo non si fa in Italia e si valuta solo il peso specifico per definire un grano. Il nostro grano è esente da problemi tossicologici grazie alla condizione microclimatica, alla posizione geografica, alla natura dei suoli, che lo rendono il grano migliore al mondo, e lo affermano tutta una serie di studi che sono stati fatti, ma non lo valorizziamo. Noi abbiamo una Ferrari e la facciamo viaggiare con la benzina agricola. Il nostro Sud è ricco di eccellenze, l’olio, il vino, il pomodoro, il grano che sono alla base della dieta mediterranea che è riconosciuta in ambito mondiale come la migliore alimentazione possibile. Ma poi scopriamo che il nostro olio è miscelato con quello nordafricano o che il grano utilizzato per la nostra pasta proviene in gran parte dagli Stati Uniti o dal Canada.
Perché tutto questo non viene fatto, senatore?
La maggioranza dei nostri politici preferisce stare al gioco di chi deve importare il grano dall’estero e deve tenere sotto controllo i costi. Nessuno, o pochi, cercano di tutelare chi produce, difende la terra e la coltiva. Diciamo che nella classe politica c’è un certo tasso di miopia che ho notato in tanti governi e ministri che si sono succeduti. Io continuerò a tenere alta l’attenzione sul tema agricolo e sulle implicazioni che questo comparto ha anche sul versante della salute pubblica e quindi sulla possibile riduzione dei costi della nostra bilancia sanitaria. E’ un argomento che meriterebbe di essere approfondito.