Il racconto di Giovanni Cataleta
Mancavano tre partite alla fine del campionato di serie B 1963/64: la promozione sembrava davvero a un passo. Il Foggia era in testa con 46 punti insieme al Varese, seguito da Cagliari 45 e Padova 43. I rossoneri erano attesi da un doppio impegno esterno (Alessandria e Varese) e dalla gara conclusiva allo Zaccheria contro il Venezia. Allo stadio Moccagatta di Alessandria c’era un gran numero di tifosi rossoneri e sembrava di giocare in casa. L’undici dauno affrontò un’avversaria con l’acqua alla gola in un clima da autentica corrida. I rossoneri passarono in vantaggio dopo tre minuti con Oltramari, ma furono raggiunti subito su rigore. L’Alessandria mise poi la partita sul piano della rissa con interventi intimidatori che l’arbitro non sanzionò adeguatamente. In quelle condizioni ambientali i Satanelli tentarono di reagire giocando al calcio ma fu tutto inutile. I piemontesi andarono a segno altre due volte con Bettini e i dauni riuscirono solo ad accorciare le distanze con Valadè, perdendo 3-2.
Dopo la sconfitta in Piemonte, il Foggia scivolò al terzo posto, con tre punti di vantaggio sul Padova nel giorno in cui il Varese di Ettore Puricelli brindò matematicamente all’approdo in serie A. Sette giorni dopo, il 14 giugno 1964, nel penultimo turno di campionato, erano in programma Varese-Foggia, Padova-Monza e Udinese-Cagliari. A Masnago Lazzotti e compagni trovarono un’atmosfera di festa: banda dei bersaglieri, caroselli di macchine e camioncini con gigantografie dei protagonisti della promozione. Tutta la città si strinse intorno ai propri beniamini in un pomeriggio segnato nel libro d’oro del club biancorosso. I foggiani, dopo l’amaro pomeriggio di Alessandria, cercarono proprio a Varese il punto decisivo per staccare il biglietto per la serie A.
La cronaca di quella partita fu vissuta a Foggia quasi in diretta, in un’affollatissima piazza Cavour, dove “La Gazzetta del Mezzogiorno” organizzò un collegamento telefonico diffondendo ogni quarto d’ora aggiornamenti sulle partite di Varese, Padova e Cagliari attraverso alcuni altoparlanti posti sul palazzo della redazione di via Scillitani. La partita di Varese iniziava alle16.30, ma un’ora prima la piazza era già colma di tifosi entusiasti. Fra la gran folla c’ero anch’io: avevo 11 anni e con mio fratello Giorgio seguii quello che si rivelò un appuntamento storico per la città. I primi flash gridati dagli altoparlanti non erano positivi: il Varese passò in vantaggio con Traspedini, il Cagliari perdeva a Udine e lo scontro tra Padova e Monza era sull’1-1. Però con quei risultati, anche in caso di sconfitta il Foggia avrebbe conseguito la matematica promozione in serie A. Ma c’erano da giocare ancora 45 lunghissimi minuti. In piazza Cavour la folla aumentava. Altri tifosi arrivarono da tutte le zone della città, invadendo tutto il viale XXIV Maggio fino alla Stazione ferroviaria. Nel successivo aggiornamento da Varese fu comunicato il raddoppio dei lombardi, ancora con Traspedini e il provvidenziale gol del Monza a Padova. Il profumo di serie A si fece più intenso. La fontana del Sele era pronta ad accogliere i tifosi festanti. Dopo qualche minuto il Foggia accorciò le distanze con Oltramari su passaggio di Nocera e il gol fu accolto da un boato di gioia, ma erano i risultati dagli altri campi a far tremare i tifosi dei Satanelli. Ogni rumore dei microfoni della “Gazzetta” faceva tremare d’ansia i tifosi: erano brividi di paura con attese interminabili in attesa di conoscere le novità. Mancavano 25 minuti alla fine della partita e i ragazzi di Pugliese si lanciarono all’attacco ma le conclusioni di Nocera, Lazzotti e Oltramari furono parate dal portiere Lonardi. Non ci fu nulla da fare: il Foggia uscì sconfitto 2-1.
A Varese al fischio finale pacifica e festosa invasione di campo dei tifosi biancorossi. L’allenatore foggiano Pugliese dopo aver seguito in piedi tutta la partita, entrò in campo e invece di andare verso lo spogliatoio si mischiò alla folla. Dalla sua postazione di fronte alla tribuna centrale cercò con lo sguardo i suoi giocatori e mise le mani sul viso, per nascondere le lacrime andando verso il sottopassaggio. Sugli spalti c’erano migliaia di tifosi foggiani arrivati a Varese da ogni parte del Nord. Rimasero impietriti per la delusione e restarono ai loro posti: il grande sogno di festeggiare a Varese la promozione sembrava svanito all’improvviso. Anche Rinaldi e soci rientrarono a testa bassa negli spogliatoi: non restava che attendere il risultato di Padova-Monza con i brianzoli in vantaggio 2-1. Con quel punteggio il Foggia, pur sconfitto, avrebbe potuto festeggiare, con un turno d’anticipo, lo storico sbarco in serie A. La grande ansia durò fino a quando la radio confermò che il Padova aveva perso. Piansero di nuovo Pugliese e Nocera, con Faleo, Gambino, Rinaldi e Patino, questa volta erano lacrime di gioia. Scoppiò il finimondo: grida, abbracci fra dirigenti, allenatore, calciatori e giornalisti. Tutti erano al settimo cielo, Oltramari e compagni non si resero conto subito della straordinaria impresa che avevano compiuto. Saltarono tappi di champagne, volarono gavettoni e la baldoria durò a lungo. Nocera disse: “Sono pazzo di gioia. Finalmente siamo in serie A. Non ci credo ancora. Abbiamo sudato tanto per questa promozione!”. Il Mago, raggiante, gridò: “È fatta! Alla faccia di tutte quelle malelingue che hanno sputato sentenze e invettive contro giocatori e società!”. Il Foggia tagliò il traguardo vittoriosamente con 90 minuti di anticipo insieme a Cagliari e Varese. Anche i sardi erano alla prima promozione in serie A.
La notizia della promozione arrivò a Foggia tramite l’altoparlante posto sul palazzo dell’Acquedotto Pugliese. La gioia dei tifosi esplose incontenibile in una città in cui si respirava calcio in ogni angolo. Tuffi nella fontana del Sele fra lacrime di gioia. Ricordo abbracci fra amici e sconosciuti con bellissime scene di allegria scatenata. Sembrava un miracolo. Chi poteva credere che quel gruppo arrivato due anni prima dalla C, facesse questo exploit? Al centro e in periferia i negozi erano già addobbati con i colori rossoneri e con le foto dei protagonisti di quel miracolo sportivo. La maggior parte delle strade erano imbandierate e avevano festoni da un lato all’altro delle vie. La città, da sempre innamorata del pallone, andò in Paradiso e festeggiò per tutta la settimana. In quel caldissimo pomeriggio del 14 giugno del 1964 scesero in strada tutti: si guardavano increduli e si abbracciavano. Anche chi non era mai andato allo stadio, si mischiò alla folla entusiasta. Capì in fretta di trovarsi di fronte a una pagina importante della storia della città e di tutta la Capitanata. Intanto, a Varese, il gruppo foggiano partì in pullman per Milano e andò a cenare in un ristorante vicino la Stazione Centrale. Lì continuarono i festeggiamenti: camerieri originari della Capitanata, tifosi infiltrati, giornalisti e curiosi riempirono il ristorante. Pugliese, Rosa Rosa, Nocera e Gambino furono i più festeggiati. La grande e rumorosa combriccola dauna trasmetteva un’allegria contagiosa. A capo tavola il presidente cercò di contenere l’entusiasmo ma non ci fu nulla da fare. I cronisti cercavano soprattutto Nocera che fu ancora decisivo durante la stagione. “Ho segnato meno dell’anno scorso – disse – ma l’importante è che siamo stati promossi!”. Don Mimì, da buon padre di famiglia, guardando in continuazione l’orologio, ammonì i più ruspanti della cricca. “Ragazzi, è tardi! Volete perdere il treno?”. I suoi inviti caddero nel vuoto e la maggior parte dei giocatori si attardò nel ristorante. Il più euforico di tutti era però don Oronzo che raccontò con foga e passione ai giornalisti i tanti capitoli gustosi della sua vita in panchina e di quanto avesse sudato e faticato per raggiungere la massima divisione. “Dovevamo essere promossi già un anno fa – disse – ma io fui squalificato per sei giornate dopo la gara contro il Verona. Fui vittima di un clamoroso malinteso con l’arbitro De Robbio. Entrai di corsa in campo per mettere pace fra i litiganti che discutevano animatamente e lui pensò che volessi aggredirlo”. Anche la sedia del ristorante, come la panchina, per il Mago di Turi scottava. Era sempre in piedi, si sbracciava, scambiava una battuta con il cameriere e abbracciava tutti con gioia. Il presidente fece segno ancora all’orologio. “Pazienza don Mimì – rispose il mister – prenderemo il prossimo treno”. La mattina seguente alle 6.50 alla Stazione di Foggia un gruppetto di fedelissimi aspettò gli eroi di Varese. Nonostante l’ora c’erano sostenitori entusiasti ad accogliere i Satanelli. Nocera e Oltramari appena a terra furono portati in trionfo. Assieme a loro arrivarono anche Rinaldi e Patino. Il resto della comitiva, attardatosi a festeggiare nel ristorante a Milano, perse il treno. Fu il primo festoso abbraccio dei tifosi foggiani con i propri beniamini. Dopo la straordinaria accoglienza da parte dei tifosi, Nocera fu preso d’assalto dai cronisti e con le lacrime agli occhi per l’emozione disse: “È una grande soddisfazione per me arrivare in serie A con il Foggia che ha sempre creduto in me. La gioia che ho nel cuore è immensa, impagabile e certamente non l’avrei provata trasferendomi alla Juventus l’estate scorsa. Ora voglio giocare in serie A con il Foggia e vivere questa splendida avventura”.
Il resto della comitiva arrivò in città dopo le 10 con il treno successivo. Ad attendere il convoglio al quinto binario c’era, questa volta, una folla enorme. Una marea di tifosi tributò ai giocatori un omaggio caloroso. La Stazione fu bloccata dai sostenitori foggiani, tutti muniti di bandiere, striscioni, cartelli, fischietti, trombe e cappellini rossoneri. I calciatori riuscirono a fatica ad arrivare dal sottopassaggio nel piazzale Vittorio Veneto e furono portati in trionfo. C’erano anche il presidente Rosa Rosa e il mister Pugliese. Ad accogliere la comitiva c’erano i giovani della squadra “De Martino” con il loro allenatore Peppino Pozzo, in partenza per Teramo per disputare un torneo juniores. Anche le vie del centro furono paralizzate, da viale XXIV maggio a piazza Cavour. I festeggiamenti durarono senza sosta e in società arrivarono centinaia di telegrammi e messaggi di congratulazioni da altri club e vecchi giocatori. La città era tutta imbandierata, i negozi esponevano le foto degli eroi di una provincia intera. Per dirigenti, allenatore e calciatori arrivarono moltissimi inviti per premiazioni, feste, incontri con autorità e tifosi. In questo clima di euforia ed entusiasmo, Pugliese non perse però di vista gli impegni del campo: c’era da onorare con serietà l’ultima gara di campionato, quella casalinga contro il Venezia. ”Faremo il nostro dovere di sportivi – disse – con lealtà e correttezza senza concessioni di sorta. E poi, domenica è il giorno in cui la Capitanata festeggerà un traguardo mai raggiunto”. I veneti scesero in Puglia motivatissimi per conquistare il punto-salvezza e con il proposito di giocare con il coltello fra i denti. L’incontro cominciò alle 16.30, ma già due ore prima lo stadio era pieno come un uovo con entusiasmo alle stelle. Squilli di tromba, rullare di tamburi, il vecchio Zaccheria era tutto colorato di rossonero e ribolliva di passione. C’era di tutto: diversi calciatori salirono insieme a Pugliese su un carretto trainato da cavalli, muli o forse asini, che fece il giro di pista fra cori, risa e schiamazzi. Il corteo passò sotto curve e gradinate e sul cocchio don Oronzo apparve molto agitato. Non si capiva se si stesse abbandonando a una danza sfrenata, oppure con quel mulinello delle braccia cercava di ripararsi da qualcosa. Dagli spalti pioveva in campo di tutto: fiori, bandierine e altri oggetti. Quando il corteo tornò stremato davanti alla tribuna, finalmente si scoprì da che cosa don Oronzo cercò di ripararsi: erano dei confetti che lo colpirono sulla fronte e sul viso, duri e pungenti come sassi. Scese dal crocchio sbraitando come un ossesso e il fazzoletto con cui si asciuga il viso e che appare punteggiato di rosso spiegò il perché della sua furia: era stato confettato a sangue!”.
Sulla pista di atletica dello Zaccheria continuarono sfilate e cortei di tifosi con carretti, lambrette, furgoncini, bandiere e stendardi di ogni tipo. A Paolo Lazzotti, centrocampista della formazione, fu consegnato il premio “Stadio 1964”, quale miglior giocatore della serie B. Poi, targhe, medaglie e applausi per tutti. C’era anche la banda cittadina che intonava il ritmo brasiliano del cha-cha-cha. Qualche minuto di gloria toccò anche ai giovani allievi del Nagc di Vittorio Eronia, fra i quali c’ero anch’io, con un giro di pista sventolando bandierine rossonere. Prima dell’incontro i calciatori veneti offrirono ai colleghi foggiani, come dono per la promozione, 11 gondole veneziane in miniatura. Il Venezia partì determinato per raggiungere il proprio obiettivo e dopo nove minuti si portò in vantaggio con Salvemini. I Satanelli scesero in campo storditi dalla grande gioia per l’impresa compiuta: molti di loro erano con la testa già in vacanza e non riuscirono a chiudere in bellezza la stagione. La loro reazione si scontrò con la giornata di grazia del portiere Bubacco, autore di diversi interventi decisivi. Nel dopogara Nocera confessò: ”L’euforia ci ha dato alla testa e annebbiato le idee. Abbiamo mollato un po’ e il Venezia ne ha approfittato”. Fu quella l’unica sconfitta in casa, tra l’altro arrivata dopo 14 mesi d’imbattibilità interna in 22 gare allo Zaccheria. Nessuno ci fece caso: la gioia per la promozione in A era troppo grande.
Di Giovanni Cataleta