Tutolo, le catene e la politica nel 2021

Fosse vissuto ancora ai giorni nostri, Giovanni Guareschi avrebbe sicuramente tratto ispirazione per un suo racconto dalle gesta di Antonio Tutolo da Lucera, il sanguigno consigliere regionale di maggioranza (ma molto poco allineato) della seconda Amministrazione Emiliano. 

Il “physique du rôle” all’irruente deputato foggiano – già Sindaco di Lucera dal 2014 (rieletto nel 2019 a furor di popolo) – di certo non mancherebbe per assurgere al ruolo di protagonista di una delle serie ideate dallo scrittore-fumettista padano e portate sul grande schermo dal regista Julien Duvivier (ma anche da Carmine Gallone e Luigi Comencini). Un Giuseppe Bottazzi di Capitanata, non certo comunista e rivoluzionario come il celeberrimo “Peppone” magistralmente interpretato dal compianto Gino Cervi, ma piuttosto populista e reazionario come nell’indole del suo autore, anche se “sotto sotto” bonaccione e d’animo nobile come il Sindaco baffuto di Brescello.  

Non ce ne voglia l’ex primo cittadino dell’incantevole borgo federiciano, ma proprio nel suo carattere fumantino, nel suo eloquio stridulo ma fluente, nella sua gestualità e nell’uso oculato del dialetto lucerino sta tutto il fascino e la notorietà di Tutolo, più che nella sua politica o in una sua memorabile azione di governo, anche se tanto si è speso, e con risultati evidenti, per i suoi amministrati. Sicuramente molto amato dai concittadini per aver dato nuovo slancio al paese alle pendici del castello svevo-angioino (e di rimando a tutto il Subappennino Dauno), il neoeletto deputato regionale è balzato agli onori della cronaca proprio all’esplodere della prima ondata pandemica, con le sue ormai leggendarie e solitarie dirette Facebook dall’ufficio del Palazzo Comunale nel quale rimase barricato e stravolto per intere settimane. 

Ogni politico di rango è passato alla storia per un gesto, una frase, un commento. Così se Giuseppe Garibaldi è ricordato a Teano per l’”Obbedisco” sul più famoso telegramma del Risorgimento, J. F. Kennedy per il famoso “Io sono berlinese” ai piedi del muro più sinistramente famoso d’Europa e Nikita Kruscev a New York per una scarpa sbattuta con violenza contro un tavolo al Palazzo di Vetro dell’ONU, Antonio Tutolo (non sembri irriguardoso) è diventato famoso per il “petrosino” [prezzemolo ndr] il cui incauto e superfluo acquisto è stato da lui contestato con veemenza, in un video divenuto ormai virale sul web, ad una ipotetica massaia lucerina che incautamente a tal fine violava le restrizioni Covid di cui l’allora Sindaco si era dichiarato strenue difensore. Nell’armamentario mediatico di Tutolo, in parte dono di natura, in parte evidentemente frutto di una caratterizzazione attentamente studiata, c’è tutto il repertorio teatrale (quasi da romanzo d’appendice) del politico di razza di periferia, per l’appunto alla “Peppone”. Populista e popolano allo stesso tempo, tanto da farsi appoggiare, fra le altre, da una lista civica il cui nome era tutto un programma: “La Pagnotta”.

Sta di fatto che l’esperienza di sindaco in prima linea contro il Covid, e l’inaspettata notorietà conquistata grazie alle sue clip sui social, lo ha convinto che fosse giunto il momento di uscire dai confini comunali, laddove già godeva della fiducia di quasi i due terzi degli elettori, per dismettere gli abiti da primo cittadino e andare a portare a livello regionale le sue istanze a tutela di un territorio, quello appunto del Subappennino Dauno, non certo al centro dell’attenzione delle politiche del governo pugliese. 

Così, dopo una campagna elettorale anch’essa sui generis, condotta strada per strada e a contatto con gli elettori, si è ritrovato nel Parlamento Regionale all’interno dell’ampia maggioranza di Michele Emiliano, ma non per questo perdendo la pugnacità che lo ha caratterizzato nei suoi anni alla guida del Comune di Lucera. Proprio il ritorno dell’emergenza Covid 19 lo ha riportato in auge con esternazioni che ne hanno confermato la particolarità, comunque la si pensi, a confronto di una classe politica ormai sempre più appiattita sul conformismo, l’ovvietà, la prevedibilità, oltre che sulla pochezza di idee dopo aver abbandonato anche gli ideali. Memorabile il suo “j’accuse” in diretta contro gli addetti al numero verde regionale delle emergenze pandemiche, quando minacciò di andare a trovare i centralinisti e – diciamo così – fare piazza pulita degli arredi dell’ufficio qualora non si fossero trovati pronti e solerti a rispondere alle istanze degli utenti, fino all’uscita clamorosa di pochi giorni fa in occasione della Pasqua quando, catene alla mano, si è legato per protesta ai cancelli della Regione Puglia chiedendo che anche da noi agli anziani e ai derelitti ricoverati per Covid e messi in isolamento fosse data la possibilità di essere assistiti, o quantomeno confortati, da una visita di un parente o di un amico premuroso (cosa già possibile con una delibera ad hoc in altre Regioni come la Toscana). Un gesto eclatante, alla Marco Pannella per intenderci, con tanto di Digos che va a contestarlo in diretta mentre arringa i suoi followers da Facebook, figlio di un tempo in cui la politica era fatta da personaggi più che da facce o da imbonitori da talk show. 

Nessuno, tantomeno noi, può sapere fino a che punto Antonio Tutolo “ci è o ci fa” in queste sue manifestazioni da capopopolo, fino a che punto, anche inconsciamente, il personaggio abbia preso il sopravvento sull’uomo politico. Di certo queste sue battaglie sono condivisibili, perché mutuate da esigenze reali, banali ma concrete, di una popolazione che sta vivendo esterrefatta una crisi sanitaria ed economica mondiale senza precedenti e, forse, senza avere una classe dirigente attrezzata per farne fronte al meglio. Non amiamo la politica fatta da uomini soli al comando, da leaderismi che svuotano i contenuti stessi della democrazia, ma proprio quando la politica lascia questi spazi vuoti, queste promesse disattese, questa improvvisazione nell’affrontare le necessità primarie della popolazione che emergono gli individualismi. E fino a che questi fenomeni portano alla luce figure “alla Guareschi” come Tutolo, bonario portavoce di istanze assolutamente condivisibili, va ancora bene, ma in un Paese viziato dall’anelito all’uomo forte risolutore universale delle istanze di tutti, c’è da cominciare a preoccuparsi quando serve incatenarsi per ottenere la salvaguardia di diritti costituzionalmente riconosciuti a chi ha la fortuna o la sfortuna – citando Gaber – di essere italiano.