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É una notte interminabile

28/4/2019

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​Ho dovuto cambiare i miei piani all’ultimo momento. Avevo, infatti, deciso di cominciare il racconto di questa domenica da una prospettiva diversa, piú razionale. Mio malgrado, mi trovo a dover dare la prioritá alla parte piú profonda dei miei sentimenti, costretto a dare voce al fastidio che generano alcuni igenerosi commenti. Premetto che rispetto l’opinione di tutti, come pretendo che si rispetti la mia, anche in situazioni di disaccordo. Rimango, tuttavia, convinto che sempre esiste una veritá piú convincente di altre, perché fondata su basi piú solide ed oggettive. Ho visto un professionista uscire dal campo in lacrime, con gli occhi bassi e la testa tra le spalle, in un educato fremito di dignitá, chiedendo perdono per un episodio sfortunato, che, molto probabilmente, non avrá nessuna consequenza sull’esito del campionato. Ho letto giudizi impietosi nei confronti di un professionista che oggi ha regalato novanta minuti di speranza ad una squadra molle e poco motivata e che non é stata capace di tirare una sola volta nello specchio della porta avversaria. La mancata parata di Leali non é il motivo per il quale il Foggia oggi ha perso e chiunque dica il contrario ha la coscienza sporca, zozza, nera come il catrame. Spero che questi stessi amici del Foggia abbiano la maturitá di rettificare prontamente opinioni e giudizi espressi frettolosamente.
L’ennesima partita da “vincere a tutti i costi” e con il vantaggio di giocare conoscendo il risultato degli altri. Era stato un sabato quasi perfetto, con il Livorno capace di farsi riprendere giusto sul finale ed il Venezia crollato in casa. Ancora una volta la Fortuna ci aveva voluto regalare una possibilitá. Non che ce la fossimo meritati, viste tutte le occasioni perse in corsa. Ma, deve aver pensato la Fortuna, noi siamo il Foggia ed un occhio di riguardo ci puó stare. Avevamo raccolto dodicimila anime in un lunedi di Pasqua attorno ad una squadra che aveva chiesto la vicinanza dei propri tifosi per leggittimare le speranze di una salvezza sofferta. Dodicimila persone per vedere una squadra che sprofonda nei bassifondi di un campionato mediocre. Eppure, erano lí. Oggi, ad animare quello che altrimenti sembrerebbe un corteo funebre, c’erano un migliaio di persone a portare il vessillo di una cittá. La squadra li ha ingannati una volta in piú. Ma almeno la gente di Cremona li ha omaggiati per il grande gesto di rispetto ricevuto in occasione della gara di andata. Quel rispetto che questi instancabili tifosi, degni rappresentanti di una cittá dalle grandi tradizioni, non hanno ricevuto dai propri beniamini.
Qualcuno ha parlato di una “convincente” prestazione del Foggia nel primo tempo di Cremona. A me sembra che l’impegno della prima frazione si sia materializzato nel palleggio difensivo contro una squadra che non pressava alto. Una noia mortale, buona solo per le statistiche! Nella ripresa, la Cremonese ha alzato la linea offensiva a ridosso dei nostri difensori, mettendo pressione al nostro palleggio e creando immensi problemi ad una squadra che si sgretola come neve al sole quando aumenta l’intensitá della partita. Senza giustificazioni, visto che mi sarei aspettato una squadra pronta ad interpretare la partita nella giusta maniera. Di questo passo, riusciremo a cancellare anche il rammarico per quella penalizzazione che ci ha sporcato l’anima, piú che altro.
Oggettivamente, questa squadra é piena piú di nomi che di talento, piú di ego che di buone intenzioni. Dopo 34 partite, 7 mesi, 2 allenatori, é riuscita a dimostrarsi piú forte di due sole avversarie. Non ci sono scuse, né scusanti. Un tradimento totale, difficile da prevedere per chi, in estate e come le intenzioni piú nobili, ha speso un patrimonio per ripagare l’netusiasmo infinito di una cittá intera. Non citeró nomi per non fare torto a nessuno, ma ci si aspettava ben altro da molti di loro, arrivati in Capitanata con il suono delle fanfare e adesso relegati ai margini. Alcuni per disinteresse, altri per una involuzione tattica e tecnica difficilmente prevedibile. Sembra quasi di essere difronte ad un ammutinamento.
Ho dovuto tappare gli occhi a mio figlio. Non ho voluto che vedesse questo scempio. I bambini sono facilmente impressionabili e non mi piacerebbe perdesse il sonno o, ancora peggio, cominci a svegliarsi la notte con gli incubi. Speriamo, solo, che presto torni il sole. Noi, come tante altre volte, saremo qui ad aspettarlo
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    Sergio d'Alessandro

    Sergio è un dirigente in una multinazionale nel settore industriale che oggi vive e lavora in Messico. Trova sempre il modo di seguire il Foggia, come legame indissolubile verso i suoi luoghi di origine e non perde occasione per trasmettere ai suoi figli la sua stessa passione ed orgoglio.

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