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Lacrime di coccodrillo

12/5/2019

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​Avevamo fatto un patto. Avevamo deciso di rispettare le buone intenzioni degli attori principali di questa vicenda, che a piú riprese si erano rivolti a noi tifosi e a tutta la gente di Foggia per rassicurare tutti del fatto che si era perfettamente coscienti del valore simbolico del risultato sportivo e per giurare che non sarebbe mancato l’impegno sul campo per mantenere la categoria. Abbiamo rispettato questo patto, aspettando la fine del campionato per poter esprimere un parere. Finalmente questo calvario é finito, tra le lacrime delle migliaia di tifosi che hanno fisicamente accompagnato la squadra in lungo e in largo per l’Italia e di tantissimi altri che si sono aggiunti alla marea rossonera virtualmente. Messi tutti insieme siamo davvero tanti.
La sconfitta di Verona é solo l’ultimo strazio di un campionato iniziato tra le difficoltá, proseguito come peggio non si poteva e terminato con quel ultimo profondo sospiro (le inutili vittorie contro Salernitana e Perugia) che anticipa la fine, la disfatta. L’immagine del Benetgodi giá svuotato della curva rossonera e con i giocatori distesi sul campo di gioco con le mani sugli occhi é l’immagine perfetta di una stagione maledetta. Quelle mani sugli occhi non sono, a mio avviso, un gesto di discrezione per nascondere la tristezza, ma sono invece l’ultimo stupido tentativo di non voler vedere, di non voler capire. Avrebbero, invece, dovuto guardare la curva che si svuotava. Avrebbero dovuto vedere le facce disperate di tutti quelli che, dopo un anno di chilometri, tornavano a casa senza sapere cosa ci riserva il domani. Avrebbero dovuto immaginare, ancora una volta, cosa significa essere foggiani e immedesimarsi negli stati d’animo di un popolo che, smaltita la delusione, tornerá, coem sempre ha fatto, a respirare calcio. Tanto, ne abbiamo passate di tutti i colori. Questa é solo una sfumatura in piú.
La caccia alle streghe é giá iniziata e diversi sono i candidati al rogo. Io voglio dire la mia, senza la presunzione di avere la risposta esatta. In tutti i campi ed in tutti i settori, senza eccezione, i risultati sono una cosequenza diretta delle scelte della proprietá. Funziona cosí per le aziende, funziona cosí per le societá sportive. Il risultato sportivo del Foggia non puó essere una eccezione. La famiglia Sannella ha dovuto pagare per colpe altrui (nello specifico, colpe del dottor Curci) e si é vista privare della propria libertá personale. Perdonatemi, ma credo che, quando si viene trattati come delinquenti, é necessario riordinare le prioritá ed, in questo caso, non mi sento di criticare le scelte comunicative dei due proprietari, ai quail, invece, va il mio ringraziamento per quanto fatto finora e nella speranza che, come gente di Foggia, trovino la forza per ripartire dagli errori commessi, piú forti di prima. Non trovo giustificazioni, invece, per la imprevista ed inaspettata latitanza del presidente Fares, il quale avrebbe dovuto esporsi.
Per quanto evidentemente influenti in molti aspetti della societá sportiva, né i fratelli Sannella né il presidente Fares possono determinarne i risultati nel breve periodo. La dirigenza fa scelte il cui impatto si valuta nell’arco della stagione sportiva, esattamente come succede nelle aziende. Ci si pone degli obiettivi stagionali, che siano risultati sportivi o di vendite, e si verifica l’andamento sulla base di report quadrimestrali, semestrali o annuali. Il percorso per raggiungere i target stagionali lo determinano le seconde linee, le quali se ne assumono la responsabilitá. Nel caso del Foggia Calcio, le seconde linee sono rappresentate dal DS e dalle persone che rispondono alla sua autoritá: il direttore tecnico (l’allenatore) e il team manager e lo staff medico e, a cascata, fino ad arrivare ai calciatori. Le seconde linee nell’organizzazione societaria del Foggia Calcio sono quelle che si assumono la responsabilitá di ottenere i risultati sportivi che rispondano alle strategie societarie definite per la stagione in corso.
Non é colpa della dirigenza se ieri pomeriggio né Iemmello né Galano sono riusciti a spingere in porta da due passi il pallone. A scanso di equivoci, non sto dando la colpa della sconfitta di ieri né a Pietro né a Cristian. Certo, entrambi si sono resi protagonisti di errori grossolani ed inaspettati da due come loro. Detto questo, ancora una volta a Verona, abbiamo visto una squadra abulica, estranea al ruolo che si era ritagliata nel corso dell’anno ed invece piú propensa al gioco di fioretto. Abbiamo visto il solito possesso palla, sterile, il quale ha creato una sola occasione nei primi 25 minuti, con un tiro di Kragl miracolosamente deviato. Nei successivi 10 minuti abbiamo visto i corsi verdi, con il Verona che ha preso il pallino del gioco e che in 4 o 5 occasioni si é presentato pericolosamente davanti a Leali e non siamo capitolati proprio grazie al nostro portierone. Il gol di Pietro Iemmello non é venuto da un’azione corale, non é arrivato su uno schema da calcio piazzato. Pietro ha semplicemente fatto quello che, in questa categoria, pochi sono capaci di fare: si é inventato un gol. Ci ha fatto un regalo enorme. Ci ha ricordato perché lo chiamiamo “Re Pietro”. É corso sotto la curva a sventolare la sua maglia, nonostante tutto. Eravamo salvi. Non ai playout, salvi. Perché l’imprevedibile si stava materializzando. Avevamo fatto appello alla sportivitá di Carpi e Padova, timorosi di “biscotti”. Allo stesso tempo, la Salernitana continuava la sua caduta libera. Salvi non siamo durati né 10 minuti. Perché al gol di Pietro é ritornato quell’atteggiamento spocchioso ed arrogante di una squadra che pensa di aver risolto i suoi problemi e si ritira indietro pensando che, a 30 minuti dalla fine, il Verona non avrebbe avuto una reazione. Puntualmente, é arrivato il gol avversario. Niente drammi, ci puó stare. Ma non lo hanno neanche dovuto sudare. Quello che segue sono le due occasioni madornali giá citate in precedenza ed uno scellerato intervento di Martinelli su una palla inutile che regala un rigore sacrosanto al Verona. Gli utlimi 10 minuti sono un de profundis che non vale la pena neanche commentare. Eravamo salvi, siamo retrocessi direttamente, senza neanche passare per i playout. Inimmaginabile, fino a pochi minuti prima.
E al danno si aggiunge la beffa. Quelle lacrime di coccodrillo, quelle mani a tappare gli occhi, mentre la gente di Foggia, con la sua tristezza discreta e fiera, si rimette in macchina per tornare a casa, pronta per ripartire il prossimo anno, sará quel che sará. Presenti, come sempre.
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Non esiste domani

6/5/2019

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Non é la partita della vita. Non si tratta neanche dell'ultima spiaggia o della ennesima finale. Non é una partita da vincere a tutti i costi. Niente di tutto questo. Si tratta semplicemente di un appuntamento con la Storia di una delle societá sportive piú conosciute e piú emblematiche del panorama calcistico italiano.
E' uno di quei giorni che, probabilmente, finiranno per imporsi nella memoria di questa cittá. Vada come vada, nel bene o nel male. Uno di quei giorni a cui é difficile dare un inizio temporale ben definito. Giorni come questo sfuggono completamente al controllo del tempo. Probabilmente, l'inizio di questo giorno é da ricercarsi in qualche istante immediatamente successivo alla vittoria di domenica scorsa. Immagino che molti abbiano iniziato a parlarne giá scendendo i gradini delle scalinate, di ritorno a casa dopo la gioia del successo contro la Salernitana. Per altri il tempo avrá cominciato a scandire queste interminabili 24 ore dallo scorso venerdi, alla fine della prima tranche della 37esima giornata e al realizzare che forse una flebile speranza esiste ancora.
Fatto sta che é facile immaginare che oggi Foggia sia stata una cittá surrealmente proiettata nel futuro. Il suo futuro. Quello che non offre appello. Quello che non si puó cambiare. É facile immaginare che Foggia oggi non abbia parlato di altro che dell'appuntamento con la sua Storia.
Oggettivamente, non avremmo potuto immaginare uno scenario meno favorevole. Tra noi e la Storia c'é il peggior avversario che potessimo trovare. Al fischio d’inizio tremeranno le gambe e le voci. Dovremo convivere con quella sottile paura di non essere all’altezza, di aver fatto finora meno di quello che avremmo potuto e di doverci giocare tutto, senza appello. Dovremo convivere con il timore di un’altra delusione. Una delle tante delusioni alle quali non abbiamo mai voluto abituarci quest anno. Ma basterá un tiro in porta, una parata del portiere avversario, un intervento deciso per recuperare un pallone vagante per accendere i 12,000 cuori rossoneri che questa sera prenderanno per mano la squadra. Tremeranno le gambe, si. Ma ancora piú forte tremeranno ai nostri avversari, i quali si troveranno a fare i conti con una cittá intera affamata di gioia. 12,000 voci che canteranno come una sola. 12,000 cuori che batteranno come uno.
Non c’é tempo per pensare a quello che é stato finora e quello che avrebbe potuto essere. Non c’é tempo per pensare a quello che potrá succedere domani. Non c’é piú tempo. Perché oggi non esiste domani.

Forza Foggia!
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É una notte interminabile

28/4/2019

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​Ho dovuto cambiare i miei piani all’ultimo momento. Avevo, infatti, deciso di cominciare il racconto di questa domenica da una prospettiva diversa, piú razionale. Mio malgrado, mi trovo a dover dare la prioritá alla parte piú profonda dei miei sentimenti, costretto a dare voce al fastidio che generano alcuni igenerosi commenti. Premetto che rispetto l’opinione di tutti, come pretendo che si rispetti la mia, anche in situazioni di disaccordo. Rimango, tuttavia, convinto che sempre esiste una veritá piú convincente di altre, perché fondata su basi piú solide ed oggettive. Ho visto un professionista uscire dal campo in lacrime, con gli occhi bassi e la testa tra le spalle, in un educato fremito di dignitá, chiedendo perdono per un episodio sfortunato, che, molto probabilmente, non avrá nessuna consequenza sull’esito del campionato. Ho letto giudizi impietosi nei confronti di un professionista che oggi ha regalato novanta minuti di speranza ad una squadra molle e poco motivata e che non é stata capace di tirare una sola volta nello specchio della porta avversaria. La mancata parata di Leali non é il motivo per il quale il Foggia oggi ha perso e chiunque dica il contrario ha la coscienza sporca, zozza, nera come il catrame. Spero che questi stessi amici del Foggia abbiano la maturitá di rettificare prontamente opinioni e giudizi espressi frettolosamente.
L’ennesima partita da “vincere a tutti i costi” e con il vantaggio di giocare conoscendo il risultato degli altri. Era stato un sabato quasi perfetto, con il Livorno capace di farsi riprendere giusto sul finale ed il Venezia crollato in casa. Ancora una volta la Fortuna ci aveva voluto regalare una possibilitá. Non che ce la fossimo meritati, viste tutte le occasioni perse in corsa. Ma, deve aver pensato la Fortuna, noi siamo il Foggia ed un occhio di riguardo ci puó stare. Avevamo raccolto dodicimila anime in un lunedi di Pasqua attorno ad una squadra che aveva chiesto la vicinanza dei propri tifosi per leggittimare le speranze di una salvezza sofferta. Dodicimila persone per vedere una squadra che sprofonda nei bassifondi di un campionato mediocre. Eppure, erano lí. Oggi, ad animare quello che altrimenti sembrerebbe un corteo funebre, c’erano un migliaio di persone a portare il vessillo di una cittá. La squadra li ha ingannati una volta in piú. Ma almeno la gente di Cremona li ha omaggiati per il grande gesto di rispetto ricevuto in occasione della gara di andata. Quel rispetto che questi instancabili tifosi, degni rappresentanti di una cittá dalle grandi tradizioni, non hanno ricevuto dai propri beniamini.
Qualcuno ha parlato di una “convincente” prestazione del Foggia nel primo tempo di Cremona. A me sembra che l’impegno della prima frazione si sia materializzato nel palleggio difensivo contro una squadra che non pressava alto. Una noia mortale, buona solo per le statistiche! Nella ripresa, la Cremonese ha alzato la linea offensiva a ridosso dei nostri difensori, mettendo pressione al nostro palleggio e creando immensi problemi ad una squadra che si sgretola come neve al sole quando aumenta l’intensitá della partita. Senza giustificazioni, visto che mi sarei aspettato una squadra pronta ad interpretare la partita nella giusta maniera. Di questo passo, riusciremo a cancellare anche il rammarico per quella penalizzazione che ci ha sporcato l’anima, piú che altro.
Oggettivamente, questa squadra é piena piú di nomi che di talento, piú di ego che di buone intenzioni. Dopo 34 partite, 7 mesi, 2 allenatori, é riuscita a dimostrarsi piú forte di due sole avversarie. Non ci sono scuse, né scusanti. Un tradimento totale, difficile da prevedere per chi, in estate e come le intenzioni piú nobili, ha speso un patrimonio per ripagare l’netusiasmo infinito di una cittá intera. Non citeró nomi per non fare torto a nessuno, ma ci si aspettava ben altro da molti di loro, arrivati in Capitanata con il suono delle fanfare e adesso relegati ai margini. Alcuni per disinteresse, altri per una involuzione tattica e tecnica difficilmente prevedibile. Sembra quasi di essere difronte ad un ammutinamento.
Ho dovuto tappare gli occhi a mio figlio. Non ho voluto che vedesse questo scempio. I bambini sono facilmente impressionabili e non mi piacerebbe perdesse il sonno o, ancora peggio, cominci a svegliarsi la notte con gli incubi. Speriamo, solo, che presto torni il sole. Noi, come tante altre volte, saremo qui ad aspettarlo
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Chi é causa del suo mal...

14/4/2019

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Il risultato della partita di Venezia ci lascia indiscutibilmente con l’amaro in bocca per quello che poteva essere e non é stato. Non é un retrogusto nuovo ai palati dei tifosi foggiani quest anno, intendiamoci. Comincia quasi ad essere un sapore familiare, al quale, volenti o nolenti, ci siamo dovuti abituare.
Una partita dominata in lungo e in largo dalla quale non ricaviamo neanche un punto, anche se non sarebbe servito a molto. L’ennesima occasione sprecata, l’ennesima finale persa. A questo punto, peró, con solo 15 punti in palio da qui alla fine, é ora di cominciare a tirare le somme, se non altro per essere preparati a pagare un conto che, fino ad oggi, ci potrebbe sembrare ancora troppo caro per essere vero. La sfida di Venezia, di quelle da “dentro o fuori”, ci restituisce una sentenza che pesa come un macigno: non siamo cinici, non siamo (sportivamente) cattivi, siamo degli eterni incompiuti, che peró fanno la loro figura. In altre parole, grandi giocate, grandi doti tecniche, una organizzazione di gioco che sarebbe degna di categorie superiori, ma assolutamente inadeguata per la serie cadetta. Si, perché il Venezia, squadra evanescente e, sinceramente, non adatta alla seconda serie nazionale, ci insegna che in serie B vince chi fa un gol piú dell’avversario e non importa se non hai mai tirato in porta. Importa solo fare gol. Quello che il Foggia, quest anno e a sole 5 partite dal termine di un campionato maledetto, non ha ancora capito. I fuochi di artificio di inizio gara, con quattro limpide occasioni da gol nei primi 7 minuti di gioco, non sono serviti a niente, perché ci é mancato il botto finale. Il gol, per intenderci. Il venezia, dal canto suo, a metá del primo tempo é riuscito ad affacciarsi nella metá campo avversaria in maniera continua per 5 minuti, che sono bastati per metterci paura e conquistare un rigore su una distrazione in fase difensiva. Una di quelle distrazioni che avevo giá sottolineato dopo la commovente vittoria contro lo Spezia, ma che, nell’entusiasmo e nella commozione del momento, nessuno aveva voluto riconoscere. La partita contro la squadra ligure era una finale da vincere a tutti i costi ed abbiamo rischiato di perderla. La partita con il Venezia era una finale da dentro o fuori e siamo riusciti a perderla. Niente di nuovo, perché non é cambiato niente rispetto al recente passato. Basti ricordare la sconfitta di Pescara, solo per citarne una.
Non bastano le parole, le buone intenzioni, i proclami. Per vincere le partite serve la volontá, piú di qualsiasi altra cosa. Dispiace dirlo, ma sembra che a questa squadra manchi la volontá. Non che vadano in campo per perdere, ma l’impressione é che si sentano talmente superiori agli avversari da non riuscire ad esprimere tutto il potenziale di cui, sono convinto, questa squadra é stracolma. Probabilmente in serie A non faremmo una brutta figura, ma in serie B questa squadra sembra un pesce fuor d’acqua.
La sconfitta di Venezia non é imputabile alla penalizzazione in classifica, non é imputabile all’arbitro, non é imputabile alla mancanza di sostegno da parte dei tifosi. A mio avviso, é il riassunto perfetto della capacitá autodistruttiva di questa squadra, troppo bella ed elegante per volersi sporcare le mani. Chi é causa del suo mal pianga se stesso.
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Dolceamaro

7/4/2019

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​Una interminabile apnea. Ancora una volta, come tante altre volte quest’anno, abbiamo rischiato di ritrovarci a mani vuote, dopo un pomeriggio passato a nascondere la palla agli avversari, arrivati a Foggia consapevoli della propria forza, cosí come dell’ambiente che avrebbero trovato. Per niente ostile, ma consapevole e motivato dalla irrimandabile necessitá di una vittoria fondamentale per mantenere viva la speranza di una salvezza che avrebbe del miracoloso. Foggia ha risposto presente, ha riempito le gradinate, incurante della posizione in classifica della squadra, e creato quell’atmosfera di calcio importante che da tempo non si respirava. Ma rimangono ombre pesanti che, probabilmente, ci inseguiranno fino alla fine di questa stagione poco fortunata.
Nella gara che non si poteva assolutamente non vincere, il Foggia ha tenuto per lunghissimi tratti il controllo del gioco, senza mai rendersi effettivamente pericoloso. Paradossalmente, e come tante altre volte quest anno, é stata la squadra ligure a cambiare il corso di una partita che, altrimenti, si sarebbe comodamente avviata verso un inutile pareggio. Nel giro di pochi minuti, lo Spezia ha segnato un gol regolare ingiustamente annullato, colpito una traversa su una carambola davanti a Leali e reclamato un rigore (sacrosanto) per una parata illegale di Martinelli. Nel mezzo di tutto questo, il gol di Iemmello, su una sontuosa giocata di Gerbo. La fortuna, questa volta, non solo ci ha rivolto uno sguardo ammicchevole, ci ha proprio preso per mano. A parte questo, la veritá é che non é cambiato molto rispetto al passato. Ma forse un pó piú di fortuna é tutto quello che ci serve in questo momento.
E cosí come il risultato nasconde, a mio parere, molteplici interpretazioni, nella reazione di Iemmello al gol c’é la sintesi perfetta dello stato d’animo di una intera comunitá. Al sollievo per aver allontanato una paura troppo incombente, si aggiunge la rabbia per aver dovuto sopportare di tutto e di piú. In quegli occhi distratti ed assenti, coperti dall’abbraccio sincero dei compagni, c’é il pensiero fisso alla famiglia, ci sono i ricordi di tempi felici che sembrano ormai troppo lontani e di tempi recenti che richiamano incubi pesanti. Al tempo stesso c’é la voglia di cambiare un destino che per alcuni sembrava ormai scritto e che per noi non lo é affatto. C’é l’orgoglio di chi sa di rappresentare un popolo che ha una voglia matta di rendersi visibile a tutti. C’é tutta la nostra storia, quella educazione che ci portiamo addosso da bambini e che ti insegna a stare sempre un passo indietro agli altri, per rispetto e per eleganza. Quella educazione con la quale, da grandi, ci troviamo ad avere un rapporto conflittuale, perché ci rendiamo conto di non essere secondi a nessuno. Eppure continuiamo a portarci addosso un’etichetta che ci pesa come un fardello. Quella sensazione di dover dimostrare di valere piú degli altri per ottenere gli stessi risultati e riconoscimenti.
A voler essere pignoli, oggi ci é andata bene. Gli episodi ci avrebbero condannato, ma la sorte ci ha strizzato l’occhio. Prima o poi doveva succedere. Spero solamente che non pensiamo che oggi sia cominciato un altro campionato per il Foggia. Sarebbe un grave errore dimenticare la sofferenza e la delusione che ci hanno accompagnato fino ad oggi e che devono essere le basi sulle quali continuare a costruire un futuro che potrá essere tanto dolce cosí come tanto, ma tanto amaro. Tutto sta nelle nostre mani. Non siamo secondi a nessuno. Possiamo e dobbiamo guardare negli occhi anche quegli avversari che sembrano invincibili. Perché gli unici invincibili siamo noi, con la nostra fierezza e quella voglia incredibilmente forte di volerla gridare al mondo. 
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Supereroi sconfitti dall'incompetenza

30/3/2019

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Mio figlio, Enzo, crede nei supereroi. Ne conosce i nomi e mi sa elencare i superpoteri di ciascuno. Mi racconta che i supereroi aiutano il mondo ad essere un posto migliore per tutti. Combattono i cattivi e alla fine vincono sempre. Certe volte, anche i cattivi, sconfitti, si convertono in buoni e festeggiano insieme ai supereroi. Lo ascolto sempre sorpreso e divertito. E non smetterei mai di ascoltare i suoi racconti, perché alla fine servono anche a me, adulto e disillusionato, a credere che nel mondo i supereroi vinceranno sempre. 
Oggi, Enzo ed io, ci siamo seduti insieme a guardare i nostri supereroi combattere per salvare il mondo. Sapevamo che sarebbe stata una missione difficile, piú di altre. Ma eravamo pronti, perché i nostri supereroi possono sconfiggere tutti. E cosí é stato. Almeno fino a quando la mano maligna del vignettista ha deciso di cambiare la storia. Noi non ce lo aspettavamo. Del resto il canovaccio é sempre lo stesso. Enzo lo conosce a memoria: ci sono i cattivi che mettono disordine e terrore nel mondo. Quando sembra che non ci siano piú speranze, ecco apparire come per magia i supereroi, i quali, dopo una battaglia estenuante, nella quale sembrano avere la peggio, risorgono fino ad annientare gli avversari e riportare la pace e la serenitá. Lui sa giá come finirá, perché le storie finiscono sempre cosí. Non sapevo cosa dirgli quando si é reso conto che i cattivi oggi hanno sconfitto i supereroi. Nella sua ingenuitá di bimbo il finale della storia non puó cambiare. Nella mia ingenuitá di adulto, speravo non cambiasse. Eppure, oggi ho dovuto spiegargli che ci sono volte in cui le storie finiscono male. A volte, i supereroi perdono. Enzo mi guardava confuso. Per lui i supereroi sono invincibili. Anche i miei.
Non so ancora come faró a spiegargli che cosa é successo oggi. Non voglio scalfire la purezza dei suoi pensieri. Lo imparerá da solo quando sará piú grande. Quando capirá che la malizia delle persone non lascia spazio alle storie a lieto fine. Quel giorno perderá la sua ingenuitá di bimbo e il mondo sará un posto un pó piú triste. Capirá che nel mondo ci sono i supereroi e gli incompetenti. E che la forza degli incompetenti é superiore a quella dei supereroi. Perché gli incompetenti vanno avanti. Viviamo in un mondo talmente disinteressato e mediocre, in cui dire a qualcuno che é un incompetente é politicamente incorretto. E quindi non si puó dire. Bisogna, invece, dirgli che ha "aree di opportunitá" nelle quali puó migliorare. Ci sono adulti che arrivano ai quaranta anni ed hanno aree di opportunitá. Ci sono arbitri che non sono incompetenti, ma hanno "aree di opportunitá". 
I miei supereroi, che sono anche quelli di Enzo, oggi hanno dovuto arrendersi all'incompetenza. Virtú che apre le porte in questo mondo mediocre. I cattivi oggi non ci avrebbero scalfito neanche gli scudi se non fosse stato per l'intervento di quella mano, incompetente, che ha deciso di regalare un vantaggio enorme ai nostri avversari. Due episodi decisivi, entrambi pagati al prezzo piú caro. Ho sempre evitato nei miei commenti di trovare scusanti nelle prestazioni altrui. Come diceva Zambelli in conferenza stampa questa settiamana, prima di guardare alle responsabilitá degli altri, bisogna farsi un esame di coscienza e riconoscere le proprie responsbailitá. Oggi, posso essere solo orgoglioso dei miei supereroi. Non c'é niente da rimproverargli. Mi hanno reso orgoglioso. Mi hanno fatto vedere che sono invincibili.
Il Brescia doveva vincere ed ha vinto. Il risultato, probabilmente, si conosceva giá prima di iniziare. Ce lo avessero detto, magari saremmo rimasti a Foggia.  
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Credo ai miracoli

18/3/2019

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​Si puó puntare il dito contro la sfortuna. CI si puó rammaricare delle occasioni sprecate e delle grandi parate del portiere avversario. Ci si puó attaccare ai millimetri e reclamare il furto di un gol regolare ma annullato. Ci si potrebbe dilungare anche, sul fatto che la squadra aveva passato una settimana difficile, con la societá intenta a preparare due partite, una sul campo e l’altra negli uffici societari. Potremmo anche fare riferimento ai soli quattro giorni avuti a disposizione dal “nuovo” staff tecnico per rinfrescare la memoria di quelli che c’erano ad inizio stagione e riprogrammare quella dei nuovi arrivati a gennaio.  Fatto sta che la musica non cambia. Il disco rotto continua a riproporre sempre la stessa traccia. Un altro pareggio che non serve proprio a nessuno. Non serve a chi vorrebbe tirare un sospiro di sollievo e sfuggire per una domenica alle sabbie mobili di una classifica amara. Non serve alla squadra che avrebbe bisogno di una vittoria come fosse la manifestazione della Provvidenza. Non serve alla societá né a tutti i suoi contribuenti e benefattori che, dopo aver garantito (aspettiamo lunedi l’ufficialitá dei pagamenti) la continuitá della gestione finanziaria fino al termine dell’anno, vorrebbero poter sperare che questo esborso economico non andrá svilito il prossimo anno da un risultato sportivo che non vogliamo neanche nominare.
É stata l’ennesima “gara da vincere a tutti i costi” che non abbiamo vinto. L’ennesima prestazione piena di cuore e coraggio (che si sono visti soprattutto dopo aver subito il gol avversario) terminata con un niente di fatto. La saga delle partite da dentro o fuori era cominciata, a dire la veritá, giá dalle gare casalinghe con Crotone e Pescara, che avevamo giá battezzato quasi come vittime sacrificali di una squadra arrabbiata, concentrata e motivata. Era continuata con le trasferte di Padova e Ascoli. Per finire con la contesa di sabato scorso con il Cittadella, ospite del nuovo corso targato Grassadonia. Dei 15 punti in palio per queste “finali”, ne abbiamo raccimolati 4. Quattro pareggi ai quali abbiamo dato fantasiosamete sfumature diverse, per giustificare l’incapacitá di una squadra di fare bottino pieno. A bocce ferme, sempre e solo di pareggi si tratta. Che siano in rimonta (segno di una squadra “viva” e caratterialmente forte) o che siano frutto delle rimonte altrui (segno di una squadra sfortunata e disattenta) cambia poco ai fini del risultato finale. Sabato scorso contro il Cittadella, seguito a Foggia da 20 tifosi paganti, avremmo dovuto mangiare la palla ad ogni contrasto. Avremmo dovuto sbranarla, stracciarla, “schiattarla”! Avremmo dovuto mostrare una cattiveria tale da inibire gli avversari. Avremmo dovuto vincere per la resa degli avversari davanti a cotanta aggressivitá. Ci siamo invece trovati a rincorrere un avversario che é stato capace di metterci paura, di fare il suo gioco. Sono arrivati a Foggia con le fanfare che proclamavano come fossero la squadra “piú in forma del campionato”. Io, per quello che ho visto, ho il dubbio che non faranno nenache i playoff. Non abbiamo vinto neanche contro di loro. Anzi, abbiamo rischiato di perdere. Mi direte che Leali ha fatto una sola parata in tutta la gara. Che il portiere avversario é stato il miglior giocatore in campo. Che il gol di Mazzeo era regolare. Che a Iemmello hanno negato due gol sulla linea di porta. E questo di cosa dovrebbe convincermi? Del fatto che avremmo meritato di vincere? E no! Non funziona cosí. Non si vince ai punti. Quella é la box. Si vince perché tu fai un gol piú dell’avversario. Non importa come. Devi fare un gol piú dell’avversario. Specialmente dopo una settimana cosí turbolenta. Una settimana in cui in troppi hanno parlato a sproposito, millantanto una resa societaria che non c’é stata e non ci sará. Una settimana in cui la squadra ha bruciato un altro allenatore, bravo o meno che sia. Una settimana che avrebbe dovuto dare una carica in piú proprio per tutto quello che é successo. Una settimana che andava chiusa con una prestazione sportiva ineccepibile e rappresentazione sincera di un enorme ringraziamento alla cittá, societá, proprietá e sponsor per essersi uniti con l’unico scopo di continuare a garantire a Foggia il suo orgoglio. Non sarebbe importato come, ma avremmo dovuto fare un gol piú dell’avversario.
Adesso, dopo aver fatto quattro punti nelle cinque gare da dover “vincere per forza”, ci raccontiamo che andremo a Brescia per fare punti (il che significa vincere, visto che ormai anche il LIvorno ci ha staccati e ci troviamo appaiati con il Crotone, il quale ha il vantaggio dello scontro diretto). Noi che non abbiamo vinto in casa contro la squadra “piú in forma del campionato” (e che io continuo a credere che non fará neanche i playoff), andiamo a Brescia a vincere contro la squadra che andrá in serie A direttamente, senza passare dai playoff, perché decisamente migliore di tutte le altre. Devo ammettre che la speranza di una salvezza che non passi dai playout l’ho persa sabato scorso. Ma ai miracoli continuo a credere!

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Un sabato qualunque

9/3/2019

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É un nuovo sabato di alti e bassi. Cose giá viste e riviste da queste parti. Niente di nuovo, in fin dei conti. Si riapriranno i processi sulle scelte tattiche. Qualcuno tirerá in ballo i giocatori, accusandoli di scarso impegno a seguito delle chiacchiere sui problemi societari che, guarda caso, vengono fuori proprio nella settimana del derby. Altri, rimpiangeranno quelli andati ed invocheranno nomi mai arrivati. Alla fine quello che resta sono loro, siamo noi. E dobbiamo tirare avanti con quelli che siamo, che siamo stati e che sempre saremo. Per qualche motivo che non so, Foggia non attrae simpatia. Non raccoglie tifosi da altre regioni, Non sará mai un piazza di magnati, pronti a darsi battaglia per acaparrarsi la proprietá di una delle poche risorse rimaste in provincia. Chi aspetta gli Zamparini, i Preziosi, gli Squinzi, ha sbagliato porta. Il nostro orgoglio si chiama Sannella e grazie al loro impegno, alla loro passione ed al loro interesse. oggi siamo a goderci un campionato di serie B. Il secondo di fila, a dire la veritá. Non fosse stato per loro... meglio non pensarci.
La storia la conosciamo bene. Tutti sanno. Tutti parlano, Tutti proclamano. Ma pochi fanno. Perché a tutti ci fa comodo che a Foggia esista il calcio professionistico, ma quando si tratta di metterci del proprio, non siamo proprio tra i piú attivi. Alla famiglia Sannella, quindi, varrebbe la pena cominciare a portare un pó di rispetto in piú. E questo invito vorrei arrivasse anche alle istituzioni e ai rappresentanti del calcio nazionale, i quali non hanno esitato a sbandierare a i quattro venti le vicessitudini foggiane. Gli stessi che non hanno mai proferito parola, invece, sulla situazione del Palermo, di gran lunga assai piú drammatica di quella, presunta, foggiana. Gli smemorati possono riguardare le dichiarazioni di Bellusci alla fine della partita dello scorso febbraio proprio contro di noi. Quello che é successo a Palermo é reale, quello che si attribuisce al Foggia... ancora non é neanche successo!
Sulla partita di oggi non ho molto da dire. Niente di originale rispetto a quello che si é giá detto e scritto. Ha vinto la squadra che ha fatto un tiro in porta. L'unico tiro in porta in 90 minuti, Il Foggia, che ha scelto di non tirare mai in porta, al massimo avrebbe potuto pareggiare con la strategia messa in campo oggi. Forse abbiamo mancato l'opportunitá di fare il colpaccio. Perché è vero che il Lecce si ritrova a lottare per la promozione, ma non mi è sembrata una squadra di una categoria diversa dal Foggia. Non ci hanno preso a pallate, non sono stati mai pericolosi (tranne nell'occasione del gol), non hanno dominato il possesso palla. Mi sono sembrati solo piú tranquilli in campo. Piú leggeri nell'animo e nelle gambe. Se avessero perso oggi, non sarebbe cambiato il loro destino. É un vantaggio enorme, specialmente quando dall'altra parte c´è una squadra che vive una dimensione diametralmente opposta. Consoliamoci: non sono queste le partite che dovremo vincere per forza. Pareggiare non avrebbe guastato, ma perdere a Lecce (di questi tempi) ci sta. 
Ricominciamo, una volta ancora, dal prossimo turno. Questa serie B ci ha insegnato che risultati scontati non esistono. Tutti possono vincere o perdere con tutti. Noi abbiamo una montagna da scalare e lo faremo passo dopo passo. Senza guardare alla cima, ma stando attenti a dove porremo il prossimo passo. Perché scivolare é un attimo e ci riporterebbe di nuovo a valle. A quel punto, peró, la montagna sarebbe troppo alta per poter raggiungere la cima. 

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L'amore è cieco

3/3/2019

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Sono sempre stato un abitudinario. Ho scoperto che la routine aiuta a rallentare il tempo, a godere di ogni singolo istante delle giornate. Ripetere all’infinito azioni, parole e gesti migliora continuamente quello che facciamo. E cosí, quando ho iniziato a scrivere su questo blog, ho cercato da subito la mia routine, nella speranza di tirare fuori ogni settimana qualcosa di originale, che potesse piacervi, stimolarvi ed intrattenervi. Ho sempre scritto i miei articoli qualche ora dopo la fine delle partite del Foggia, in modo da non riscoprirmi né troppo emotivamente coinvolto né troppo poco incisivo. Sono stato alla ricerca del giusto equilibrio. La virtú sta nel mezzo, diceva qualcuno.
E nella mia routine avevo trovato un alleato inconsapevole, capace di ripetersi con regolaritá e, pertanto, facilitarmi il lavoro. Mi ero abituato ai pareggi, alle prestazioni senza né alti né bassi e agli stessi commenti ripetuti alla fine di ogni gara. La vittoria contro il Cosenza rompe l’abitudine e, quindi, mi impone di trovare spunti nuovi. Chi sa di cosa parlo, sa bene che sarebbe inutile cercare di ritrovare un filo logico familiare. Ormai la routine é andata a farsi benedire. Quindi, meglio ribaltarla completamente. Ho deciso, quindi, di iniziare questo articolo scegliendo la fotografia ancora prima di mettere giú qualche parola. La foto è quella dell’abbraccio della squadra ad inizio gara. Anche questa un’abitudine. Lí in mezzo c’è il Capitano. Non si vede perché circondato dai compagni, ma dovete immaginarlo mentre prende il coraggio in mano e, come ad inizio di ogni sfida, condivide con i compagni parole cariche di emozioni, di rabbia, di concentrazione e di paura. Questa volta, forse, ancora di piú. La partita è di quelle toste, fondamentali, senza ritorno. Giochiamo prima di tutti, questa settimana. Perdere sarebbe una condanna. Pareggiare un’altra partita... e chi se li sente quelli lí fuori! Vincere: speriamo bene.
Quello che stona in questa foto é lo striscione sullo sfondo. Sono convinto che l’artimetica non sia una sconosciuta ai nostri calciatori. Sono entrati sul campo di gioco con gli occhi al cielo, cercando di incrociare lo sguardo con gli dei del calcio e chiedendogli di voltarsi verso lo Zaccheria per una sera. Sicuramente, avranno cercato di isolarsi da tutti i pensieri negativi e dalla pressione che condividono con una cittá che vive di calcio, che si era illusa in estate di poter essere piú forte di tutto e tutti e che, invece, si ritrova a fare i conti con una realtá sportiva che spaventa, terrorizza. Avranno tenuto gli occhi bassi per tutto il tempo, intenti ad evitare distrazioni. Ci sará stato un silenzio irreale nel corridoio che porta alle scale. Ognuno immerso nella sua propria individualitá. Gli stessi sguardi che, improvvisamente, si sono rivolti al cielo, una volta entrati in campo. Gli stessi sguardi che hanno incrociato quello striscione e che li hanno riportati ad una realtá scomoda, che avrebbero voluto dimenticare per togliersi di dosso un chilo di tensione.
La cronaca della partita è ormai nota a tutti e non mi ripeteró. Voglio immaginare quello che sará passato in testa ai nostri eroi al termine della gara. Avranno dedicato un pensiero a tutti quelli che hanno fischiato Galano al momento della sostituzione. A dire la veritá pochi, rispetto ai tanti che lo hanno applaudito. Fischi codardi a un ragazzo che ha bisogno di sentire entusiasmo. Vale piú di mille parole la carezza che Agnelli gli regala dopo un’azione sfumata per un appoggio impreciso.
Una dedica va a tutti quelli che hanno rumoreggiato, sbuffato e fischiato (altri fischi) quando la squadra nascondeva la palla agli avversari giocandola indietro verso Leali. Altra dedica a tutti quei profeti che avevano previsto che il Crotone, dopo la vittoria di Foggia, sarebbe volato in classifica. Come volevasi dimostrare, il campionato cadetto ha la stessa previdibilità dei bussolotti della tombola (n.d.r. oggi il Cittadella ha espungato il campo del Brescia, fino a quel momento inviolato).
Una dedica speciale l’avranno rivolta a quelli che hanno voluto affossare il Capitano in queste settimane, addossandogli colpe di tutti i tipi. Sia chiaro che, in altre occasioni, io stesso mi sono permesso di criticare alcune sue prestazioni dal punto di vista tecnico. Mai ho però messo in dubbio la sua generosità, la responsabilità che sente nell’essere foggiano a Foggia ed il suo carisma.
Abbiamo passato mesi a dare interpretazioni ai pareggi collezionati in serie nell’intento di trovare qualcosa da dire. Una sfumatura positiva. Una pulsazione di vita. Pareggio “stretto” contro il Palermo. “Immeritato” in casa con il Pescara. “Regalato” a Padova. “Grintoso” con il Benevento. “Apatico” ad Ascoli. Eppure, si é trattato sempre e solo di partite in cui abbiamo preso un punto. Dopo la vittora di ieri, che di punti ne vale tre, leggo solo critiche e disappunto. Per me la vittoria contro il Cosenza vale come un ottavo di Champions League. É lampante che la squadra non stia giocando un calcio spettacolare, che i suoi attori piú illustri non siano riusciti a calarsi perfettamente nei ruoli che avevamo immaginato per loro ad inizio anno. E quindi?
La dedica finale va a tutti quegli amici che adesso sperano che questo sia l’inizio di un nuovo campionato per il Foggia. Non sará cosí. Lo abbiamo detto da mesi e lo abbiamo ripetuto continuamente. Il campionato del Foggia sará questo fino alla fine. Fatto di alti e bassi, di gioie sudate e pesanti ricadute. Rimettetevi comodi. Quello che è certo, peró, è che l’obiettivo finale ce lo abbiamo bene in mente e per ottenerlo mi esalto anche per prestazioni come quella di venerdi scorso. Dicono che l’amore è cieco. Quindi, tappiamoci gli occhi ed amiamo!
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Vince Foggia!

24/2/2019

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Da una parte c'é stata una squadra che é uscita dal campo soddisfatta e stremata. Soddisfatta per aver preso un punto che, anche se meno di quanto ci si potesse aspettare alla vigilia, é pur sempre un passo in avanti verso il raggiungimento degli obiettivi stagionali. Stremata per aver messo in piedi un quadro tattico basato a grandi tratti sull'attesa e veloci ripartenze e per aver subito la incredibile vemenza e il carattere fiero della temibile squadra avversaria, mai doma e terribilmente motivata, Per rimanere in partita ha dovuto interpretarla, specialmente nel primo tempo, con un'atteggiamento "sporco", fatto di scontri duri e provocazioni sottili, ma continue, Data la caratura dell'avversario, non mi sento di dargli torto. Tutto questo é stato il Benevento.
Dall'altra parte, invece, c'é stata Foggia. No, non é un errore né grammaticale, né di battitura. E' esattamente quello che voglio dire: c'é stata tutta Foggia. Cominciando da un pubblico a cui ormai va anche stretta la definizione di "pubblico di categoria superiore". Quello che é andato in scena contro il Benevento é stato uno spettacolo di civiltá, maturitá, eleganza e signorilirtá da parte di tutti, proprio tutti quelli che hanno affollato lo Zaccheria. Quel pubblico che non ha risposto alle provocazioni mafiose dei teppisti che hanno deciso di confondersi con i tifosi ospiti e mettere in scena uno spettacolo becero ed infame in uno dei teatri sportivi piú importanti ed eleganti d'Italia. Lo stesso pubblico che ha mostrato tutto il proprio disappunto, in maniera furente ma civile, nel momento in cui uno dei sui paladini, caduto per un evidente scorrettezza e successivamente provocato da un avversario senza né onore né orgoglio, é stato allontanato dalla scena di quella che sarebbe diventata una delle piú belle imprese sportive che le mura dello Zaccheria possano ricordare. Quel pubblico, stracolmo di fierezza foggiana, che non ha saputo e non ha voluto trattenere voce e lacrime quando la palla, accarezzata da un angelo, ha disegnato una traiettoria irreale e suntuosa, come fosse una sentenza divina, infilzandosi nella rete avversaria e restituendo alla storia il suo finale legittimo ed indimenticabile. Lo stesso pubbico che ha tributato ai suoi guerrieri l'onore di un applauso forte ed interminabile. Come é giusto che sia!
Al pubblico si é aggiunta la squadra. Una fusione di classe e cuore, di potenza ed estasi, talmente inaspettata e poderosa da  confondere le menti e le parole di quelli che, a fine gara, dichiarano di aver visto un "dominio di gioco da parte del Benevento", dimenticandosi, o non volendo riconoscere, che il loro unico tiro in porta del primo tempo é un tentativo velleitario da 25 metri su una palla regalata da Chiaretti in ripartenza. Lo stesso Chiaretti che, quasi allo scadere, sceglie di non segnare, dopo essere stato imbeccato da un'intuizione di Deli, forse immaginando che quello che sarebbe successo di lí a poco ci avrebbe regalato un finale che non dimenticheremo mai. La triplice ingiustizia sull'episodio di Gerbo (il rigore non concesso, l'espulsione del capitano e l'allontanamento di alcuni componenti della panchina) avrebbe fatto saltare in nervi a chiunque. A chiunque, ma non agli dei che scendono in campo nel secondo tempo. Ordinati come poche altre volte e famelici come mai, non solo non arretrano di un centimetro, ma non danno neanche l'impressione di soffrire piú di tanto la mancanza di una pedina di qualitá e sostanza, qual é il nostro Alberto. Non solo! Iemmello, lí davanti, fa reparto da solo e, quando non riesce a ricevere palla come vorrebbe, se la viene a prendere sulla linea del centrocampo, punta gli avversari e ne salta con eleganza tre o quattro, prima che lo assaltino al limite dell'area. Perché solo cosí lo possono fermare. 
In difesa non soffriamo mai! Ci fanno due tiri in tutto il secondo tempo. Buttano sempre il pallone in aria, sperando che possa succedere qualcosa. Con questo schema tattico (o "non-schema tattico" dovrei dire) trovano, prima, lo scudo di un eroe a spegnere ogni entusiasmo e ci fanno un gol su un rinvio mal riuscito, sul secondo tentativo. Questo é tutto! Il Foggia, invece, dopo aver ottenuto il pareggio solo qualche minuto dopo essere passato in immeritato svantaggio mette paura ogni volta che prende palla e punta la porta avversaria. Esattamente come successo contro il Verona poche settimane fa. Cose pazzesche! Dei folli che, senza piú fiato nei polmoni e forza nelle gambe, continuano a spingere, fieri di rappresentare sul campo una cittá che li celebra sugli spalti.
Con il loro coraggio, ci hanno voluto dimostrare quanto orgolio e rispetto abbiano per l'intero territorio e per tutti i suoi figli. Nessuna sceneggiata per guadagnare secondi preziosi. Solo la voglia matta di ribaltare in un sol colpo avversario e sorte.
Oggi non conto i punti che ci separano dagli uni o dagli altri. Non mi interessano affatto. Mi interessa solo raccontare le gesta eroiche di una squadra di uomini, finalmente rappresentazione fedele di una cittá che, seppur tra mille difficoltá, non molla mai, memore di tempi, neanche tanto lontani, in cui poteva vantarsi di tutta la sua eleganza. E che continua a sperare che quei tempi possano tornare un giorno. 

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    Sergio d'Alessandro

    Sergio è un dirigente in una multinazionale nel settore industriale che oggi vive e lavora in Messico. Trova sempre il modo di seguire il Foggia, come legame indissolubile verso i suoi luoghi di origine e non perde occasione per trasmettere ai suoi figli la sua stessa passione ed orgoglio.

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