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​Resistere resistere resistere

17/2/2019

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​Quando Francesco Saverio Borrelli capì che la politica si era autorigenerata e che i risultati della stagione di mani pulite venivano minati alla radice da una scellerata riforma giudiziaria, non accettó supinamente che gli eventi lo scavalcassero, ma pronunció tre fatidiche parole, un disperato grido di allarme: “resistere resistere resistere!” Quelle riforme scellerate non passarono, come non passarono le truppe austriache sul Piave dopo la disfatta di Caporetto, quando quelle stesse tre parole, non a caso citate dal Procuratore della Repubblica milanese, le pronunció prima di lui Vittorio Emanuele Orlando, Primo Ministro italiano negli anni della Grande Guerra, all’indomani di quella che sembrava ormai l’inevitabile resa del Regio Esercito italiano. Chi mi legge sa che sono aduso a paragoni aulici ed accostamenti azzardatissimi raccontando degli umani affanni del Foggia e dei suoi tifosi, ma qualcuno, sin da bambino, mi ha insegnato che la storia è maestra di vita ed è proprio da questa maestra che dobbiamo attingere per imparare il difficile mestiere di vivere. Ieri pomeriggio, ad una manciata di secondi da una vittoria probabilmente legittimata sul campo, un indecisione fra Leali ed Agnelli ha consentito al Padova di raggiungerci sul pareggio. Anche ad un impassibile e professionale Antonio di Donna, che sedeva accanto a me in tribuna stampa, è calato sul volto un ombra di scoramento, quasi di resa. All’Euganeo, come davanti alle tv ed ai pc di tutti i tifosi del Foggia sparsi per il globo, ci si è ghiacciato il sangue nelle vene, ci è preso un vuoto allo stomaco, si è imprecato, si è inveito contro la malasorte. Poi ecco il capro espiatorio su cui riversare la rabbia, lo sconforto. A chi ha sbagliato niente è stato risparmiato. Accuse, offese feroci. Una vergogna. Ancora una volta l’essere nati in questa amara terra non ha certo alleggerito  (tutt’altro) il peso di un errore che in una partita puó capitare a tutti, come era capitato ad un calciatore del Padova nel frangente del nostro momentaneo vantaggio. La sorte dà, la sorte toglie. Il problema è che per adesso al Foggia la sorte ha poco dato, anzi pochissimo, e tanto ha tolto, anche se qualcuno  a Foggia proprio non riesce a vederlo, nonostante 14 pali presi e 2 rigori falliti siano lì a dimostrarlo, per citare le “sventure” più macroscopiche. I benpensanti mi diranno allora che “audentes fortuna iuvat”, che il fato non esiste, che ognuno è padrone del proprio destino, che le grandi squadre sono tali perchè sono più forti anche delle avversità. Tutto vero, ma io non ho visto ragazzi scendere in campo senza voglia di lottare, senza grinta, senza cattiveria. Contro una diretta concorente, forte o debole che fosse, siamo andati ad imporre il nostro gioco. Ci abbiamo provato per tutto il primo tempo, li abbiamo contenuti mentre con rabbia, nella seconda frazione, hanno provato a riprendersi la partita, rischiando una sola volta,  quando proprio il nostro capitano ha contrastato un tiro di Aldenkovic destinato alla rete. Abbiamo mancato di un niente il raddoppio con Chiaretti, anticipato di un soffio da un bravissimo Minelli. L’audacia c’è stata. Io l’ho vista. La fortuna no. I proverbi non sempre dicono il vero. L’ho scritto e riscritto sino alla noia. Chi ha il cuore debole, chi non vuole soffrire, chi vuole tutto e subito, chi ama vincere facile, non è adatto a tifare per il Foggia. Il Foggia è proprio nell’essenza della sorte del suo sfortunato (in questa circostanza) capitano. Non siamo e non saremo mai  i primi della classe. Solo Zeman, forse, ci ha illuso per una stagione miracolosa di esserlo. Noi siamo la plebe del calcio e non dobbiamo vergognarcene. Noi sbagliamo perchè comunque ci proviamo e riproviamo, e solo con l’abnegazione ed il coraggio abbiamo raggiunto qualcosa nella nostra ormai secolare storia. A noi nessuno ha mai regalato niente. Tutto quello che abbiamo ottenuto lo abbiamo ottenuto con lacrime e sangue, lottando con le unghie e coi denti, stringendo i pugni, soffrendo fino all’ultimo secondo, fino all’ultimo battere di ciglia. Non so se Agnelli ieri abbia sbagliato. Non so se magari anche Leali avrebbe dovuto chiamare con più vigore la palla. So peró che Cristian, per quanto ha giocato, ha dato il meglio di sè, e che anche in quella sfortunata circostanza ha fatto di tutto per allontanare quella maledetta palla dalla nostra porta, ed è per questo che non gliene faccio una colpa, anzi il contrario. Siamo la plebe del calcio, come il nostro grande capitano, che da quella plebe, da quel sacrificio, è venuto e che meglio di tutti ci rappresenta con l’orgoglio di chi si è fatto da solo con cieca dedizione al lavoro. E la plebe vince solo se stoicamente resiste, contro tutto, contro gli avversari, contro le avversità, contro le cattiverie. Resisterà Agnelli, resisteranno Padalino ed i suoi ragazzi. Resisteremo noi se ci continueremo a credere perchè non abbiamo altra scelta, perchè questo è il nostro splendido e doloroso destino.
Resistere, resistere, resistere.
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    Francesco Bacchieri

    Francesco Bacchieri, all’anagrafe Stellacci, laureato in architettura a Firenze, vive ed esercita la professione di architetto in Toscana ormai da 35 anni, da dove però non ha mai mancato di seguire i Satanelli in giro per l’Italia. Da oltre un anno, come Francesco da Prato, a fine partita commenta a caldo  le prestazioni dei rossoneri nella rubrica "Io la vedo così... ". 

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