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L’importanza di chiamarsi Cristian

17/2/2019

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Oscar Wilde è stata una delle menti più lucide e dissacranti del XIX secolo, una spina nel fianco dell’ obesa e borghese società vittoriana. Per Wilde niente era scontato e niente era come appariva. Il suo disincantato studio delle contraddizioni formali nella società inglese ne fecero un personaggio tanto scomodo tra i suoi contemporanei quanto unico ed irresistibilmente sublime per i posteri. C’era una cosa che contraddistingueva Wilde: il coraggio di dire sempre quello che pensava, comodo o scomodo che fosse, di non nascondere mai con ipocrisia la sua diversità, disposto a perdere tutto pur di difenderla, fossero finanche la fama, la ricchezza, la sua stessa vita. Qualcosa che solo trent’anni dopo capitó, seppure in modi e circostanze molto diverse, a Federico García Lorca, altra mente assoluta e perseguitata della letteratura contemporanea. Quando Wilde cadde nella polvere, quando venne ridotto in miseria e privato della propria libertà personale e costretto persino ai lavori forzati, dei clamori e dello scintillante successo decretatogli unanimemente dalla società sulle due rive dell’oceano, rimase un unico vecchio amico ad attenderlo all’uscita del carcere. L’unico che aveva capito quello che poi tutto il mondo avrebbe capito soltanto dopo la sua morte. Quando Cristian Agnelli decise di tornare a Foggia era nel pieno della sua carriera di calciatore. Certo non era un ragazzino, ma avrebbe potuto comodamente chiudere la carriera tra i professionisti. Le occasioni non gli sarebbero mancate. Scelse invece di sposare il progetto di rinascita del Foggia di Pelusi e Padalino, ripartendo dalla serie D, adattandosi a giocare su campi talmente squallidi che nemmeno quando giocava nella primavera del Lecce aveva mai calcato. Ma soprattutto decise di mettersi al braccio quella fascia da capitano che, per chi è nato a Foggia ed indossa i colori rossoneri, pesa come un macigno. Niente ti sarà perdonato, tutto è dovuto. Se avrai fatto bene avrai fatto il tuo, se avrai sbagliato sarai un traditore, sarai polvere. Anche i nomi hanno un destino, e come Wilde giocava col doppio significato del nome Ernesto, mi perdonerete se io, molto più modestamente, mi cimento nello stesso ardimento. Cristian, letteralmente “che viene secondo la legge di Cristo”, ha cantato ed ha portato la croce in questi sette lunghissimi anni in maglia rossonera. Si è sacrificato sul campo e fuori. Ha tenuto stretto e compatto il “suo” spogliatoio dopo esoneri e tempeste, squalifiche e momenti nerissimi, non dimenticando mai, rinnegandolo, il ruolo di capitano della squadra della sua città, della sua gente, del suo cuore. Non ricordo una partita di Agnelli che non l’abbia visto combattere e contrastare l’avversario su tutte le palle, dall’inizio alla fine di ogni contesa, si vincesse o si perdesse. Non ricordo essersi mai sottratto ai propri doveri, non ricordo un lamento per una panchina di troppo, non ricordo una volta che si sia sottratto ai tifosi nei momenti peggiori, sempre con lo sguardo fiero di chi ha adempiuto fino in fondo al proprio compito, sempre un passo avanti ai suoi compagni, nella buona e nella cattiva sorte. Non so se ieri Cristian abbia sbagliato, non so se sia stato sfortunato o se, complice il suo portiere, abbia sbagliato un rinvio. So che il Padova attaccava e lui era lì a fare il suo dovere, a proteggere la porta, a cacciare via ogni pallone che spiovesse pericoloso in area, insieme a tutti i suoi compagni che, a quella vittoria, tenevano come e forse più di noi. La frase più bella che ho letto su un Vangelo a cui ho smesso di credere da tempo, perchè nauseato da come gli umani ne abbiano abusato, dice: “Chi è senza peccato scagli la prima pietra!” E per uno scherzo del destino la pronunció proprio un uomo che si chiamava Cristo. Chi di noi non ha mai sbagliato? Sbaglia chi non dà tutto di sè in quello che fa ed in quello in cui crede. Il nostro, il mio capitano, quando scende sul rettangolo verde, porta tutta la sua gente nel cuore, e se ha sbagliato ha sbagliato per troppo amore. Io questo glielo perdono, ammesso che sia da perdonare chi lotta sempre con il coraggio e la passione che nel gioco ci mette Cristian. Io mi dissocio da chi oggi vomita sentenze, offese, ingiurie, calunnie, da chi non vuol bene nè a Cristian nè al Foggia. Mi dissocio perchè fino a che ci saranno giocatori come Cristian Agnelli a portare sulle spalle i sublimi colori del Foggia, potremo anche retrocedere, ma non usciremo sconfitti, mai.

​Francesco Bacchieri
1 Commento
Lucio_BO
19/2/2019 07:18:58

Condivido in generale il tuo articolo, Francesco. L’uomo non si discute, anzi è un esempio per tutti i foggiani, ma oggi il calciatore deve segnare il passo. Quando eravamo ragazzi, ricorderai certamente, che in strada giocatori così giocavano esclusivamente se portavano il pallone! Ecco, per me si sta perdendo la dignità di calciatore... è dura ammetterlo ma credo che siamo giunti ai titoli di coda ... basta solo ammetterlo con l’umiltà Che contraddistingue l’uomo, esempio di sana foggianita’ da esportare. Ciao Christian ti voglio bene, niente di personale. ZA FO’!!

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    Francesco Bacchieri

    Francesco Bacchieri, all’anagrafe Stellacci, laureato in architettura a Firenze, vive ed esercita la professione di architetto in Toscana ormai da 35 anni, da dove però non ha mai mancato di seguire i Satanelli in giro per l’Italia. Da oltre un anno, come Francesco da Prato, a fine partita commenta a caldo  le prestazioni dei rossoneri nella rubrica "Io la vedo così... ". 

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