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La presentazione era del Foggia, ma i veri protagonisti erano sugli spalti

23/8/2018

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Quando l’estate volge al termine e tutti sono in cerca dell’ultimo spicchio di sole, di spiaggia e di mare, il Foggia decide di presentare la sua “invincibile armada” allo Zaccheria, piena di vecchi e nuovi campioni. Nomi altisonanti come da tanto tempo non sentivamo declamare dagli altoparlanti dello stadio di viale Ofanto, l’Inferno Rossonero, il tempio del calcio a Foggia sin dai tempi di Pugliese e Rosa Rosa. Ti aspetti allora di applaudire questi ragazzi e il loro condottiero, quel Grassadonia che dopo aver indossato l’indimenticabile divisa degli indiavolati di Zeman ha voluto fortemente una panchina che è sempre stato il suo sogno di allenatore. Aspetti le battute dei due testimonial popolari della foggianità in Italia, gli scalmanati e “politicamente scorretti” Pio e Amedeo, reduci da una trionfale stagione teatrale in giro per la penisola. Vuoi vedere da vicino il ritorno di Iemmello, la sua mitica maglia numero 9, l’arrivo di Galano, il sogno nel cassetto che i Sannella e Nember hanno fatto diventare finalmente realtà. Magari vorresti sentire e gustare l’atmosfera di vittorie, trionfi e promozioni. Ma alla fine il vero spettacolo sono loro, sono sempre loro. In tribuna e in gradinata si assiepano migliaia e migliaia di persone. Seimila? Ottomila? Diecimila? Non importa. Sono un popolo, sono il popolo rossonero, sono il valore aggiunto di questa squadra, di questa società. In una terra agli ultimi posti dell’economia nazionale e in barba ai prezzi non certo tra i più economici della cadetteria, hanno già superato quota 7.000 abbonati, più di tante società della massima serie, secondi in B solo alla corazzata del Benevento che si ripromette di ammazzare il campionato. Per l’occasione le curve sono unite in gradinata e scandiscono i cori che hanno fatto celebre questa tifoseria in giro per tutti gli stadi, vicini e lontani. La festa è per loro, la festa sono loro, uno spettacolo nello spettacolo, una ridda di voci, di canti, di applausi, di abbracci con sciarpe e magliette rossonere, di battere di mani e di cuori. 
A quei ragazzi che in casacca rossonera, spalla a spalla, guardavano quasi ammirati e un po’ impauriti quello spettacolo dal prato, chiedo di non tradire mai questi cuori. A Foggia il calcio è un gioco ma è anche riscatto, voglia di credere che anche qui si puó provare ad essere migliori, si puó sognare e crescere insieme, orgogliosi di essere nati in questa pianura, tra questo grano e questi ulivi. Sì, anche a Foggia si puó e si deve vincere. Quando scenderete in campo, presto, già da domenica, cercate di non dimenticarlo, mai. 

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Grazie DAZN: riecco Antonio Di Donna

22/8/2018

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Beh, non si puó certo dire che l’esordio di DAZN nel palinsesto mediatico calcistico nazionale sia stato entusiasmante. Migliaia di lettere di protesta, streaming che va e che viene, immagini interrotte o differite nel tempo rispetto alla promessa “diretta”, difficoltà ed incertezze sulla sottoscrizione dell’abbonamento hanno scandito questa prima settimana di trasmissioni. In campo c’erano tre appuntamenti con le partite della serie A, ma da venerdì comincia (sembra ormai quasi certo) la B di cui DAZN detiene l’esclusiva nazionale ed allora, a Foggia come in tutte le sedi della cadetteria, qualche ansia tra gli utenti comincia a trapelare nonostante le rassicurazioni dei quadri dirigenziali dell’azienda. Detto allora di queste (condivise) preoccupazioni DAZN peró a noi foggiani fa un regalo inaspettato anche se auspicato da tantissimi tifosi sin dall’anno scorso. Chi non ricorda quell’urlo “MAZZEOOOO” che riecheggió ovunque ci fosse un tifoso rossonero collegato al computer dal sito di SPORTUBE durante la sfida promozione allo Zaccheria tra il Foggia ed i cugini del Lecce? Quell’urlo noi foggiani l’avevamo strozzato in gola da un decennio, da quando un certo Rivaldo non ci spezzó i sogni di cadetteria in quel di Avellino. Quell’urlo sanciva di fatto la nostra promozione attesa da 19 anni e il telecronista di quell’incontro, Antonio Di Donna, foggiano doc, non potè proprio trattenerlo, sarebbe stato impossibile nonostante la professionalità ed il dovuto distacco “super partes” riconosciutogli.   Orbene, quella voce tanto cara a noi tutti domenica avremo la fortuna di riscoltarla a commento della partita di esordio del Foggia allo Zaccheria contro il Carpi proprio grazie a DAZN che, contrariamente a quanto speravamo facesse Sky, ha premiato le indubbie doti di Di Donna e la sua innata vocazione per il “racconto” in presa diretta dei fatti del calcio. Non conosco personalmente Antonio, ma come a tanti mi sembra di essere suo amico da una vita. L’amico saggio con cui parli di calcio e sai che aldilà del tifo ti saprà sempre dire la parola giusta, il più obiettivo parere sulle fortune o le sfortune della nostra amatissima squadra del cuore. Credo che non ci sia un foggiano che non abbia visto il suo video per la vigilia della gara di ritorno della finale Play Off contro il Pisa al quale (io compreso) non sia venuta fuori una lacrimuccia. Un video che rimane una professione di fede per i nostri colori ma anche di incondizionato amore per la nostra città “difficile”.
Che dirti Antonio, dalle colonne di questo giornale  ti facciamo gli auguri per questo ulteriore progresso nella carriera, contenti che (una volta tanto) il merito abbia prevalso su altre logiche e che possa essere valorizzata una professionalità che va sicuramente oltre i confini della Capitanata nella speranza, concedicelo, di sentire presto dagli schermi di DAZN un tuo “MAZZEOOOO” premonitore dell’avverarsi di un sogno che, come ben sai, a Foggia portiamo tutti nascosto nel cuore!
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Sogno di una notte di fine estate

16/8/2018

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Ferragosto è passato in fretta quest’anno, non ce ne siamo quasi accorti. Le immagini della tragedia di Genova non ci lasciano sereni. Troppo dolore tra quelle macerie per non fermarsi a pensare. E il Foggia? Il mercato scandisce le ultime ventiquattro ore quando poco alla volta un “tam tam” si diffonde dai social ai gruppi whatsapp per diventare insistente: Galano vuole venire al Foggia! Non ci siamo ancora ripresi dall’emozione del ritorno del “re” in casacca rossonera, quel Pietro Iemmello che il Foggia ce l’ha stampato nel cuore e che a Foggia è voluto assolutamente tornare, che un’altra straordinaria sorpresa sembra concretizzarsi. È un sogno, una suggestione. Abbiamo già chiuso per Lucas Chiaretti, grande acquisto dal Cittadella ed abbiamo contrattualizzato Emanuele Ciceretti dalla Salernitana. Empereur è andato al Verona e in Capitanata arriva un giovane difensore rumeno di sicuro avvenire, tale Deian Boldor che sembra si stia già allenando ad Amendola. Qualcuno si aspetta l’acquisto di un play, di un laterale destro basso, un centrale d’esperienza, ma alla fine abbiamo già una squadra all’altezza, nessuno puó davvero lamentarsi. Certo manca il colpo finale, quel qualcosa che accenda la fantasia, che faccia battere i cuori. Galano? Galano rimane il desiderio nascosto, il sogno chiuso nel cassetto di ogni tifoso. È il figliol prodigo che tutti a Foggia vorrebbero vedere finalmente in rossonero. Tante volte è stato accostato ai satanelli e altrettante volte è rimasto a Bari. Dopo il fallimento dei biancorossi qualcuno lo ha riavvicinato al Foggia ma poi ecco arrivare il Parma e la prospettiva della serie A, come rifiutare? Ancora una volta sarà per un altra volta. Ma questo pomeriggio le voci si rincorrono. Col Parma sembra già una storia finita prima ancora di cominciare. Cristian sembra non aver dato scelta ai ducali: o Foggia o fermo fino a gennaio. Salta fuori un suo scambio di battute dalla sua pagina facebook. Allora è vero, vuole tornare a Foggia! Poi la secca smentita. La doccia scozzese. Rimane a Parma, tutto sfumato? Macchè. Passano pochi interminabili minuti e qualcuno ribadisce: Galano è un giocatore del Foggia! I primi giornali web si sbilanciano. Qualcuno usa il punto interrogativo, altri sono più sicuri. Arriva in prestito con diritto di riscatto. I social tornano ad incendiarsi. È tutto vero. No, è tutto falso. C’è chi afferma di averci parlato di persona, sembrerebbe un nulla di fatto. Poi, sul far della sera, mentre giungono le notizie del terremoto in Molise, giusto il tempo per rassicurarsi che la gente è in salvo, che la scossa ha fatto solo tanta paura, che compare sul cellulare lo screenshot di un messaggio dello stesso Galano ad un amico: “Sei del Foggia?” La risposta laconica è “Sì”. Due lettere lunghe un sogno, un sogno durato per anni. Il sogno di una notte di fine estate. Dopo Rambaudi, Signori e Baiano il Foggia riavrà un tridente da favola: Mazzeo, Iemmello e Galano. Ce l’avessero detto solo due settimane fa ci saremmo messi a ridere. Eppure è tutto vero. Nember in tempi non sospetti ci aveva detto che saremmo stati protagonisti, che la A sarebbe arrivata al massimo in due anni. Qualcuno aveva sorriso. Ma Nember è un altro bresciano che si è innamorato del Foggia e dei suoi tifosi e che ha creduto sin da subito nelle enormi potenzialità di questa piazza, e quando Nember promette qualcosa poi la mantiene e ce ne ha dato più di una prova. Stanotte tutti quelli che hanno il Foggia nel cuore andranno a dormire con l’anima in subbuglio. Il campionato (forse) comincerà tra dieci giorni, ma sono certo che ci troverà meno inquieti. La penalizzazione già domani sembrerà un insignificante incidente di percorso, un ostacolo da superare alla svelta. Alla svelta, sì, perchè adesso abbiamo solo tanta voglia di tornare a volare.
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ROSSO come il sangue, NERO come la vergogna!

7/8/2018

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Nell’era del “salvinismo” fermarsi a riflettere dopo la morte di sedici braccianti agricoli sulle nostre strade, nella nostra terra, tutti giovani, tutti neri, tutti sfruttati e maltrattati risulterà sicuramente impopolare e anch’io saró tacciato d’essere un “radical chic” con la maglietta rossa. A farlo su un giornale sportivo poi si rischia di cadere addirittura in un patetico opportunismo manierista, ma tacere mi è davvero impossibile e correró questo rischio. 
Tutti oggi, in verità, dovremmo prenderci una pausa di riflessione per ascoltarci dentro e capire dove sono andati a nascondere i nostri valori, l’ umanità, il calore e l’accoglienza disinteressata della nostra gente. Quando ero un ragazzo, ormai troppo tempo fa, e i “negri” li avevamo visti solo in tv o immaginati tra le pagine di un libro di Harriet Beecher Stowe, a scuola le maestre ci insegnavano che il “razzismo” era il grande peccato del quale si era macchiata l’America buona del vecchio e saggio Spencer Tracy di “Indovina chi viene a cena” o del giovane e coraggioso Gregory Pec de “Il buio oltre la siepe”. Gli eroi di allora erano Martin Luter King ed il popolo del Lincoln Memorial a Washington nella tarda estate del 1963, i cattivi erano gli incappucciati del Ku Klux Klan con le loro sinistre croci incendiate in Alabama. Persino quando, bambino, chiedevo a mia madre perchè avessero assassinato i fratelli Kennedy mi sentivo rispondere con un perentorio: <Perchè stavano dalla parte dei neri!> Non era vero, ma ci piaceva crederlo perchè gli eroi muoiono sempre per una causa giusta. Grazie a “Soldier Blue” di Ralph Nelson e di una straordinaria Candice Bergen avevamo scoperto, nel dramma del Sand Creek, che i cattivi alla fine non erano gli indiani, ma il settimo cavalleggeri di Ford e John Wayne, e la disastrosa e squallida fuga da Saigon dei Marines di Nixon e Kissinger ci aveva trovati tutti dalla parte di Ho Chi Minh e dei suoi vietcong. Di lì a poco avrebbe furoreggiato nelle domeniche in tv lo sceneggiato “Radici”, dal romanzo di Alex Haley. Tutta Italia avrebbe corso al fianco di Kunta Kinte, il quindicenne nero principe ereditario del suo villaggio, mentre cerca di sfuggire ai negrieri bianchi e occidentali correndo tra le foreste e la spiaggia nel golfo della Guinea. Tutti avrebbero odiato i suoi padroni, i suoi aguzzini, tutti avrebbero provato orrore mentre gli mozzano un piede per non farlo scappare, tutti si sarebbero commossi alle lacrime mentre gli strappano per sempre l’amatissima figlioletta Kizzy dalle braccia, e tutti, ma proprio tutti, avrebbero esultato quando suo nipote “Gallo George” riesce a tornare con l’astuzia e il coraggio un uomo di nuovo libero! Poi arriverà nelle sale “Mississippi Borning” di Alan Parker. La vera storia di tre ragazzi impegnati per i diritti civili degli afroamericani in USA uccisi e occultati dal Ku Klux Klan a Jessup, nelle campagne della “deep America” del presidente Johnson e di J. E. Hoover. A chi non ha riso lo stomaco quando l’agente FBI (magistralmente interpretrato da Gene Hackman) fa “assaggiare” la corda insaponata a uno degli assassini bianchi della setta, o mentre “sbatte” a dovere il subdolo vice-sceriffo Pell, razzista fino al midollo? Davvero a nessuno, aggiungo io. Per non dire poi dello schifo che ci ha fatto l’apartheid di Verwoerd nella Republic of South Africa. Avremmo fatto salire tutti i neri del mondo sul nostro autobus e li avremmo fatti sedere tutti accanto a noi nei banchi delle nostre scuole.
La verità è che siamo stati dalla parte dei neri fino a quando non ne abbiamo visto la faccia e sentito l’odore con l’avvento della globalizzazione, le crisi quartomondiste e le primavere arabe del terzo millennio. Dapprima li abbiamo accolti con simpatia e curiosità, poi con stupore e sospetto, infine, a seguito di veri e propri esodi non controllati, con preoccupazione ed un fastidio crescente. Non è un caso che se il “Radici” del 1977 aveva tenuti incollati al divano quasi trenta milioni di nostri connazionali, la sua riedizione del 2016 non ha  lasciato praticamente traccia nell’auditel. Il nero è diventato un nemico, l’uomo che ci ruba i diritti, la casa, la sanità, persino il lavoro. Quello che spaccia e stupra, quello delle “vacanze pagate” in attesa del diritto d’asilo. Quello a cui adesso bisogna togliere tutto ma che i più scaltri peró continuano a sfruttare nel bene e soprattutto nel male, e i più scaltri sono sempre bianchi. E bianchi sono i caporali che a Foggia (e non solo a Foggia) li conducono al massacro nei campi per due lire non solo umiliati e spogliati dei diritti, ma anche della dignità. Così ieri sono morti dodici ragazzi sulle stesse strade che percorse Giuseppe Di Vittorio per difendere i “suoi” braccianti. E così sono morti in quattro l’altro ieri ancora sulle stesse strade. Per loro la “pacchia” è finita per sempre, chiusi come sardine in una scatola, in quindici in un furgone da nove posti, senza la più misera tutela, merce da portare ai padroni che sanno fin troppo bene a chi e come viene affidato il lavoro nei loro ricchi poderi. Ricchi sì, ma solo per loro. Domani quei corpi senza nome aspetteranno la visita di chi su quelle vite doveva vigilare perchè erano anche loro dei cittadini, uomini come noi, magari meno uguali perchè il sangue di un nero non è mai abbastanza rosso. Lavoratori, si badi bene, non clandestini, e quando le autorità saranno andate via, quando il vento porterà via i loro bei discorsi, tra i filari delle viti o negli uliveti a San Severo come a Cerignola rimarrà la solita disperazione. 
Ma chi è oggi Kunta Kinte e chi sono gli aguzzini, i negrieri? Ma che fine hanno fatto i buoni sentimenti, i buoni propositi, la commozione di allora? Si è davvero persa così, tra la confusione degli sbarchi e dei gommoni a Lampedusa? È vero. In Italia non c’è posto per tutti. Probabilmente di posti a tavola ne abbiamo aggiunti troppi e non abbiamo più un pasto da dividere. Ma a chi mangia ormai al nostro tavolo non puó essere servito il fiele della cattiveria gratuita, dell’ingiustizia, della sopraffazione, della legge del più forte. Criticavamo gli americani, ma noi siamo davvero migliori di quello che erano loro? Le piantagioni di cotone non sono poi così lontane dai campi di pomodori se per sopravvivere sotto la soglia di povertà degli esseri umani devono essere caricati come bestiame in un carro e portati a sudare sotto un sole agguerrito per un pugno di pochi e maledetti euro. Domandiamocelo soprattutto noi ragazzi di allora, noi che ci indignavamo davanti ad una frusta, un sinistro cappuccio e un nodo scorsoio per l’ennesimo linciaggio in Louisiana. Domandiamolo ai nostri figli ai quali, forse, non abbiamo saputo inculcare il dono della tolleranza e diamoci tutti una risposta, perchè solo cambiando le nostre coscienze potremo cambiare noi, ma cambiare anche il mondo che ci circonda per non vedere più rosseggiare l’asfalto delle nostre strade del sangue di povera gente che a noi chiedeva solo di vivere e che invece abbiamo lasciato morire.
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    Francesco Bacchieri

    Francesco Bacchieri, all’anagrafe Stellacci, laureato in architettura a Firenze, vive ed esercita la professione di architetto in Toscana ormai da 35 anni, da dove però non ha mai mancato di seguire i Satanelli in giro per l’Italia. Da oltre un anno, come Francesco da Prato, a fine partita commenta a caldo  le prestazioni dei rossoneri nella rubrica "Io la vedo così... ". 

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