Sono le 22:15 di una serata piovigginosa e calda allo stadio Benito Stirpe di Frosinone. Diciassettemila anime gialloblù, compreso gli entusiasti cronisti di Sky, guardano ammutoliti il rettangolo di gioco dopo che Floriano, subentrato a Beretta, ha impietosamente infilato in rete il gol che consente al Foggia di raggiungere un meritato pareggio e al Frosinone di rimettere momentaneamente nel cassetto i sogni di gloria e i festeggiamenti per la promozione in serie A dei ciociari che tanti (forse troppi) davano oramai per scontata. Mancano poco meno di due minuti alla fine e Ciano si appresta a battere una punizione da più di venti metri quando un disperato Terranova sembra implorare Kragl di far segnare i suoi compagni, tanto al Foggia quel pareggio serve come la sabbia ai tuareg: a niente! Kragl è frastornato, quello è stato il suo pubblico solo l’anno scorso, non è insensibile a quel dramma che si stà consumando davanti ai suoi occhi, ma si stringe nelle spalle. Cosa potrebbe fare? Ciano nel mentre inventa una punizione che sospinta da migliaia di soffi punta decisa verso il “sette” alla destra del giovanissimo Noppert che nemmeno due settimane prima, proprio allo scadere, si era visto battuto da una punizione simile di Stulac del Venezia che aveva definitivamente messo la parola fine alle speranze Play Off dei rossoneri. Questa volta però l’olandesino volante non si fa sorprendere e distendendo i suoi due metri di altezza paralleli al terreno smanaccia fuori una palla che sembrava già rotolare in rete. Così l’incredulità, lo sgomento, si trasformano in rassegnazione mentre sinistri echeggiano nell’area i tre fischi dell’arbitro. La partita è finita. Ma andiamo con ordine e rimettiamo indietro di tre ore le lancette dell’orologio. Con una decisione strampalata quanto discutibile il sindaco di Frosinone, Nicola Ottaviani, chiede ed ottiene che i tifosi del Foggia siano inibiti dal raggiungere la squadra per tributarle l’ultimo saluto, l’ultimo incoraggiamento in un campionato che li ha visti protagonisti assoluti sugli spalti degli stadi di tutta la serie B, numerosi e pacifici. Lo Stirpe deve essere tutto gialloblù, le coreografie sono state preparate, è una sorta di festa privata ad invito, e i foggiani non sono graditi, una macchia rossonera sulle gradinate rovinerebbe le cerimonia ormai pronta da tempo. Nelle parole del primo cittadino il Foggia è poco più che una vittima sacrificale, una formalità da superare sul campo per rendere l’apoteosi credibile, sportivamente accettabile. A nessuno in Lega viene in mente che il Frosinone sarebbe stata l’unica squadra quest’anno a giocare in casa senza l’invasione dei tifosi rossoneri, particolare che l’avrebbe avvantaggiata rispetto a squadre come Parma e Palermo ancora in lizza per la promozione diretta. Ci sono nel calcio delle leggi non scritte, dei taciti accordi. Il Frosinone ha la A in pugno e deve solo formalizzarla con una scontata vittoria sul campo. Il Foggia è sicuro del nono posto ed è fuori da ogni lotta. La partita sarà poco più che una farsa, come ne abbiamo viste tantissime in tutte le serie, tante volte proprio a discapito del Foggia. Quest’anno ho seguito il Foggia dappertutto, assistendo e raccontando le chiamate a raccolta di interi gruppi organizzati dal nord e dal centro della penisola che per tutto il campionato hanno supportato gli ultras delle curve riempiendo di cori e di colori le trasferte dei satanelli. Avrei voluto non andarci anch’io, a Frosinone, per protesta e solidarietà con tutto il nostro popolo, ma ad Ottaviano non voglio dare questa soddisfazione. Racconterò anche questa trasferta, solo come una cane e circondato da maglie, sciarpe e berrettini frusinati. Arrivo in città con largo anticipo per andare a prendermi l’accredito che la società ha voluto gentilmente concedermi, ma non si passa. E’ tutto un delirio. Una fiumana di gente si accalca da ogni dove intorno allo stadio. Donne e uomini di tutte le età si accalcano intorno a decine di chioschi montati per l’occorrenza che friggono patate e arrostiscono salsicce. Sembra una festa patronale. Si ride, si scherza, si canta. All’improvviso ecco arrivare il pullman dei ragazzi di Longo. In un minuto è circondato da grida, manate sulle fiancate, vessilli sbandierati e ostentati, persino coriandoli. Mi chiedo se a qualcuno è stato detto che il Frosinone non è già promosso come l’Empoli, ma che deve battere il Foggia stasera se vuole festeggiare, almeno così vuole la legge dello sport. Ma alla partita nessuno ci pensa. Il Foggia è solo e demotivato, dovrà accodarsi ai festeggiamenti, magari una bottiglia di spumante si offrirà anche a loro, nel dopo partita, crepi l’avarizia. Alla fine il pullman riprende a fatica la sua strada ed io mi accodo scorgendo finalmente all’orizzonte la sagoma del nuovissimo Benito Stirpe. Appena entro provo a chiedere a qualcuno se se la sente di dire due parole nella mia diretta per Mitico Channel, ovviamente qualcuno dei tifosi del Frosinone. E’ tanto e tale il frastuono che faccio fatica a spiegarmi anche gridando. Appena sentono che sono del Foggia declinano tutti l’invito, quasi schifati. Una ragazza fa addirittura per strapparmi di mano il cellulare. Mi sento un corpo estraneo ma siccome sono testardo (e qualche volta anche incosciente), pur avendo presente l’orribile esperienza capitata al povero Piero Lasalandra proprio in una tribuna di Frosinone quindici anni prima, aggredito e malmenato dalla “gente per bene”, decido di fare lo stesso la diretta “unilaterale”, raccontando e mostrando le immagini che da Sky nessuno a casa può solamente immaginare. Riesco e rientro attivando il video per dare la sensazione agli spettatori di entrare con me sugli spalti. Ma è talmente tanta la gente, la ressa, la copertura massmediatica dell’evento che il segnale wi-fi non è abbastanza forte per supportare la diretta su Facebook. Provo un paio di volte, poi mi arrendo. Sfuggo agli sguardi di un bambino che indicandomi all’attenzione dei presenti sembra compiaciuto di avermi riconosciuto e guadagno il mio posto a sedere. Da lì a poco comincia lo spettacolo quasi circense. Canti, inni, feste, salti e colori, la gente non stà nella pelle. Nemmeno si accorgono che lo speaker stà scandendo i nomi della formazione del Foggia, qualche fischio, poi tutti a scandire a piena voce i cognomi degli undici eroi della ciociaria e del loro impavido condottiero. Vedo il povero Agnelli sbucare dagli spogliatoi e guardare quegli spettatori come il toro guarda la gente che sventola i cappelli e i drappi rossi quando entra nell’Arena. Stasera le vittime predestinate da “matare” sono loro e i nostri ragazzi lo sanno anche troppo bene. Per la prima volta non vedono e non sentono i loro tifosi accanto. Questa volta sono soli, per davvero. La gara inizia e l’incoraggiamento nemico è incessante, avulso da quello che succede sul campo dove il Foggia stà contenendo senza fatica la spinta degli avversari giocando a tutto campo e rispondendo colpo su colpo alle folate offensive degli uomini di Longo. Passa il tempo e il Foggia sembra padrone del campo. Rubin conquista una palla sulla linea dell’area e tira sbilanciato verso la porta. Il portiere devia sui piedi di Mazzeo che quasi incredulo insacca per il vantaggio rossonero. Nemmeno allora la gente si rende conto della tempesta che stà per calare sulle loro teste (e non soltanto in termini metaforici). Al bar, nell’intervallo, qualcuno mi dice: “E’ tutto scritto. Mazzeo si è trovata quella palla sui piedi, non poteva evitare di segnare. Nella ripresa metteranno le cose a posto” e continua a scolarsi allegro la sua birra. Mah, sarà… Quando raggiungo il mio posto noto che non sono il solo a tenere per il Foggia (oltre al mio accompagnatore). C’è la famiglia di Celli al completo, il babbo di Mazzeo, la figlioletta di Floriano con la giovanissima madre. Floriano, già, sembra proprio la sua partita penso, il Frosinone attaccherà a mani basse e in contropiede possiamo farli male. Ma Stroppa sembra non abbia nessuna intenzione di infierire. Ha detto ai suoi di giocarsi la partita senza condizionamenti, non di giocarsela alla morte. Le maglie si allargano, il Frosinone prende il pallino del gioco e sospinto dal suo pubblico prima pareggia e poi raggiunge quel vantaggio che sembrava già scritto sugli annali. Tutto come previsto, lo stadio esplode. Tutto intorno è un inferno di voci e di cori. I nostri resistono stoicamente ad assalti che ormai arrivano da tutte le parti, ma davvero non ci stanno a fare da sparring partners predestinati. Perdere va anche bene, ma la dignità, quella no. Dietro a me sento che si contano i secondi che mancano alla fine. Non faccio in tempo a pensare che il Frosinone forse dovrebbe narcotizzare il gioco piuttosto che cercare un altro gol che a seguito dell’ennesima incursione gialloblù Scaglia conquista una palla sulla fascia laterale destra e lancia Deli che vede Floriano staccarsi in velocità verso l’area. Sono secondi che durano un eternità. L’attaccante supera due avversari in velocità e con un perfido pallonetto lascia sul posto Vigorito. In un attimo tutto il chiasso si azzera in un silenzio tombale, come nell’incantesimo nella fiaba della “Bella addormentata nel bosco” rimangono tutti come impietriti e immobili. Non ci crederete ma sento distintamente il rumore della rete gonfiarsi per la palla catapultata dalla maligna parabola di Floriano. Il resto è cronaca. Pianti inconsolabili e strazianti dei calciatori frusinati increduli di quanto accaduto sotto i loro occhi. Terranova che continua a chiedere ad un sempre più mortificato Kragl “Perchè?”. I telecronisti attoniti e con voce fioca e rammaricata al cospetto di un disastro impronosticabile. La gente, tutta la gente, ferma come statue di sale incapace finanche di sfollare e con lo sguardo fisso al verde del prato quasi a chiedere spiegazione agli dei di tale infauso ed inspiegabile evento. Qualcuno pare quasi assente. La tragedia shakespeariana è così compiuta fino in fondo. Il nobile Macbeth è facilmente riconoscibile nell’ambizioso sindaco Ottaviani che sia pure non avrà adottato sanguinose trame per favorire la vittoria della sua squadra ha comunque tramato per ambizione umana contro chi chiedeva semplicemente di assistere all’ultima trasferta della propria squadra, i tifosi del Foggia, convitati di pietra la cui presenza è aleggiata nello stadio come il fantasma di Banquo a destabilizzare la mente del re di Scozia. Così, come in un teatro vittoriano, i perfidi avversari hanno perso il senno mentre le vittime sacrificali hanno preso coraggio permettendo a Malcolm (il Parma) di salire al trono (la promozione in serie A) in guisa loro. Ma aldilà dell’ardita comparazione con l’opera del poeta inglese un più terra terra “Non dire gatto se non l’hai nel sacco!” di molto più modesta Trapattoniana memoria è venuto alla mente un po’ a tutti i “non coinvolti”. Nessuno ci credeva, nessuno ci aveva pensato, ma tra il Frosinone e la gloria c’era una partita di calcio tutta da giocare, una partita di calcio che i nostri giocatori hanno onorato senza infierire sull’avversario (Mazzeo e Floriano nel finale hanno cincischiato a tu per tu con l’estremo difensore ciociaro) ma insegnando a tutti quali sono i veri valori dello sport, della correttezza e dell’onestà in campo e nella vita, cosa della quale sono sicuro non potranno non tenere conto i signori della magistratura sportiva nell’approssimarsi del processo per il recente deferimento del Foggia Calcio. Ma torniamo per un attimo ancora alla notte di Frosinone. Il tempo di uscire dal Benito Stirpe salutando due ragazzi di Foggia che sorprendo “prudentemente” presenti allo stadio con una orrenda sciarpa gialloblù e sono finalmente nel traffico per il ritorno a casa. La festa è finita, cala il silenzio. I chioschi hanno chiuso in tutta fretta, a terra giornali e volantini stracciati e calpestati inneggiano ad una promozione sfuggita via ai titoli di coda. Poi, nel silenzio, ecco risuonare degli spari a seguire i lampi di mille luci colorate. Già, i fuochi d’artificio, ormai erano programmati, partono all’improvviso a rischiarare una notte che qui faranno fatica a dimenticare.
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E’ venerdì 15 dicembre 2017, il Foggia gioca l’anticipo contro il Venezia con una classifica a dir poco deficitaria dopo una sconfitta a La Spezia (figlia di una prestazione abulica) terminata con la prima vera contestazione dopo l’apoteosi della promozione in B. In casa abbiamo racimolato un misero punto nelle ultime quattro gare interne (record negativo) e Zigoni ha messo in cassaforte il risultato per i veneti con una doppietta tra primo e secondo tempo. Allo Zaccheria il clima è surreale, ostile, rabbioso. Dalle curve i cori sono per la maglia, non per i ragazzi che stanno arrancando al cospetto dell’undici di Inzaghi. Guardo allibito dal divano di casa il tracollo non solo della nostra squadra, ma forse del sogno che avevamo cullato di un rientro alla grande nel calcio che conta quando, ad una manciata di minuti dal termine, Falzerano ha sui piedi l’occasione a porta vuota e spalancata per chiudere definitivamente la contesa sullo 0-3, rimandando probabilmente a Mulazzano Giovanni Stroppa ed infilando noi in un lungo e buio tunnel senza via d’uscita. In un attimo che sa di eternità, con lo stomaco vuoto dal terrore, migliaia di occhi rossoneri vedono quella palla che aspetta solo di gonfiare la rete infrangersi incredibilmente sul palo alla sinistra di Tarolli, proprio sotto la curva “Franco Mancini”. Il seguito lo conosciamo tutti. Quel palo, come esattamente un’anno prima a Melfi, cambia le sorti di Stroppa e del Foggia e darà il via alla grande rimonta rossonera che scalerà, sbalordendo tutti (noi per primi), la classifica dal penultimo al nono posto della graduatoria cadetta.
Il destino però si diverte a disegnare storie strane, corsi e ricorsi, e sarà proprio il Venezia ed un palo (per la verità più d’uno), ironia della sorte e a campi invertiti, a spegnere i nostri inattesi e inaspettati sogni di Play Off, facendo riporre a tutti nel cassetto il passaporto per la gloria. La fortuna dà, la fortuna toglie. Se il Foggia non meritava di pareggiare a tempo scaduto quella partita di dicembre ancor più il Venezia non meritava di vincere, sempre a tempo scaduto, la partita di sabato. Così a niente è servito, scherzando (ma non troppo), parafrasare le rime di Arnaldo Fusinato ne “L’ultima ora di Venezia” perché al Penzo la bandiera bianca alla fine l’abbiamo alzata noi. Ma è una bandiera bianca dolce e certamente molto diversa da quella tragica e luttuosa che decretò la fine della Repubblica Veneta. Gli spareggi per la A erano un miraggio lontanissimo, quasi un paradosso nel mentre Falzerano sbagliava quel gol fatto nei concitati minuti finali di Foggia-Venezia, e averli solo accarezzati ha dato un senso a tutto il nostro campionato, riscattando alla grandissima le sofferenze di un girone di andata al cardiopalma, soprattutto nell’ (ex)inferno dello Zaccheria, diventato per più di quattro mesi terra di conquista per tutti. I magici tifosi rossoneri hanno infatti apprezzato e coperto di affetto i nostri eroi nonostante le ultime sconfitte, nonostante il derby deludente, nonostante gli (o)errori di alcuni. Il Foggia si è salvato senza alcun patema d’animo, alla fine, esattamente come era nei programmi ai blocchi di partenza. Inutile rinvangare gli errori (che ci sono stati) del mercato estivo, inutile cercare colpevoli passati e/o presenti. Chi lavora sbaglia, lo sappiamo bene, l’importante è saper rimediare in tempo per non rovinare un’opera compiuta con così tanta fatica. A gennaio la rotta è stata corretta ed i meriti di un campionato più che soddisfacente vanno divisi in parti uguali tra i fratelli Sannella che hanno capito per tempo che la squadra costruita da Di Bari era inadeguata per la B, il DS Luca Nember che ha ingaggiato dei giocatori di categoria a zero euro, e mister Stroppa che cambiando modulo è riuscito a reinventarsi una squadra vincente ed affiatata in un paio di settimane (impresa tutt’altro che semplice e scontata). A noi tifosi rimane comunque la soddisfazione di essere stata la tifoseria vincente, la più numerosa, la più passionale, la più corretta. Sì, diciamolo a chiare lettere: la più corretta e sportiva (e non solo della serie B), come ce lo riconoscono le stesse tifoserie avversarie, da Carpi a Vercelli, da Ascoli a Cesena, da Parma a Venezia. Migliaia e migliaia di persone festanti al seguito senza che in alcun luogo si sia registrato il più piccolo incidente. Foggia calcistica è definitivamente rinata, i tifosi sono già da serie A, per qualcuno addirittura da Champions League, adesso la proprietà sa bene che, nonostante le note difficoltà extracalcistiche, può programmare seriamente un futuro con la “F” maiuscola, “F” come Forza Foggia, Sempre! Alla fine del campionato, quando si tirano le somme di un intero anno di tormenti, non è difficile che siano determinanti più le partite degli altri che le nostre. Così, messo in cascina il 2-1 contro lo Spezia allo Zaccheria, ci siamo tutti catapultati sul divano davanti alla tv per vedere se la Salernitana fosse riuscita nel miracolo di fermare la corsa del Perugia al Renato Curi. È Radunovic l’eroe rossonero del pomeriggio, ancor più di “Cristiano” Tonucci che con una semirovesciata da leggenda ha lasciato a bocca perta un distratto Zaccheria. Il giovanissimo portiere serbo va prima a togliere le ragnatele dal “sette” per neutralizzare una magistrale punizione di Diamanti e poi si supera ribattendo un colpo di testa ravvicinato di Cerri che strozza in gola l’urlo liberatorio di 8.000 perugini ad una manciata di secondi dalla fine. Se andiamo oggi a Venezia con ancora qualche speranza Play Off appesa ad un sottile filo di seta lo dobbiamo senz’altro al “ragno” di Belgrado. Al Penzo così sarà partita vera, com’è giusto che sia, e tornerà la laguna a tingersi di rossonero come un anno fa in supercoppa quando, già dalle prime luci dell’alba, era tutto un via vai di sciarpette rossonere sui ponti e sulle rive della Serenissima. Non sarà magari l’ennesimo esodo, ma più di mille anime al Penzo ribadiranno a tutt’Italia che quando il Foggia scende in campo non lo fa mai remingo (You’ll never walk alone! Do you remember?). Non ce ne vogliano gli amici veneziani ma come, adesso, non rievocare le celebri rime di Arbaldo Fusinati all’indomani della caduta della Repubblica di Manin e Tommaseo (inutilmente aiutata dai napoletani) nella speranza che questa volta sia rossonero l’invasore ostile? E allora giù con la parafrasi:
“…sulle tue pagine scolpisci o storia, che il Foggia venne in cerca di gloria; così il Venezia al Penzo arranca… sul ponte sventola bandiera bianca! |
Francesco BacchieriFrancesco Bacchieri, all’anagrafe Stellacci, laureato in architettura a Firenze, vive ed esercita la professione di architetto in Toscana ormai da 35 anni, da dove però non ha mai mancato di seguire i Satanelli in giro per l’Italia. Da oltre un anno, come Francesco da Prato, a fine partita commenta a caldo le prestazioni dei rossoneri nella rubrica "Io la vedo così... ". Archivi
Maggio 2020
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