Non si è ancora spenta la delusione per la sconfitta di Cittadella, che probabilmente mette la parola fine alle ambizioni da Play Off del Foggia, che è rimbalzata l’indiscrezione sul presunto accordo raggiunto tra la Società di V.le Ofanto e il DS Luca Nember per la prossima stagione agonistica del Foggia Calcio. Sarebbe dunque affidata al bresciano la programmazione per il campionato di B del 2018/19 all’insegna di un grande progetto che vedrebbe il Foggia sedersi al tavolo delle protagoniste per la promozione in serie A. Era stato proprio Nember che durante un’intervista a KickOff di oltre un mese fa aveva spiegato che il suo futuro a Foggia si sarebbe legato solo ad ambizioni certe di squadra e società per un torneo di vertice. In seguito lo si era visto nei pressi dello stabilimento Tamma, probabilmente in occasione di un colloquio chiarificatore con la proprietà. A suo tempo Fedele Sannella, in sede di presentazione del nuovo DS, aveva annunciato con il suo ingaggio un futuro ambizioso per la società, prima che le note vicende societarie facessero calare il silenzio su tutta l’operazione. Da allora però il Foggia ha fatto parlare di sè sul campo, passando in 15 giornate dal penultimo al nono posto in classifica, avvicinandosi addirittura a davvero pochi passi dal sogno Play Off. Naturalmente la notizia merita una conferma certa da parte degli interessati. Vedremo se nei prossimi giorni saremo smentiti o se, come tutta la tifoseria di augura, l’indiscrezione troverà conferma nei fatti.
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Dopo che Guarna Sabato ha passato a Nenè la palla che ha calato il sipario su un derby atteso per 21 lunghissimi anni a tanti, me compreso, è passata la voglia di continuare a seguire non solo quella partita, ma anche quello che restava di questo campionato di serie B del Foggia. La voglia, per la verità, non ce l’ha fatta tornare nemmeno Stroppa in una conferenza stampa del dopo partita che il tecnico di Mulazzano ha affrontato attaccando, consapevole che avrebbe dovuto difendersi difendendo il suo portiere: praticamente l’indifendibile.
Tralascio di commentare le solite ed inutili conseguenti polemiche, arriverei buon ultimo, ma a qualche giorno di distanza ci sentiamo traditi non tanto da Stroppa o dal nostro n. 1, ma da tutta una squadra che non ha saputo interpretare o giocare con la giusta determinazione quella che per tutti era “La Partita”, un vero e proprio campionato nel campionato, e se il secondo lo stiamo portando a termine andando ben oltre le più rosee aspettative (pensiamo a dove eravamo a dicembre), dal mini torneo coi cuginastri baresi usciamo sconfitti su tutta la linea. Stroppa, un po’ come a Parma, consapevole dell’importanza della posta in gioco, contro i galletti biancorossi aveva messo in campo la migliore formazione possibile chiedendo ai suoi una prestazione tutta cuore e carattere e vedendosi ancora una volta tradito da ragazzi che quest’anno troppo spesso nei momenti topici della stagione, laddove bisognava cambiare marcia, hanno avuto inspiegabili cali di tensione (vedi per esempio i tre regali fatti all’Empoli il lunedì di Pasquetta). La cornice di pubblico dello Zaccheria avrebbe meritato ben altra prestazione, ma forse anche più comprensione da parte del nostro condottiero in merito ai fischi piovuti addosso a Guarna dopo il “fattaccio” del pareggio. Quella protesta sarà stata crudele, impietosa, probabilmente controproducente, ma sicuramente umanamente comprensibile. Al contrario ci siamo presi l’ennesimo rimbrotto a dimostrazione che “Giuanin”, nonostante gli anni passati in Capitanata, continua a fare fatica a compenetrarsi fino in fondo negli umori e nei sentimenti del popolo rossonero che, dopo il “tradimento” sul campo contro la rivale di sempre, avrebbe meritato forse una carezza consolatoria. Pazienza, sarà per un’altra volta. Dopo l’ennesima battaglia persa, l’ennesima delusione, Martin Luter King era solito incoraggiare così la sua gente: “If you can’t fly then run, if you can’t run then walk, if you can’t walk then crawl, but whatever you do you have to keep moving forward!” [Se non puoi volare allora corri, se non puoi correre allora cammina, se non puoi camminare allora striscia, ma qualsiasi cosa fai, devi continuare ad andare avanti!]. Come dargli torto? Comunque sia è andata, il derby ce lo siamo lasciato alle spalle, la delusione verrà smaltita e la trasferta a Cittadella ci dovrà dire, questa volta definitivamente, se queste ultime partite saranno per noi una passerella di fine stagione od una lotta senza quartiere con lo scopo di accaparrarsi l’ultimo posto utile per continuare a coltivare un sogno al quale forse solo Stroppa (e gliene va dato atto) ha creduto sin dall’inizio. In ogni caso, però, bisognerà andare avanti a tutti i costi, anche strisciando, perchè su tutti incombe la spada di damocle dei deferimenti e del tribunale federale. Se qualcuno dentro o fuori la squadra aveva pensato di rilassarsi, di tirare i remi in barca e mollare la presa sul rush finale, ha di certo fatto i conti senza l’oste. Mettere fieno in cascina è quanto mai auspicabile perchè, se dovessero davvero arrivare punti di penalizzazione, si passerebbe dal sogno all’incubo senza nemmeno accorgersene. Ecco quindi che, a prescindere dal fatto che dopo Cittadella rimarrà o meno vivo l’obiettivo dei Play Off ed il miraggio della serie A, dobbiamo fare punti nelle poche giornate che restano perchè non possiamo, non dobbiamo, non vogliamo permettere che per qualsiasi motivo ci venga tolto il giocattolo che ci è costato anni di sofferenze. Ricordiamocelo bene tutti: al Foggia non ha mai regalato niente nessuno e quello che abbiamo ce lo siamo guadagnato fino all’ultima goccia di sudore. Così, se un attimo dopo il pareggio nella sfida contro il Bari non avrei scommesso un euro sulla mia trasferta in Veneto, adesso ho già il biglietto ed il pullmino pronto per il Tombolato e mi sono tenuto libero il sabato pomeriggio. E voi? Da qualche parte, lassù sopra l’arcobaleno, sono sicuro che c’è un angelo grande e bonaccione che con la sciarpa del Foggia al collo continua a guidarci e a seguirci da lontano. Il corpo muore, è il nostro destino, ma quando l’amore è così grande fa fatica ad estinguersi, lo senti, lo percepisci quasi nell’aria. Margaret Mazzantini in “Non ti muovere” scrive che “quando qualcuno ci lascia non sappiamo dove va ma sappiamo dove resta”. Piero La Salandra, detto “Pierino”, sappiamo dove trovarlo tutte le volte che saliamo i gradoni dello Zaccheria e guardiamo verso la sua Curva, la Sud, e ci sembra impossibile non scorgere quel gigante buono circondato da centinaia di Ultràs dei quali è stato la guida, l’ispirazione, il comandante assoluto e riconosciuto dalle masse. Ho conosciuto Piero La Salandra quando avevo sedici anni, uno più di lui. Io ero un ragazzino innamorato del Foggia che sognava di diventare ultrà, lui aveva già fondato il REGIME ROSSO NERO, il primo vero gruppo organizzato del tifo foggiano, insieme agli inseparabili amici Matteo, Michele, Rosario, Massimo, Emilio, Roberto, Rocco, Adriano e Fabio a cui dopo si aggiunsero Domenico, Luciano e tantissimi altri ancora. Erano gli ultimi anni di Puricelli e della serie B con Benevelli, Bozzi, il foggiano Caravella (genio e sregolatezza), Petruzzelli e Sciannimanico e la cadetteria era una mini serie A con squadre come il Milan (che a Foggia perse e non riuscì a batterci nemmeno a San Siro), la Lazio, la Sampdoria, il Genoa, l’Atalanta ed il Palermo. È proprio in quegli stadi prestigiosi che Piero e il suo REGIME cominciarono a far parlare di sè per il tifo onnipresente, instancabile, rumoroso. In una trasferta all’Olimpico contro la Roma qualcuno mi disse: “Ce ne vogliono due di noi per urlare come uno di voi”, ed era vero. Ma non si può parlare di Piero senza addentrarsi nel mondo degli Ultràs, un mondo che è stata ed è una realtà all’interno della realtà del popolo rossonero, una realtà che ha le sue regole, i suoi principi, i suoi codici d’onore. Per un ultrà il tifo è una ragione di vita che va molto oltre il mero momento sportivo, è una ragione di essere, spalle alla porta e mano a tamburi megafoni la partita non si “vede” con gli occhi ma si “sente” nell’anima, in simbiosi mistica con gli undici ragazzi in campo. Con le mie orecchie quest’anno a Palermo, sul 1-0 per i rosanero, ho sentito dire da un ultrà della Sud: “Ragazzi ora dobbiamo dare tutto, fino alla fine, non lo vedo ma so che il Foggia stà giocando bene, non possiamo tornare a casa senza questa vittoria!” Quell’ultrà si era fatto (con gli altri duecento) dodici ore di pullman per essere lì solo per incitare la sua squadra.
Così era Piero. Occhi negli occhi e cuore nei cuori di chi scendeva in campo con la maglia rossonera, chiunque fosse. E i calciatori lo sapevano e con lui hanno sempre condiviso tutto, nel bene e nel male, fino a nascondere bandiere, tamburi e striscioni negli spogliatoi per poi passarli ai suoi ragazzi sulle curve prima della partita. Quando Piero ed i suoi amici cominciarono quest’avventura presero in affitto un piccolo locale al Carmine Vecchio dove si preparavano cori, slogan, striscioni e strategie per la domenica. Si viveva per quello, da una settimana all’altra. Per Piero il Foggia era tutto e qualcosa di più. Amava la sua famiglia, ma spesso rivolgendosi a fratelli e nipoti, prima di partire per l’ennesima trasferta, era solito dirgli: “Voi siete voi, d’accordo, ma il Foggia è il Foggia!” Di aneddoti legati a lui ce ne sarebbero centinaia, non episodi, ma vere e proprie “gesta”, quasi eroiche, che bisognerebbe essere o essere stati ultràs per apprezzare e comprendere fino in fondo. Ne racconteró una che ci descrive alla perfezione Piero come capo ultrà. In occasione di una gara a Foggia contro la Lazio, mai molto amata a Foggia (per usare un eufemismo), uno dei capi degli IRRIDUCIBILI (già EAGLES SUPPORTERS), tale “Diabolik”, sbruffoneggiava in città considerandosi un ultrà temuto ed intoccabile, anche in trasferta. Finì in un cassonetto dell’AMICA con una buccia di banana in testa ma senza grosse conseguenze personali. Si dice che lo mise lì Pierino per fargli capire che a Foggia gli smargiassi facevano poca paura. Ma Piero era in fondo un buono, lo capivi guardandolo negli occhi. Sempre pronto a dare una mano a chi era in difficoltà, a proteggerti con la sua mole rassicurante davanti ad un pericolo, sempre pronto a pagare il conto alla fine se qualcuno era in bolletta. Era anche divertente ed ironico, come solo le persone intelligenti sanno essere. A San Siro, la prima volta che la squadra di Zeman affrontó l’Inter di Orrico, ad un parcheggio un abusivo gli sbarró la strada dicendogli: “Dove andate? Qui non si posteggia, è riservato alle autorità comunali!”. E Piero di rimando: “A sì? E allora qui siamo tutti Assessori anzi, qualcuno è addirittura Consigliere!” Così fece parcheggiare tranquillamente auto e pullmini e si avviò agli ingressi del Meazza. Il REGIME in quegli anni aveva molti nemici, come gli ultràs del nord, quelli della Lazio, del Bari, ma anche fraterne amicizie, come quella con il COMMANDO ULTRA’ CURVA SUD della Roma o con gli SCONVOLTS di Cagliari, poi naufragate. Altri tempi. Piero La Salandra però non era solo un capo ultrà, aveva una passione smisurata per il calcio, una passione che aveva ereditato in famiglia (suo padre, allenatore, era stato anche in prova all’Inter ai tempi di Herrera), tanto che in città fondò la Fovea Calcio a 5 che proprio poco dopo la sua morte approdò addirittura nella serie B nazionale. È stato insindacabilmente il progenitore del tifo ultrà a Foggia. Se ad uno della mia età chiedi chi sia stato il giocatore per antonomasia del Foggia tutti ti risponderanno “Gianni Pirazzini”, i più vecchi si ricorderanno del grande Cosimo Nocera o di Matteo Rinaldi, i più giovani di Cristian Agnelli, ma se ad un ultrà della Sud o della Nord chiedi chi sia stato il più grande di tutti loro non potranno che risponderti “Pierino La Salandra”. Non è un caso se la Curva Sud gli è stata dedicata, anche se nel suo nome ci piace ricordare pure quello di tanti altri ragazzi morti in giovane età e che hanno dedicato la propria vita al Foggia ed al tifo (ai quali va comunque il nostro commosso ricordo). Nel 2001 il giocattolo del REGIME ROSSONERO si ruppe e nemmeno Piero riuscì a rimetterlo insieme. Lui, che era stato il collante di tutto e tutti nel nome del Foggia, dovette accettare le divisioni, le “due Curve contrapposte”. Troppo diverse e inconciliabili le posizioni e le convinzioni tra alcuni ragazzi, allora meglio dividersi che litigare. Ma Piero il “suo” mondo diviso in due realtà allo Zaccheria per (s)fortuna lo vide per poco, il destino bussava alla porta alla vigilia di una trasferta a Frosinone che sembrava pacifica, come tante altre. Quel pomeriggio di sedici anni fa, ironia della sorte, non era in curva con gli Ultràs, ma tranquillo in tribuna con sorelle, cognati, nipoti ed amici a godersi la partita. Qualcosa però, inaspettatamente, andò per il verso sbagliato. La confusione, l’agressione, la fuga fuori dallo stadio per proteggere i suoi cari. Piero si risvegliò l’indomani a Foggia con le gambe tumefatte dagli urti e dai calci subiti. Era diabetico e le ferite non si rimarginavano facilmente. Il ricovero all’Ospedale di Larino, il trasporto alla camera iperbarica, una caduta dalla barella che lo trasferiva, l’emoraggia interna e la morte. Non aveva nemmeno 38 anni e al suo funerale c’era la tifoseria intera, vecchi, donne e bambini, la squadra, la società, bandiere e sciarpe di tutti gli ultrà d’Italia. Come dicevo ci sono dei codici d’onore nel mondo degli ultràs, e davanti alla morte di uno come lui, di uno di loro, i colori si confodono in un’unica grande bandiera, come per miracolo. Così quel giorno Pierino fu strappato alla vita e consegnato al mito, come succede solo ai migliori. Ho conosciuto Piero La Salandra che avevo sedici anni e porto il suo sorriso nel cuore, e sento ancora il suo tamburo suonare tutte le volte che mi affaccio sui gradoni dello Zaccheria. C’è una famosa canzone che Judy Garland cantava nel film “Il Mago di Oz” e che qualche tempo fa un cantante hawaiano, Israel Kamakawiwo’ole, un’altro gigante buono morto anche lui all’età di 38 anni, ha riportato al successo che dice: “Somewhere over the rainbow, way up high, the dreams that you dream of, dreams really do come true”. [Da qualche parte sopra l’arcobaleno, proprio lassù, i sogni che hai fatto diventeranno realtà]. Ebbene io sento che da qualche parte, lassù sopra l’arcobaleno, c’è un angelo grande e bonaccione che con la sciarpa del Foggia al collo ci aiuterà a far diventare realtà il sogno che da tanto, troppo tempo vive quasi nascosto negli angoli più remoti delle nostre più inconfessabili fantasie. Ciao Pierino, resta tuo il nostro cuore, rossonero come il tuo. |
Francesco BacchieriFrancesco Bacchieri, all’anagrafe Stellacci, laureato in architettura a Firenze, vive ed esercita la professione di architetto in Toscana ormai da 35 anni, da dove però non ha mai mancato di seguire i Satanelli in giro per l’Italia. Da oltre un anno, come Francesco da Prato, a fine partita commenta a caldo le prestazioni dei rossoneri nella rubrica "Io la vedo così... ". Archivi
Maggio 2020
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