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L'analisi tecnico/tattica   Padova - Foggia 1-1

19/2/2019

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Alla bella incompiuta (ma incoraggiante) prova contro il Pescara, il Foggia, recatosi in Veneto, ottiene l’effetto contrario a quello desiderato, ottenendo un pareggio che sa più di sconfitta, visto e considerato che è arrivato in zona Cesarini, e perdendo la possibilità di scavare un piccolo fossato tra sé, e le ultime 4 della graduatoria, tutte perdenti (Crotone, Livorno e Carpi).

Una gara praticamente dai due volti, anche se va detto, dettata anche soprattutto dalle situazioni di classifica di ambedue le squadre

Questa volta volta a causa di squalifiche e, probabilmente, anche di alcuni giocatori non in perfetta condizione fisica, Padalino cambia il modulo e la formazione con Chiaretti e Deli alle spalle di Mazzeo in un 3-4-2-1, che però in realtà nascone un più camuffato 4-3-3 col debutto di Ingrosso sulla linea dei difensore e, per l’occasione, dirottato a sinistra per sostituire lo squalificato Ranieri. 

La fase difensiva, così come col Pescara, di settimana in settimana migliora, si rischia poco e non si vivono più quei timori che condizionavano la squadra in occasione di ogni scorribanda avversaria anzi, Billong stesso, sta cercando con la sua  grinta e determinazione di trasmettere serenità e coraggio alla squadra, vedi le sue grazie due uscite palla al piede - nel primo tempo - in fase di impostazione. Segno evidente di un notevole cambio di passo, pelle e spessore dell’intero reparto. 

Il centrocampo ha concesso poco o nulla ad una squadra molto debole qual è sembrata il Padova, con un Busellato in un ottimo stato di grazia in queste ultime due partite (sua la diagonale sul quale è stato rubato il pallone che ha fatto scattare l’azione del gol di Chiaretti).

Tutto questo per solo 45 minuti. Perché nel secondo tempo, giocando con più di 7 uomini dietro la linea della palla - poiché giustamente non puoi permetterti di perdere contro una tua diretta concorrente alla salvezza - il Foggia si è abbassato, tanto, troppo, rintanandosi negli ultimi 30 metri, aspettando solo un contropiede ideale, rendendo inesistente la fase offensiva. Una scelta che a volte può pagare, ma non sempre. Una strategia rischiosa per una squadra bisognosa di punti e raramente capace di gestire un vantaggio minimo. 

Al netto delle sostituzioni, una delle quali obbligate per un leggero infortunio a Deli, la squadra, dal punto di vista psicologico, ha avuto un approccio nella ripresa troppo “leggero”, dettato probabilmente dal voler vincere la partita col semplice gol di scarto, che comunque se fosse arrivata avrebbe inciso parecchio positivamente sul morale. Invece il Padova ha iniziato a lavorare ai fianchi i nostri, specie sulle corsie laterali, con gli innesti di Baraye e Zambattaro, cercando con più convinzione la via della rete, arrivata poi nel finale di partita. 
Un gol sul quale, analizzandolo con calma, possiamo esprime alcuni concetti fondamentali sui quali poter fare poi un piccolo ragionamento:
- Loiacono, pur non avendo grandi colpe, avrebbe potuto pressare di più Trevisan costringendolo ad andare verso la bandierina, impedendogli poi in questo caso la soluzione “all’indietro”, poiché non c’erano giocatori veneti in quella zona pronti a ricevere il passaggio di scarico. (Anche se voglio ammettere che questa iootesi non regge tantissimo);
- ammesso che Leali non abbia chiamato la palla, Agnelli ha fatto bene ad intercettare quel pallone, ma anziché lateralmente, avrebbe dovuto respingere quel pallone o in corner o verso la zona di provenienza del cross; in quel caso l’area di rigore sarebbe stata liberata senza particolari patemi d’animo. In caso contrario (palla chiamata), avrebbe dovuto fidarsi di più del suo portiere,  che (generalmente) sui traversoni, quando chiama la palla con l’urlo “MIA!”, nel 90 per cento dei casi, va in modo sicuro per abbrancare o respingere il pallone.
- Il cross dal fondo di Trevisan è stato preciso, ma a differenza di quanto succede solitamente negli ultimi minuti, dove l’area di rigore è affollatissima e piena di traffico, non c’era alcun attaccante in agguato su quel pallone, che per assurdo Agnelli e Leali avrebbero potuto tranquillamente lasciar andare al centro, dove Billong avrebbe sicuramente spazzato via, gettando il pallone il più lontano possibile.

L’attacco, anche se a tratti ha provato a pungere, rimane sterile perchè, a parte il gol di Chiaretti ed i tiri precisi ma deboli di Mazzeo e lo stesso Chiaretti nel primo tempo, non ha mai portato un vero pericolo per la porta biancoscudata. È un difetto sul quale Padalino deve cercare di porre rimedio, nel più breve tempo possibile, perché cercare di risalire la china con i semplici 1-0 è un pensiero folle, considerando il fatto che a breve termine avremo di fronte squadre molto più forti, con le quali bisognerà sudarsi le cosiddette sette camicie per ottenere punti preziosi nella corsa salvezza. Diciamo la verità: 4 gol in 6 partite sono troppo pochi, e due di questi sono giunti dai centrocampisti, a dimostrazione del fatto che l’attacco gira a vuoto e piuttosto maluccio, senza i giusti rifornimenti e riferimenti. Mazzeo e Iemmello possono e devono dare di più, ma non soltanto loro in solitario, anche la squadra deve mettere le punte in condizioni di battere a rete.

In conclusione, un Foggia che deve necessariamente voltare pagina, sotto tutti i punti di vista, andando in campo con più serenità e più voglia di fare risultato. Le avversarie di medio-bassa classifica non sono così forti come ci aspettavamo, e sembra quasi stiano aspettando il Foggia. Nelle prossime gare bisogna sfruttare il calendario favorevole e meno impegnativo rispetto alle dirette concorrenti, portando a casa almeno 5 punti in 3 partite.
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​Resistere resistere resistere

17/2/2019

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​Quando Francesco Saverio Borrelli capì che la politica si era autorigenerata e che i risultati della stagione di mani pulite venivano minati alla radice da una scellerata riforma giudiziaria, non accettó supinamente che gli eventi lo scavalcassero, ma pronunció tre fatidiche parole, un disperato grido di allarme: “resistere resistere resistere!” Quelle riforme scellerate non passarono, come non passarono le truppe austriache sul Piave dopo la disfatta di Caporetto, quando quelle stesse tre parole, non a caso citate dal Procuratore della Repubblica milanese, le pronunció prima di lui Vittorio Emanuele Orlando, Primo Ministro italiano negli anni della Grande Guerra, all’indomani di quella che sembrava ormai l’inevitabile resa del Regio Esercito italiano. Chi mi legge sa che sono aduso a paragoni aulici ed accostamenti azzardatissimi raccontando degli umani affanni del Foggia e dei suoi tifosi, ma qualcuno, sin da bambino, mi ha insegnato che la storia è maestra di vita ed è proprio da questa maestra che dobbiamo attingere per imparare il difficile mestiere di vivere. Ieri pomeriggio, ad una manciata di secondi da una vittoria probabilmente legittimata sul campo, un indecisione fra Leali ed Agnelli ha consentito al Padova di raggiungerci sul pareggio. Anche ad un impassibile e professionale Antonio di Donna, che sedeva accanto a me in tribuna stampa, è calato sul volto un ombra di scoramento, quasi di resa. All’Euganeo, come davanti alle tv ed ai pc di tutti i tifosi del Foggia sparsi per il globo, ci si è ghiacciato il sangue nelle vene, ci è preso un vuoto allo stomaco, si è imprecato, si è inveito contro la malasorte. Poi ecco il capro espiatorio su cui riversare la rabbia, lo sconforto. A chi ha sbagliato niente è stato risparmiato. Accuse, offese feroci. Una vergogna. Ancora una volta l’essere nati in questa amara terra non ha certo alleggerito  (tutt’altro) il peso di un errore che in una partita puó capitare a tutti, come era capitato ad un calciatore del Padova nel frangente del nostro momentaneo vantaggio. La sorte dà, la sorte toglie. Il problema è che per adesso al Foggia la sorte ha poco dato, anzi pochissimo, e tanto ha tolto, anche se qualcuno  a Foggia proprio non riesce a vederlo, nonostante 14 pali presi e 2 rigori falliti siano lì a dimostrarlo, per citare le “sventure” più macroscopiche. I benpensanti mi diranno allora che “audentes fortuna iuvat”, che il fato non esiste, che ognuno è padrone del proprio destino, che le grandi squadre sono tali perchè sono più forti anche delle avversità. Tutto vero, ma io non ho visto ragazzi scendere in campo senza voglia di lottare, senza grinta, senza cattiveria. Contro una diretta concorente, forte o debole che fosse, siamo andati ad imporre il nostro gioco. Ci abbiamo provato per tutto il primo tempo, li abbiamo contenuti mentre con rabbia, nella seconda frazione, hanno provato a riprendersi la partita, rischiando una sola volta,  quando proprio il nostro capitano ha contrastato un tiro di Aldenkovic destinato alla rete. Abbiamo mancato di un niente il raddoppio con Chiaretti, anticipato di un soffio da un bravissimo Minelli. L’audacia c’è stata. Io l’ho vista. La fortuna no. I proverbi non sempre dicono il vero. L’ho scritto e riscritto sino alla noia. Chi ha il cuore debole, chi non vuole soffrire, chi vuole tutto e subito, chi ama vincere facile, non è adatto a tifare per il Foggia. Il Foggia è proprio nell’essenza della sorte del suo sfortunato (in questa circostanza) capitano. Non siamo e non saremo mai  i primi della classe. Solo Zeman, forse, ci ha illuso per una stagione miracolosa di esserlo. Noi siamo la plebe del calcio e non dobbiamo vergognarcene. Noi sbagliamo perchè comunque ci proviamo e riproviamo, e solo con l’abnegazione ed il coraggio abbiamo raggiunto qualcosa nella nostra ormai secolare storia. A noi nessuno ha mai regalato niente. Tutto quello che abbiamo ottenuto lo abbiamo ottenuto con lacrime e sangue, lottando con le unghie e coi denti, stringendo i pugni, soffrendo fino all’ultimo secondo, fino all’ultimo battere di ciglia. Non so se Agnelli ieri abbia sbagliato. Non so se magari anche Leali avrebbe dovuto chiamare con più vigore la palla. So peró che Cristian, per quanto ha giocato, ha dato il meglio di sè, e che anche in quella sfortunata circostanza ha fatto di tutto per allontanare quella maledetta palla dalla nostra porta, ed è per questo che non gliene faccio una colpa, anzi il contrario. Siamo la plebe del calcio, come il nostro grande capitano, che da quella plebe, da quel sacrificio, è venuto e che meglio di tutti ci rappresenta con l’orgoglio di chi si è fatto da solo con cieca dedizione al lavoro. E la plebe vince solo se stoicamente resiste, contro tutto, contro gli avversari, contro le avversità, contro le cattiverie. Resisterà Agnelli, resisteranno Padalino ed i suoi ragazzi. Resisteremo noi se ci continueremo a credere perchè non abbiamo altra scelta, perchè questo è il nostro splendido e doloroso destino.
Resistere, resistere, resistere.
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L’importanza di chiamarsi Cristian

17/2/2019

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Oscar Wilde è stata una delle menti più lucide e dissacranti del XIX secolo, una spina nel fianco dell’ obesa e borghese società vittoriana. Per Wilde niente era scontato e niente era come appariva. Il suo disincantato studio delle contraddizioni formali nella società inglese ne fecero un personaggio tanto scomodo tra i suoi contemporanei quanto unico ed irresistibilmente sublime per i posteri. C’era una cosa che contraddistingueva Wilde: il coraggio di dire sempre quello che pensava, comodo o scomodo che fosse, di non nascondere mai con ipocrisia la sua diversità, disposto a perdere tutto pur di difenderla, fossero finanche la fama, la ricchezza, la sua stessa vita. Qualcosa che solo trent’anni dopo capitó, seppure in modi e circostanze molto diverse, a Federico García Lorca, altra mente assoluta e perseguitata della letteratura contemporanea. Quando Wilde cadde nella polvere, quando venne ridotto in miseria e privato della propria libertà personale e costretto persino ai lavori forzati, dei clamori e dello scintillante successo decretatogli unanimemente dalla società sulle due rive dell’oceano, rimase un unico vecchio amico ad attenderlo all’uscita del carcere. L’unico che aveva capito quello che poi tutto il mondo avrebbe capito soltanto dopo la sua morte. Quando Cristian Agnelli decise di tornare a Foggia era nel pieno della sua carriera di calciatore. Certo non era un ragazzino, ma avrebbe potuto comodamente chiudere la carriera tra i professionisti. Le occasioni non gli sarebbero mancate. Scelse invece di sposare il progetto di rinascita del Foggia di Pelusi e Padalino, ripartendo dalla serie D, adattandosi a giocare su campi talmente squallidi che nemmeno quando giocava nella primavera del Lecce aveva mai calcato. Ma soprattutto decise di mettersi al braccio quella fascia da capitano che, per chi è nato a Foggia ed indossa i colori rossoneri, pesa come un macigno. Niente ti sarà perdonato, tutto è dovuto. Se avrai fatto bene avrai fatto il tuo, se avrai sbagliato sarai un traditore, sarai polvere. Anche i nomi hanno un destino, e come Wilde giocava col doppio significato del nome Ernesto, mi perdonerete se io, molto più modestamente, mi cimento nello stesso ardimento. Cristian, letteralmente “che viene secondo la legge di Cristo”, ha cantato ed ha portato la croce in questi sette lunghissimi anni in maglia rossonera. Si è sacrificato sul campo e fuori. Ha tenuto stretto e compatto il “suo” spogliatoio dopo esoneri e tempeste, squalifiche e momenti nerissimi, non dimenticando mai, rinnegandolo, il ruolo di capitano della squadra della sua città, della sua gente, del suo cuore. Non ricordo una partita di Agnelli che non l’abbia visto combattere e contrastare l’avversario su tutte le palle, dall’inizio alla fine di ogni contesa, si vincesse o si perdesse. Non ricordo essersi mai sottratto ai propri doveri, non ricordo un lamento per una panchina di troppo, non ricordo una volta che si sia sottratto ai tifosi nei momenti peggiori, sempre con lo sguardo fiero di chi ha adempiuto fino in fondo al proprio compito, sempre un passo avanti ai suoi compagni, nella buona e nella cattiva sorte. Non so se ieri Cristian abbia sbagliato, non so se sia stato sfortunato o se, complice il suo portiere, abbia sbagliato un rinvio. So che il Padova attaccava e lui era lì a fare il suo dovere, a proteggere la porta, a cacciare via ogni pallone che spiovesse pericoloso in area, insieme a tutti i suoi compagni che, a quella vittoria, tenevano come e forse più di noi. La frase più bella che ho letto su un Vangelo a cui ho smesso di credere da tempo, perchè nauseato da come gli umani ne abbiano abusato, dice: “Chi è senza peccato scagli la prima pietra!” E per uno scherzo del destino la pronunció proprio un uomo che si chiamava Cristo. Chi di noi non ha mai sbagliato? Sbaglia chi non dà tutto di sè in quello che fa ed in quello in cui crede. Il nostro, il mio capitano, quando scende sul rettangolo verde, porta tutta la sua gente nel cuore, e se ha sbagliato ha sbagliato per troppo amore. Io questo glielo perdono, ammesso che sia da perdonare chi lotta sempre con il coraggio e la passione che nel gioco ci mette Cristian. Io mi dissocio da chi oggi vomita sentenze, offese, ingiurie, calunnie, da chi non vuol bene nè a Cristian nè al Foggia. Mi dissocio perchè fino a che ci saranno giocatori come Cristian Agnelli a portare sulle spalle i sublimi colori del Foggia, potremo anche retrocedere, ma non usciremo sconfitti, mai.

​Francesco Bacchieri
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L'analisi tecnico/tattica Foggia Pescara 1-1

11/2/2019

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Dopo l'ottima prestazione di Palermo, il Foggia fa un piccolo passo indietro, gettando alle spugne una vittoria che per la verità avrebbe meritato, ma la sfortuna, le parate di Fiorillo e qualche imprecisione di troppo, hanno determinato questo pareggio che va stretto alla squadra di Padalino, considerando che il Pescara ha fatto poco o nulla, per impensierire più di tanto Leali.
Pillon, come in una partita di scacchi,  è stato bravo ad "occultare" Marras (ex Alessandria), partito col compito di sostenere le due punte Monachello e Mancuso all'apparenza, ma in verità con la volontà di offuscare la fonte di gioco del Foggia, Leandro Greco, impedendogli oltre di uscire dal contropressing, la ricerca del cosidetto "terzo uomo".
La fase difensiva, a zona, ha retto molto bene, con Billong e Martinelli sempre pronti a togliere dalla testa delle due punte abruzzesi palloni pericolosi, anche rischiando qualcosina (leggasi il quasi autogol dello stesso numero 14 rossonero all'8° minuto).
Ma vedendo il rovescio della medaglia, il Pescara si è reso pericoloso soltanto grazie alle lacune da parte dei centrali di difesa del Foggia (Loiacono, a fine primo tempo e Greco al 21esimo minuto) e l’unica vera costruzione di una palla gol è nata in occasione del tiro a rientrare di Mancuso, fuori di poco alla destra di Leali, e sul fallo da rigore, che è stato un fallo – a mio parere inesistente - forzato visto che sulla destra Monachello era pronto a sferrare un diagonale vincente.
Il centrocampo ha retto benissimo, in particolar modo si è rivisto un ottimo Deli, non solo per lo splendido gol realizzato, ma anche perchè la difesa del Pescara andava sul "chi va la" (anche per la presenza di Iemmello che lo supportava), consentendo l'inserimento delle mezz'ali. In una di queste occasioni, - precisamente al 34esimo - se Galano avesse alzato lo sguardo, avrebbe potuto servirlo nello spazio centrale, creando una pontenziale palla gol.
La fase offensiva invece ha soltanto mancato di concretezza e fortuna, perché Iemmello è incappato in una delle tante troppe giornate no che gli stanno capitando da un po’ di tempo a questa parte (non se lo merita), sebbene nella seconda occasione avuta va riconosciuto il merito a Fiorillo di aver chiuso lo specchio della porta, attaccando lo spazio ed effettuando una bella parata a terra. Nella prima occasione, invece, l’attacco della profondità e il sombrero al difensore del Pescara è stato un qualcosa di strabiliante.
La maledizione Galano invece continua, perché il ragazzo, sebbene con tanta volontà, è imprigionato da questa voglia continua di sbloccarsi e rispondere alle troppe pressioni che non lo fanno giocare con la dovuta serenità e lucidità. Alcune occasioni chiave, sia come goleador che come uomo assist, possono risolverti la partita con una giocata, mentre i troppi tiri da fuori, sebbene potenzialmente pericolosi, sono a tutt’ora una zavorra che condiziona pesantemente il giocatore. Ma al contempo sono sicuro che, appena riuscirà a sbloccarsi, sarà sicuramente messo in condizione di far male come ci era abitati a vederlo col Bari.
Lo stesso discorso vale anche per Kragl, poiché un suo tiro da una zolla di campo dalla quale fece gol con l’Entella lo scorso anno, è finito in curva. Una cosa rara per uno come lui, segno del fatto che la posizione in campo ed il modulo non lo aiutano particolarmente, ma in questo momento sia lui che la squadra hanno bisogno di ricompattarsi dopo le tante, troppe disattenzioni che sono costate punti e vittorie. I nuovi acquisti ed il nuovo modulo, per ora, sebbene a metà, stanno dando ragione a Padalino, ed il fatto di aver subito un solo gol contro due avversari pericolosi (Palermo e Pescara), deve infondere fiducia e positività in tutto l’ambiente e non solo dei calciatori.
In conclusione un Foggia bello ma che può e deve dare qualcosa di più poiché in alcune circostanze poteva, soprattutto nel primo tempo, creare molto visto le imbucate centrali lasciate da Campagnaro e Scognamiglio, dove è mancata personalità e coraggio, che a mio parere avrebbero potuto consentire al Foggia di realizzare il gol del 2-1.
 
Bisogna continuare su questa strada anche in quel di Padova, dove urgono i 3 punti, per riavvicinare il Cosenza ed allungare sulle ultime 4. Una tappa fondamentale nel prosieguo del cammino del Foggia.
                                                                                                                                   
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I 300 di Palermo

5/2/2019

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Nella storia, nella letteratura e nella mitologia, 300 è il numero degli eroi per antonomasia. Nel V secolo a.c. 300 spartani, comandati da Re Leonida, tennero testa all’esercito di Serse, mille volte superiore per numero (episodio a cavallo tra realtà documentata e leggenda), ritardando l’avanzata dell’esercito persiano, che poi quella guerra d’invasione finì per perderla (o quantomeno non la vinse). Ma anche Carlo Pisacane, nel 1857, comandò 300 coraggiosi che a Sapri provarono a trascinare la popolazione locale verso la rivolta ai Borboni, fallendo nell’impresa, perdendo tragicamente la vita, ma essendo consegnati per l’eternità ai posteri ed al mito attraverso le strofe della celeberrima poesia di Luigi Mercantini “La Spigolatrice di Sapri” (Eran Trecento, Eran giovani e forti …).       
Non è la prima volta che mi cimento, osando, nel paragonare “gesta sublimi” alle imprese dei nostri tifosi sui gradoni degli stadi italiani. Mi perdonerete l’ardire del confronto, ma il calcio è fatto anche di simboli e di gesta, e quello che hanno fatto quei 300 ragazzi venuti da Foggia, alcuni anche da molto più lontano, per incitare gli uomini di Padalino al Barbera, se non ha del leggendario, sicuramente è qualcosa che lascia ammirati, commossi. Non saranno morti come i soldati ellenici o i temerari di Pisacane, ma di sicuro qualcuno oggi avrà come minimo la febbre o il raffreddore - se non di peggio - per aver sopportato stoicamente, fianco a fianco, non solo un viaggio tremendo ed estenuante (pensiamo a chi è partito ed è tornato in giornata da Foggia), ma le ingiurie del maltempo che la Sicilia sembrava aver concentrato a sommo studio sul parco della Favorita lunedì sera. Questo non vuol dire che chi è rimasto a casa sia meno tifoso di chi ha sopportato l’insopportabile per non far mancare il proprio appoggio alla squadra, ma il sacrificio di questi ragazzi (e ragazze) meritava la nostra attenzione e soprattutto il nostro encomio.
In questi giorni abbiamo letto di tutto. Scoramenti, critiche, sfiducia, perplessità sul mercato, sulla società, sulla squadra, per non dire delle frecciate scagliate contro il DS e l’allenatore. Le critiche sono sacrosante e la sconfitta col Crotone ha lasciato tutti sconcertati, io per primo. C’è però un limite a tutto e la risposta data a tutti gli scettici (per usare un eufemismo) dai 300 di Palermo è stata encomiabile. Anche quando ci hanno chiusi in un angolo, quando schiumando rabbia hanno provato in tutti i modi a superarci, dal settore ospiti si continuava a cantare al ritmo dei tamburi sotto un diluvio incessante, tremendo, accompagnato da folate di vento gelido.      
​Quell’incitamento ha raddoppiato le forze agli undici rossoneri scesi in campo, ha dato loro il coraggio di resistere e di portare a casa un risultato che non era affatto scontato contro uno squadrone costruito per stravincere. I palermitani hanno giocato alla morte, nonostante le difficoltà societarie ed economiche, per dimostrare alla propria gente che non avrebbero mai usato il ricatto di una prestazione “sotto tono” per pretendere gli stipendi non pagati, non avrebbero perso per dispetto, anzi.  Domandiamoci quante squadre ieri sera sarebbero uscite indenni da quel campo rischiando (se non meritando) addirittura di vincere. Poche, pochissime, ve lo dice chi a quella partita ha assistito e che ha visto da vicino la rabbia negli occhi degli uomini di Stellone prima, durante e dopo la gara. Che ha sentito dal vero le loro dichiarazioni a fine gara, che ha percepito nell’aria contro quale clima, oltre quello atmosferico, si sia giocato al Barbera. 
Un generale di Serse, tornando alla metafora iniziale, giustificando le difficoltà per un esercito sovrastante di superare un manipolo di avversari, pare esclamò:
 <Mio Signore, pensavamo di combattere contro soldati, gente pronta ad andare in battaglia per denaro, ma questi sono invincibili perché combattono solo per un ideale.>
Verissimo. Quando si combatte per qualcosa in cui si crede, per un ideale, una passione pura, niente è impossibile e le forze si moltiplicano contro ogni ostacolo. Quei 300 ieri sera sono stati invincibili, e questa invincibilità l’hanno saputa trasmettere agli interpreti in campo, ed è per questo che tutti noi - tifosi rossoneri - gliene dobbiamo essere grati.
Da questo manipolo di “innamorati” del Foggia tutti dobbiamo imparare qualcosa. Certo, in campo non ci vanno gli Ultràs, non ci andiamo noi, ma un calciatore davanti a questa forza gioca con un altro spirito e nemmeno un avversario superiore riesce alla fine a superarlo. Il Palermo ci è superiore, lo ricordo a chi continua a criticare anche la prestazione alla Favorita, ma alla fine non ci ha piegato, anzi, ha rischiato di soccombere. I fatti dicono questo, il resto conta poco o nulla.
Ieri sera quei 300 “eroi” hanno a tutti indicato l’unica strada che può portarci fuori dai guai: quella della resistenza, dell’abnegazione e del coraggio, ma soprattutto quella della fede senza condizioni. Quando si ama si ama per davvero e in modo “esagerato”, senza limiti, come i 300 di Palermo ci hanno insegnato, amando pregi e difetti della propria squadra del cuore, altrimenti non è “amore”, citando Massimo Troisi, ma un “calesse”. 

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    Francesco Bacchieri

    Francesco Bacchieri, all’anagrafe Stellacci, laureato in architettura a Firenze, vive ed esercita la professione di architetto in Toscana ormai da 35 anni, da dove però non ha mai mancato di seguire i Satanelli in giro per l’Italia. Da oltre un anno, come Francesco da Prato, a fine partita commenta a caldo  le prestazioni dei rossoneri nella rubrica "Io la vedo così... ". 

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