![]() La questione delle quote di spettanza del saldo di conto corrente cointestato Comunemente si ritiene che nella gestione del conto corrente a firme disgiunte ciascuno dei cointestatari abbia il diritto di disporre di quote uguali della somma depositata. Non è così. Una attenta lettura del contratto che regola i diritti e i doveri delle parti evidenzia che ciascuno dei cointestatari ha il diritto di poter disporre dell’intera somma ivi registrata, in ogni momento. Da sempre è netta, infatti, la contrapposizione tra l’aspettativa del cointestatario che si interroga sulla quota che gli spetta del saldo, e il diritto di ciascuno di essi a prelevare l’intera somma. La quota presunta nelle comunioni di beni e nei rapporti tra debitori e creditori L’aspettativa creditoria comunemente sentita dai cointestatari pare trovare la propria giustificazione normativa nell’art. 1101 c.c., secondo cui le quote di partecipazione a una comunione si presumono uguali tra loro, e nell’art. 1298, 2° comma c.c. che, regolando i rapporti tra debitori e creditori solidali, dispone che le quote di ciascuno di essi si presumono uguali. Nondimeno, però, queste norme incontrano dei limiti:
Il rapporto tra gli intestatari di un conto corrente e l’istituto di credito è regolato dal contratto che vede le parti obbligate all’adempimento reciproco delle prestazioni ivi statuite, senza che producano alcun effetto i motivi che animano i correntisti. Questo principio, lineare e condivisibile, è stato ribadito dall’Arbitro Bancario Finanziario che ha appoggiato la linea difensiva di un istituto di credito che rigettava una richiesta di revoca di un bonifico, pervenuta da un intestatario, perché l’ordine di pagamento era stato impartito dall’altro intestatario. Con l’occasione, l’ABF ricordava che: … “è evidente che l’effetto principale della regolazione del rapporto “a firma disgiunta” si ha nella facoltà dei cointestatari di disporre autonomamente del conto senza limitazioni; lo stesso codice civile prevede, in caso di cointestazione del conto corrente, un regime di solidarietà attiva e passiva rispetto ai saldi del conto (artt. 1854 e 1292 ss. c.c.). Proprio l’effetto della libera disposizione del saldo del conto fa sì che, nel caso qui in esame, l’ordinante – coniuge del ricorrente e cointestatario del conto – abbia legittimamente posto in essere, in autonomia (quindi senza placet dell’altro cointestatario), l’atto di disposizione oggetto di vertenza”. Quindi, il ricorrente ha perso l’arbitrato perché i motivi e le intenzioni a fondamento della propria richiesta di revoca del bonifico non hanno rilievo giuridico in quanto appartengono alla sfera interpersonale; l’istituto di credito, infatti, è terzo rispetto alla situazione che intercorre tra correntisti, e in quanto tale è obbligato ad eseguire gli ordini, senza poterli sindacare. Il caso del pignoramento presso terzi Può accadere che nel corso della durata di un contratto di conto corrente uno dei cointestatari sia interessato da una procedura esecutiva presso terzi, comportando la notifica dell’atto di pignoramento all’istituto. Nel caso in cui il cliente pignorato risulti cointestatario di un conto corrente con altra persona, estranea all’ingiunzione, risulta necessario chiarire quale comportamento debba tenere la banca. L’istituto deve rendere una dichiarazione ex art 547 c.p.c. ove indichi il saldo complessivo del conto alla data della notifica, specificando che tale rapporto è cointestato con un’altra persona, estranea all’atto, mantenendo pur tuttavia custodita, e quindi bloccata, l’intera somma. Per consentire al cointestatario, estraneo all’ingiunzione, di far valere le proprie ragioni, costui dovrà riceverne notizia dalla banca, e successivamente potrà costituirsi in giudizio adducendo le proprie ragioni ex art. 619 c.p.c.= Di regola la procedura di pignoramento di una somma comune va ricondotta alla fattispecie dell’espropriazione di beni indivisi, regolata dagli artt. 599 e seguenti, e prevede norme specifiche a tutela del comproprietario, che andrà convocato e sentito dal Giudice. Una tale previsione normativa garantisce, evidentemente, sia la tutela degli interessi del cointestatario del conto pignorato, che l’interesse dell’istituto di credito a mantenere il proprio ruolo di terzo, estraneo alle questioni interne tra intestatari. Quindi, nel caso di un conto corrente cointestato interessato da una procedura esecutiva e soggetto a pignoramento, sarà il cointestatario estraneo alle ragioni della pretesa creditoria azionata a dover agire per far valere le proprie ragioni, proponendo opposizione davanti all’autorità adita. Non sortiranno alcun effetto eventuali rimostranze sollevate contro la banca che, dal momento della notifica dell’atto di pignoramento, assume la funzione di ausiliario del giudice. Diverso è il caso del pignoramento che viene azionato per recuperare crediti erariali, maturati e non pagati, debitamente certificati da cartelle esattoriali, regolarmente notificate. La normativa che regola queste procedure esecutive è contenuta nel DPR 1973 n. 602 ed è speciale; essa deroga al codice di procedura civile e prevede, tra l’altro, che l’ente creditore possa agire direttamente contro il debitore in mora, senza adire l’autorità giudiziaria, ma ci pare non prenda in considerazione il caso particolare del pignoramento di beni comuni o indivisi, come il conto corrente cointestato. Quindi, ricordando che i principi generali del diritto dispongono che una legge speciale non può essere interpretata estensivamente o applicata per similitudine a fattispecie affini, il pignoramento notificato ex art. 72 bis del DPR n. 602 del 1973 non dovrebbe produrre la propria efficacia nei confronti di conti correnti cointestati. Il funzionamento della compensazione nel caso del conto corrente cointestato L’istituto della compensazione prevede che, in caso di mancato adempimento delle proprie obbligazioni pecuniarie, la banca è legittimata a compensare il proprio credito con il saldo risultante dal conto corrente, seppure cointestato con terzi. Di regola la compensazione è disciplinata espressamente nei contratti di conto corrente ed il loro fondamento normativo va ritrovato negli artt. 1853 c.c. (Compensazione tra i saldi di più rapporti o più conti) secondo cui “se tra la banca e i correntisti esistono più rapporti o più conti, ancorché in monete differenti, i saldi attivi e passivi si compensano reciprocamente, salvo patto contrario” e 1243 c.c., 1 comma, a norma del quale “la compensazione si verifica solo tra due debiti che hanno per oggetto una somma di danaro o una quantità di cose fungibili dello stesso genere e che sono ugualmente liquidi ed esigibili”. Quindi, sotto un profilo pratico, il cointestatario moroso vedrà estinto il proprio debito ma potrà vedersi contestare il mancato rispetto degli accordi personali da parte dell’altro intestatario, e tali ragioni non potranno essere fatte valere verso la banca. Con decisione n. 9719/2018 l’ABF ha statuito, inoltre, che l’istituto della compensazione opera nei conti cointestati a prescindere dalle modalità con cui viene alimentato il conto stesso e, quindi, a prescindere da qualsiasi accordo interpersonale tra i cointestatari. Non osta che il conto cointestato fosse alimentato da provvista proveniente esclusivamente da uno dei due correntisti cointestatari, giacché “la cointestazione vale a rendere solidale il credito o il debito anche se il denaro sia immesso sul conto da uno solo dei cointestatari o da un terzo a favore dell’uno, dell’altro o di entrambi” (Cass. civ., n. 4496 del 24 febbraio 2010). Dunque, per effetto della solidarietà attiva, il saldo del conto corrente dedotto in lite rientrava nella libera disponibilità di tutti i cointestatari, non potendosi su tale piano riscontrare alcun impedimento all’operatività della compensazione. Il funzionamento anche di questo istituto conferma che elemento centrale del funzionamento del conto cointestato è la piena disponibilità del saldo, in ogni momento.
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Fernando FesceRiflessioni su diritto bancario, commerciale e fallimentare Archivi
Maggio 2019
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