Autonomia Differenziata, le Regioni del Nord spingono per ottenerla, il Sud tace.

Torniamo a parlare di Autonomia Differenziata, il provvedimento tanto voluto dalla Ministra Gelmini e dai Governatori del Nord che sostengono e anzi vorrebbero accelerare l’iter di approvazione del provvedimento di legge predisposto dalla ministra.

Andiamo con ordine. In settimana si è svolto a Roma, presso la sede del Dipartimento per gli Affari regionali e le autonomie, un incontro tra il ministro Mariastella Gelmini e i presidenti delle Regioni del Nord (Lombardia Attilio Fontana, Emilia Romagna Stefano Bonaccini, Veneto Luca Zaia, Piemonte Alberto Cirio, Toscana Eugenio Giani, e Liguria Giovanni Toti). All’incontro era presente anche il presidente della Conferenza delle Regioni, Massimiliano Fedriga. Al centro del confronto l’Autonomia Differenziata così tanto invocata e richiesta dalle Regioni del Nord.

Il relativo disegno di legge è stato predisposto alcuni mesi fa dalla Ministra, e in estrema sintesi prevede:

• la regionalizzazione differenziata di tutte le 23 materie come richiesto dalle Regioni del Nord, compresa scuola e trasporti;

• un avvio della regionalizzazione dei servizi calcolato sulla base della “spesa storica”,

• a regime, tasse regionali e il trattenimento dei tributi su base territoriale, rompendo ogni idea di perequazione.

Più volte ci siamo occupati su queste pagine del concetto di “spesa storica“, aberrazione che ha consentito la sottrazione di risorse e di diritti a danno dei territori del Sud e di quelli interni più svantaggiati; in sostanza la ripartizione dei finanziamenti (compresi quelli per scuola e sanità) viene calcolato sulla base dei servizi già erogati nei territori (spesa storica, appunto). Chi più ha in termini di servizi, più finanziamenti ottiene per garantire il funzionamento dei servizi già attivi. Chi non ha servizi offerti (pensiamo ad esempio agli asili) ottiene minori finanziamenti e quindi difficilmente potrà attivarli per i propri cittadini.

L’incontro con la Ministra Gelmini è stato definito dai presidenti di Regione “positivo, utile e costruttivo” e hanno ribadito come la loro richiesta di autonomia rappresenti un’opportunità per l’intero Paese, favorendo l’accelerazione nella definizione sia dei fabbisogni standard che dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep).

Ci chiediamo, sarà proprio così? Sarà una opportunità per TUTTO il paese o solo per quelle regioni (del Nord) che già offrono più servizi ai propri cittadini? Un bambino che nasce a Milano vale più di uno calabrese: quello di Milano può contare su circa 1400 euro di finanziamento procapite per la scuola dell’infanzia, il calabrese solo 600 euro o poco più.

La regionalizzazione si è rivelata un volano per la dismissione dei diritti offerti dal servizio pubblico, e con la pandemia ne abbiamo visto il risultato in ambito sanitario. Con l’autonomia differenziata si compie un altro passo verso la regionalizzazione dei servizi e l’abbandono delle politiche sociali.

L’autonomia differenziata si pone in contrasto con il senso dell’Autonomia sancita all’art. 5 della Costituzione che comunque riconosce pari dignità sociale, di esercizio dei diritti, di soddisfazione dei bisogni a tutti i cittadini italiani.

Tutto questo accade in questi giorni nel quasi totale silenzio dei politici anche del Sud che maggiormente dovrebbero sentirsi parte in causa di quanto sta avvenendo.

Poche le voci contro che si sono alzate a riguardo. Quella del Movimento per l’Equità Territoriale che ha presentato una proposta di legge costituzionale presso la Corte di Cassazione chiedendo la cancellazione dell’autonomia differenziata dalla Carta costituzionale e quindi la sterilizzazione a priori di ogni tentativo di attuarla, quella del Movimento No Autonomia Differenziata che con presidi in varie città e convegni on line sensibilizza e informa i cittadini.

Ci indigniamo (giustamente) per la cancellazione del diritto di aborto negli USA, rimaniamo in silenzio per il colpo di spugna che si vuole dare a tanti diritti che i cittadini di molti territori italiani dovrebbero vedere riconosciuti.

– Foto ufficio stampa Ministero Affari regionali