La guerra lontana e i nostri anziani

Leonilde Stella, classe 1923 (99 anni da compiere quest’anno), mia madre.

La vita di mia madre, ma sono certo anche di tanti altri nostri anziani, è cambiata da quel 22 febbraio quando fu annunciata l’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe di Putin. Le sue piccole incombenze giornaliere sono sempre le stesse, riassetta il letto dove dorme, aiuta per quello che può in cucina, una chiacchiera con i nipoti, una carezza a Duff (il nostro cane), la televisione. Ecco la televisione, la scelta di cosa vedere, quella è cambiata da quel 22 febbraio. Prima erano programmi di intrattenimento, qualche film, i lunghi talk show pomeridiani con gli approfondimenti sugli episodi di cronaca nera, la messa da San Giovanni Rotondo, i quiz preserali. Ora solo le dirette (24 ore al giorno) dal fronte della guerra.

Si sistema sul divano, accende il televisore, indossa le cuffie (“così non do fastidio”) e inizia la lunga diretta con l’Ucraina, con la guerra.

Le immagini scorrono: distruzione, macerie, le sirene degli allarmi.

“Sono uguali alle sirene che suonavano a Foggia durante i bombardamenti, me le ricordo benissimo, le ho ancora nelle orecchie. Avevo vent’anni, mi ero diplomata da poco ed ero stata assunta al Banco di Napoli, alla sede centrale sul Corso. Poi sono iniziati i bombardamenti e siamo sfollati a Troia. Quando sentivamo arrivare i bombardieri americani, correvamo al belvedere del paese a guardare le bombe che cadevano su Foggia. Come si vede ora in televisione.”

Il racconto si interrompe perché l’emozione ha il sopravvento e le parole rimangono strozzate in gola. I ricordi affiorano e sono quelli dolorosi e mai dimenticati dei bombardamenti di Foggia del 1943. Le immagini della televisione si mischiano ai ricordi di allora e la guerra sembra più vicina.

“Pure noi scappavamo a piedi, come loro” racconta ai nipoti mentre i corrispondenti raccontano la fuga disperata di migliaia di Ucraini. “Noi a Troia ci siamo arrivati a piedi, grandi, piccoli e pure il gatto che Gina aveva nascosto sotto al cappotto per non abbandonarlo”.

In televisione si vedono le persone accalcate nei rifugi e nella metropolitana e il racconto riprende

“A Troia stavamo in un sottano che ci mise a disposizione la famiglia della moglie di Zio Luigi che era del paese. Si dormiva per terra, dove si poteva, anche quindici, venti persone e se arrivava qualcuno da Foggia cercavamo di ospitarlo”.

Kiev, Mariupol, Sarajevo, Damasco, Kabul, Bagdad, Foggia, l’elenco potrebbe continuare con centinaia di altri nomi di città, popoli e nazioni martoriate dalla guerra. L’orrore e il dolore sono sempre gli stessi e chi li ha vissuti li porta dentro come ferite indelebili senza distinzione di nazionalità o di età. Gli unici a non averlo capito, ieri come oggi, sono i “potenti” che le guerre le pianificano, le decidono, le finanziano generando distruzione e dolore.

“Non pensavo proprio che prima di morire avrei dovuto rivedere tutto questo”, borbotta mamma scuotendo la testa, ripetendolo tante e tante volte come fossero le stazioni del rosario. Le immagini scorrono, i suoi occhi azzurri diventano lucidi, la voce incerta e mi sembra che mamma sia diventata ancora più piccola di prima, come se il peso di questa guerra l’avesse ulteriormente consumata.

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