Prima che arrivasse Helenio Herrera in Italia, erano i calciatori a vincere le partite ed essere i protagonisti del mondo pallonaro. Agli inizi degli anni ’60 Herrera, in breve, ribaltò la situazione: portò la figura dell’allenatore a essere la più ambita e la meglio retribuita del calcio. Trasformò l’Inter in una macchina da guerra portandola in cima al mondo e divenne un protagonista assoluto. Portò ai neroazzurri scudetti, coppe europee e intercontinentali: le sue conoscenze tecniche e le doti di grande affabulatore giovarono molto alla categoria degli allenatori. In Francia e in Spagna era già chiamato Mago e i risultati conseguiti con l’Inter ingigantirono la sua figura carismatica. Nel nostro Paese si crearono grandi aspettative per un gruppo di allenatori emergenti che studiavano da “aspirante mago”. Al Milan c’era Nereo Rocco, detto il paròn, che abbinava al grande spessore umano anche una forte personalità. Prima di arrivare all’ombra della Madonnina, aveva lavorato bene con Triestina e Padova ed era diventato il simbolo del calcio all’italiana, quello che i suoi denigratori chiamavano “catenacciaro”. Sedeva spesso in panchina in tuta, indossando le scarpette bullonate ed era famoso per le sue fulminanti battute in dialetto triestino. Tra gli allenatori che si dividevano la ribalta mediatica, c’erano Bernardini, detto il dottore, Pesaola, chiamato anche il Petisso, Pugliese, Chiappella, Fabbri, autore del miracolo-Mantova e soprannominato Topolino, Sandokan Silvestri, Cadè, il filosofo Scopigno e Heriberto Herrera, detto HH2. C’era anche il Mago dei poveri, Oronzo Pugliese, che dopo una lunga gavetta in squadre siciliane e calabresi, trovò proprio a Foggia la sua fortuna. Pugliese portò in tre anni i Satanelli dalla serie C in A facendosi conoscere oltre che per i risultati per la sua vulcanica presenza in panchina. Divenne ufficialmente il “ Mago di Turi” dopo la celebrata vittoria (3-2) del 31 gennaio 1965 del suo Foggia contro l’Inter Euromondiale di Helenio Herrera. Ma come si diventava maghi a quei tempi? Non bastava essere bravi, ma serviva un grande temperamento e un certo “non so che” che li trasformasse in protagonisti, oggetto di odio e delirio da parte delle folle di appassionati. Come Pugliese ed Herrera erano molto parsimoniosi. Helenio non spendeva una lira e a Milano non acquistava neanche i giornali che faceva addebitare sul conto della società. Oronzo idem con patate. Molti sostenevano che la rivalità personale con il paròn Rocco fosse un po’ forzata, studiata a tavolino e ampliata dalla stampa milanese. Spesso Herrera e Rocco furono visti in locali del centro di Milano a prendere l’aperitivo insieme: chiacchieravano amabilmente e commentavano sorridendo gli articoli che parlavano del loro antagonismo. Non si trattava di rivalità, ma solo di simpatiche schermaglie di mestiere. Helenio non lo chiamava il “paròn”, come gli altri, ma “Michelin” per via della corpulenta stazza che ricordava la pubblicità dell’industria di pneumatici. Nereo e Helenio fecero di Milano la capitale europea del calcio in una stagione straordinaria e irrepetibile. Il mago argentino viveva per il calcio: era, però un furbo di tre cotte e un gran bugiardo. Lui e Pugliese, nati a distanza di 5 giorni uno dall’altro, baravano sulla data di nascita. Il Mago argentino per farsi bello con le numerose amanti e don Oronzo per allungare la sua carriera a buoni livelli, iniziata forse troppo tardi. Herrera, come detto, fu un gran donnaiolo: ebbe tre mogli e otto figli. Inventò l’allenatore moderno, con durissimi metodi di preparazione e severi regimi alimentari. Lavorava molto sulla testa dei calciatori, sull’autostima, fino al paradosso. Cominciò a vincere al terzo anno interista e San Siro divenne, grazie a lui, l’ombelico del mondo. Rocco era un maestro nel creare spirito di squadra dosando severità e complicità. Ebbe il merito di portare la prima Coppa dei Campioni in Italia con il Milan che trionfò il 22 maggio 1963 a Londra contro il Benfica. I portoghesi passarono in vantaggio con Eusebio, ma i rossoneri ribaltarono il punteggio con una doppietta di Altafini. Quello di Rocco era un Milan ricco di stelle: Rivera, Altafini, Sani e con Cesare Maldini a dirigere la difesa davanti al portiere Ghezzi. Herrera e Rocco rimasero amici anche quando lasciarono Milano e il calcio. Nereo si ritirò a Trieste, dove morì nel 1979, a 66 anni, mentre Helenio a fine carriera stabilì la sua residenza a Venezia. Spesso il mago andava a Trieste a portare un mazzo di fiori sulla tomba del suo amico-rivale. Herrera visse invece fino all’età di 87 anni. Fulvio Bernardini da giocatore era un fuoriclasse del calcio dell’epoca: giocava troppo bene tanto da indurre, nel 1931, il c.t. Vittorio Pozzo a escluderlo dalla Nazionale per non turbare il gioco degli altri compagni. Da allenatore vinse lo scudetto con Fiorentina e Bologna. Era un personaggio poliedrico e a fine carriera fece anche il giornalista. Bruno Pesaola portò il Napoli dalla B in serie A e legò il suo nome alla città partenopea, dove scelse di vivere a fine carriera. Era un amante della vita, sempre con la sigaretta tra le dita inseguendo un tavolo da poker, vinse nel 1969 lo scudetto con la Fiorentina. Era famoso anche per il suo cappotto di cammello che in molti ritenevano fosse un portafortuna, ma in realtà lo indossava sempre perché era molto freddoloso. Chiappella, detto Beppone per la sua gran voce e per il fisico roccioso da mediano, trascorse una vita da calciatore con la Fiorentina, vincendo da giocatore uno scudetto nel 1956 con la squadra allenata da Bernardini. Costruì la Viola dei giovani, detta anche ye-ye, che poi con il suo erede Pesaola vinse lo scudetto.
I Maghi degli anni sessanta
One thought on “I Maghi degli anni sessanta”
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Don Oronzo, il più grande di tutti! È facile essere maghi con Rivera Mazzola Altafini e Facchetti (4 a caso), più complicato allestire una squadra con un venditore di bombole, un tabaccaio e manovratore delle FS, poi se questa armata Brancaleone, guidata da un condottiero come Nocera, fa risultato contro i primi della classe il miracolo è servito