L’interesse e la passione per il calcio a Foggia è cosa nota. Tantissimi nostri concittadini praticano e parlano del gioco più bello del mondo, di cui si reputano grandi esperti. Non a caso, si dice che “A Foggia si mangia pane e pallone”. Dall’epoca dei campi polverosi agli anni moderni dell’erba sintetica di ultima generazione, il calcio ha rappresentato per Foggia un’irresistibile passione.
I termini usati per indicare situazioni o fasi di gioco, com’è noto, sono stati importati dall’Inghilterra, patria del calcio. Tradotti in foggiano, di solito con deformazioni, risultano spesso incomprensibili. Chi ha i capelli grigi certamente ricorderà che quando durante le animate ed interminabili partite di calcio, all’oratorio, su campetti di fortuna o per strada, si gridava “Enzo!” non si voleva indicare il diminutivo di Vincenzo, ma solo evidenziare un fallo di mani. Ma perchè Enzo? Semplice: in inglese mani si dice “hands”, che com’è noto, si pronuncia ends. A Foggia il passo da hands a enz, poi italianizzato in Enzo, è stato breve.
Altra curiosità: quando il portiere toccava il pallone con le mani fuori dell’area di rigore, non c’era, come oggi, il cartellino giallo o rosso, ma si trattava semplicemente di “frikigno”. Questa astrusa parola che richiama ad imbroglio, truffa, espediente illecito, è ancora oggi per molti misteriosi. Non svelo un segreto dicendo che il termine deriva dall’inglese free kick (calcio di punizione) che si pronuncia frii kik.
Come nel caso di hands, la traslazione nel nostro dialetto ha deformato la parola, che è diventata ‘frikign’, poi ingentilita, si fa per dire, in “frikigno”, diventando un caposaldo del calcio popolare foggiano.
Ancora: il fuori gioco, croce e delizia degli appassionati di calcio, in inglese si dice offside e si pronuncia ofs’aid. A Foggia, è noto, siamo pigri ed il termine inglese è stato trasformato in modo sbrigativo in “offs”.
Questi simpatici termini calcistici hanno accompagnato per decenni l’irresistibile passione dei foggiani per il calcio. Ricordarli a chi ha vissuto quell’epoca, o addirittura svelarli a chi non ne ha mai sentito parlare, può contribuire a ricostruire il senso di appartenenza alla città, da tempo affievolito.