Foggia penultima Provincia d’Italia per qualità della vita. Solo Crotone è messa peggio di noi secondo gli indicatori presi in considerazione dal Sole24Ore per stilare la sua annuale classifica. Le prime posizioni sono occupate dalle provincie del Nord e del Centro, le ultime, dalla 71esima provincia in poi (occupata da Bari), da quelle del Sud. Anche i numeri del Sole 24Ore sanciscono una volta ancora l’esistenza di due Italie, che diventano sempre più lontane tra loro.
In una analisi storica del dato, la nostra Provincia negli ultimi 20 anni non si è schiodata dalle ultimissime posizioni della classifica, ottenendo il suo miglior risultato nel 2001 quando si classificò 92esima sul totale di 103 provincie (sono diventate 107 dal 2009 ndr).
“Niente di nuovo sotto il sole” verrebbe da dire, ed è quello che si legge nei tanti commenti sul web, che attribuiscono la colpa di questa ennesima debacle del nostro territorio alla incapacità di amministratori e politici ad ogni livello (i più gettonati nei commenti negativi), alla indolenza dei meridionali sempre pronti a lagnarsi, alla loro scarsa iniziativa e propensione al lavoro, al retaggio storico di una Italia che nasce separata e a “trazione nord centrica“, alla volontà del Nord e dell’Europa di mantenere il Sud in perenne povertà, alla malavita che ha preso il sopravvento, ai migranti che ci rubano il lavoro.
Ognuna di queste affermazioni contiene probabilmente una parte di verità, salvo però non considerare il fatto che i politici sono eletti da noi cittadini, che la presunta indolenza dei meridionali ha fatto la fortuna del Nord e dei molti Paesi dove i meridionali sono emigrati contribuendo allo sviluppo economico di quelle regioni, che la storia degli ultimi 60 anni è il frutto delle scelte della mia generazione (gli attempati 60enni e dintorni), che la malavita da fenomeno delinquenziale si è fatta “sistema” occupando gli spazi lasciati dallo Stato, i migranti, infine, non c’entrano nulla e anzi si trovano a vivere in territori economicamente e socialmente depressi dai quali, se potessero, fuggirebbero come la maggior parte dei nostri giovani.
Di chi è la colpa, quindi? Ovviamente degli altri, sempre degli altri, una grande categoria indeterminata, nella migliore tradizione gattopardesca, dove tutti sono colpevoli e alla fine non lo è nessuno.
Secondo questo copione non c’è alternativa e dobbiamo rassegnarci a un ineluttabile destino.
Forse, in realtà, abbiamo più responsabilità di quanto si possa pensare e mi riferisco ad ognuno di noi, nessuno escluso, al nostro modo di pensare e di comportarci nella vita di tutti i giorni.
Mi spiego con qualche esempio.
Se ci arriva una cartella esattoriale da pagare, o dobbiamo effettuare una visita specialistica, a cosa pensiamo immediatamente? “Conosco qualcuno a cui chiedere se può risolvermi questo problema o almeno agevolarmi in qualche modo?
Mi direte: è ovvio che si debba chiedere il “piacere” a qualcuno, tutto funziona male da queste parti e i tempi diventano biblici anche per ottenere le cose più semplici. Questo meccanismo è talmente connaturato al nostro modo di agire che lo si percepisce come assolutamente normale, ma normale non è. Le cose dovrebbero funzionare per tutti allo stesso modo a prescindere dalle conoscenze e dai “piaceri”, e dovremmo rivendicare il diritto che sia così sempre e in ogni ambito.
Innanzitutto perché la mia richiesta genererà a sua volta altre richieste (lecite e minime come la mia, d’altronde) da parte di chi mi ha agevolato, alle quali non potrò esimermi. Inoltre chi non può contare su questa rete di conoscenze e di favoritismi (persone spesso già marginali nella società) si vedrà scavalcato e ulteriormente marginalizzato. Questo atteggiamento culturale, si badi bene, non è soltanto “foggiano” o meridionale e lo si registra ad ogni latitudine della nostra penisola, ma si amplifica in quelle realtà dove c’è emergenza economica, che “funzionano peggio” e quindi, da noi attecchiscono più che altrove. Sono talmente connaturate al nostro vissuto che le percepiamo come “normali” e addirittura necessarie.
Parliamo ovviamente di richieste lecite, cioè di favori per i quali non si trascende nella illegalità, ma la linea di demarcazione, capite bene, è assai sottile ed è facile che possa essere travalicata e quando lo è spesso non si percepisce come tale o si tende a sottovalutarla o a giustificarla (“così fanno tutti”, “cosa vuoi che sia, ho favorito una persona di cui avevo piena fiducia”).
“Vabbè, direte voi, si tratta di piccolezze, mentre qui va tutto a rotoli“.
Potrebbe sembrare così ed effettivamente nessuno pensa che questa sia l’unica causa dei problemi che abbiamo.
L’involuzione del nostro territorio nasce da molteplici fattori ed è sicuramente di non facile soluzione. Ma da qualcosa bisogna pur partire se vogliamo sperare in un cambiamento, non semplice, non immediato, ma che dia almeno una speranza ai giovani, convincendoli a non partire.
Occorre, a mio avviso, che cresca la consapevolezza che anche noi (noi semplici cittadini intendo) siamo parte del problema, che occorre fare un salto culturale che ci coinvolga tutti.
Occorre che cresca la consapevolezza che un possibile cambiamento (piccolo ma necessario) può partire proprio da noi, dalla società civile che deve assumere maggiori responsabilità e capacità di aggregazione e azione.
D’altra parte non siamo noi che eleggiamo i politici che poi critichiamo per la loro incapacità a rappresentarci?
Ecco, forse, se nelle prossime elezioni qualcuno verrà a chiederci il voto offrendoci in cambio un posto di lavoro o una fornitura di pasta, quella sarà proprio la persona da NON votare.
Se acquisiremo questa consapevolezza “culturale”, arrabbiandoci se qualcuno ci chiederà un “piacere”, scavalcandoci in una fila allo sportello o ottenendo prima di noi qualcosa che ci spettava, forse, un piccolo contributo alla rinascita della Capitanata lo avremo dato sul serio.
È esattamente così… Ci lamentiamo del nostro stesso “fare”, scaricando colpe sul Sistema…che ne ha, ma mai quanto noi stessi che alimentiamo…nutriamo…questo Sistema.
Vivo in Francia sono Foggiano e mi fa male Di quello Che si vive n elle Mia citta Di nascita