Tokyo2020: il gioco essenziale della vita e dello sport

Ancora una volta chiediamo aiuto sempre a lui: lo sport. I momenti centrali della storia umana moderna sono sempre stati caratterizzanti da grandi eventi sportivi. Ad esempio, basti pensare alle Olimpiadi di Berlino del 1936 e alle imprese sportive ed umane di Jesse Owens. Quattro ori olimpici su pista ed un traguardo ben più prezioso del metallo giallo: il crollo delle barriere razziali. 

Le immagini di fratellanza ed amicizia tra l’atleta americano ed il tedesco Luz Long hanno lasciato un segno profondo. Un bagliore di luce costante che ha illuminato la storia di un’ Europa intera: dall’imminente guerra fino ai giorni nostri. Ma le edizioni emblematiche sono state tante e diverse. Dal terribile Massacro di Monaco delle Olimpiadi del 1972, dove vennero uccisi undici atleti israeliani per mano dell’organizzazione terroristica “Settembre Nero” ai boicottaggi di Mosca del 1980. Un’edizione che perse ben 65 Paesi uniti da una sola causa comune: l’invasione sovietica dell’Afghanistan. 

Insomma, tutta la storia recente dell’essere umano è sempre stata collegata da un filo rosso: lo sport. Una costante che ha incluso anche i Giochi di Tokyo2020. Ma questa volta l’elemento caratterizzante è stato un altro e diverso dagli altri: il Covid -19. Un nemico che ha coinvolto l’intero mondo e restituito vigore alle arterie della nostra quotidianità: i valori. Unico propellente delle emozioni umane. 

E così siamo arrivati ad oggi: il giorno dell’inaugurazione. Un appuntamento (ore 13:00) per un altro capitolo di una storia infinita, ma nella quale non verrà pronunciata la parola «celebrazioni». Nello specifico non lo farà l’imperatore Naruhito. Una scelta precisa per non ferire la sensibilità di chi ha sofferto in questa pandemia. Una realtà che dipinge chiaramente la vera tragedia che ha colpito il mondo intero. 

Allora ecco che tornano prepotenti le parole di Marco Balich. Ideatore di tante cerimonie olimpiche (14) e supervisore del produttore esecutivo di Tokyo2020. «Abbiamo dovuto — riporta il Corriere della Sera — rinunciare alla spettacolarità. Se a Rio avevamo 1500 persone impegnate nella coreografia, qui sono poche decine. Ma siamo tornati all’essenziale: al centro di tutto ci sono gli atleti con i loro sacrifici e le loro fatiche per arrivare fino a qui».

L’essenzialità di un necessario ritorno. Una presa di coscienza di ciò che rappresenta lo sport: l’umanità. Questo è il reale valore dei Giochi. Lo è sempre stato e sempre lo sarà. Un rendez-vous al quale però, mancherà un protagonista fondamentale: il pubblico. Il vero motore di un movimento sociale ancor prima che sportivo. Ma forse questa potrebbe essere l’ennesima occasione per ricordare a tutti chi siamo stati, siamo tutt’oggi e saremo domani. Sportivi di una disciplina difficile da praticare: quella dell’essere umano.