Nicola Gratteri: La Riforma Cartabia rischia di gettare al macero migliaia di processi

Tra i paletti che l’Europa ha posto all’Italia per ottenere i finanziamenti al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienzapresentato dal Governo Draghi, vi è la riforma del sistema penale.

Per ottemperare a tale richiesta, il Consiglio dei Ministri dello scorso 8 luglio ha approvato all’unanimità il testo di riforma proposto dal ministro della Giustizia Marta Cartabia. Non si è trattato di un voto formale sulla riforma del processo penale ma di una richiesta da parte del premier Mario Draghi ai partiti della sua maggioranza “…a sostenere con lealtà in Parlamento questo importante provvedimento”, come ha sottolineato il Presidente del Consiglio.

Molti i mal di pancia che si sono avuti nella compagine governativa grillina poiché alcune delle proposte formulate dalla Guardasigilli vanno, in parte, a mitigare gli effetti della riforma Bonafede e in particolare le norme riguardanti l’abolizione della prescrizione, tema da sempre caro al M5S. Il sostegno al piano di riforma è stato comunque confermato anche dal M5S dopo una telefonata che pare esserci stata tra Grillo e il Premier che aveva addirittura minacciato la caduta del suo esecutivo. Tra le novità più controverse vi è la modifica dell’istituto della prescrizione, che torna a esserci per ogni grado di giudizio.

Secondo la proposta Cartabia, la prescrizione resta bloccata dopo la sentenza di primo grado, come peraltro già previsto dalla riforma Bonafede. Il blocco della prescrizione vale sia per i condannati che per gli assolti. La riforma prevede che vengano introdotti dei termini massimi temporali dal momento in cui parte il processo d’appello dopo i quali il reato viene dichiarato “improcedibile”. Per il secondo grado di giudizio, non si potrà perseguire il reato per più di tre anni. Il limite di durata scende a un anno quando il processo passa nelle mani della Cassazione. Per i reati gravi o per i procedimenti ritenuti molto complessi, la finestra temporale prima dell’improcedibilità viene prorogata di un anno per l’appello e di sei mesi per la Cassazione. Gli imputati che vogliono ottenere una sentenza definitiva, possono comunque rinunciare all’improcedibilità. Per i reati che non possono essere prescritti – come, ad esempio, quelli punibili con l’ergastolo – non sono previsti termini temporali.

Anche per le indagini preliminari, che saranno sottoposte al controllo del gip, è prevista una riduzione dei tempi di svolgimento. La durata massima delle indagini sarà di sei mesi – dal momento in cui l’individuo è iscritto al registro delle notizie di reato – per le contravvenzioni, mentre per i delitti più gravi – narcotraffico, associazione mafiosa e terrorismo – il limite temporale viene esteso a 18 mesi. Gli altri reati continuano ad avere una dura massima di un anno. Il pm, e solo una volta nel corso delle indagini preliminari, può chiedere una proroga di sei mesi massimo, ma soltanto se è ravvisata una certa complessità del caso. Il gip ha il compito di vigilare sul timing delle indagini e chiede al pm, alla scadenza del tempo concesso, di prendere una decisione sul fascicolo aperto.

Molta parte della riforma riguarda quindi i tempi della Giustizia da sempre nota dolente del nostro sistema penale, in linea con quanto richiesto da Bruxelles ed ora ribadito come conditio sine qua non per ottenere i finanziamenti al PNRR.

Proprio questo aspetto ha sollevato molte voci critiche nel mondo giudiziario.

Nicola Gratteri, Procuratore della Repubblica di Catanzaro, è tra queste. In una intervista rilasciata al Fatto Quotidiano ha ribadito che prevedere l’interruzione della prescrizione “… dopo la sentenza di primo grado, ma al contempo imporre termini “tagliola” per il processo di appello e per quello successivo di Cassazione, senza intervenire sui sistemi di ammissibilità degli appelli o dei ricorsi per Cassazione, significa solo preoccuparsi di smaltire carte, non di assicurare una decisione giusta”. “Noi magistrati dobbiamo fare giustizia, non smaltire carte: noi abbiamo a che fare con la vita delle persone. I giudici di appello e di Cassazione devono, all’esito di un’analisi ponderata, rimediare – se esistono – a errori commessi nel grado precedente», ha sottolineato Gratteri. Con questa riforma, invece, «da una parte si gettano al macero migliaia di processi, e dall’altra si accentua la tendenza a trasformare le corti in “sentenzifici”, che badano solo ai numeri, con buona pace della qualità delle decisioni». Al di là “dei proclami di ‘riforma costituzionalmente orientata’, a me pare che si vada esattamente in senso contrario». Per Gratteri la trovata dell’improcedibilità è un’amnistia mascherata, «con un’aggiunta: questa “tagliola” colpirà anche processi delicatissimi, come omicidi colposi e violenze sessuali».

Sulla stessa lunghezza d’onda anche il Presidente della Corte di Appello di Napoli Giuseppe De Carolis che all’Ansa ha dichiarato che la riforma della ministra Cartabia “… si può applicare forse a Potenza, a Salerno, e negli uffici giudiziari medio-piccoli ma non a Napoli”.

“Con le risorse attuali riuscire a fare un appello a Napoli in due anni è impossibile. Abbiamo 57mila processi pendenti e per farli ci vogliono magistrati e cancellieri. E la nostra pianta organica è completamente inadeguata. C’è stato da noi un aumento della pianta organica dei magistrati – prosegue De Carolis – ma non sappiamo se gli 11 posti messi a concorso dal Csm per la Corte d’Appello di Napoli saranno coperti, perché i colleghi non fanno domanda per venire qua in assenza di incentivi di fronte alla nostra mole enorme di lavoro”.

Insomma quella dei tempi della prescrizione, che l’ex Premier Giuseppe Conte ha dichiarato essere “… una anomalia tutta italiana”, rimane uno dei nodi principali da sciogliere per arrivare, in aula, ad un piano di riforma che possa trovare l’appoggio di tutte le forze di maggioranza. Per avere processi più rapidi i Magistrati chiedono di aumentare sia il numero degli uomini (magistrati, personale amministrativo e di polizia giudiziaria) che degli strumenti per far fronte alla una mole di affari giudiziari che ha raggiunto dimensioni elefantiache.

“Se un processo svanisce nel nulla per una durata così breve non può essere una vittoria per lo stato di diritto” ha chiosato nel Convegno di Confindustria Giuseppe Conte ex Primo Ministro e leader in pectore della principale forza politica che appoggia il Governo Draghi.

Il dibattito in aula, con questi presupposti, si preannuncia infuocato e dagli esiti incerti.