Il racconto di Rino La Forgia
Essere tifoso di una squadra ha in sè tante particolarità che non si riducono ad una semplice passione. Col calcio che è nettamente cambiato nei decenni (ed in peggio, a mio avviso), se non si fosse animati da un certo spirito, probabilmente il carrozzone pallonaro si sarebbe estinto e non da oggi, poichè se tutto va avanti come niente fosse, dipende solo ed esclusivamente dai tanti cuori pulsanti.
Chiunque si definisce tifoso ha avuto degli approcci del tutto simili ad altri “colleghi”: un papà, uno zio o degli amici che per la prima volta si assumevano l’onere di far saggiare l’esperienza dei gradoni in mezzo ad una folla di gente urlante e lì, sul quel prato verde, 22 magliette colorate a rincorrere un pallone. Per quanto mi riguarda il mio approccio col calcio e con le questioni rossonere in particolare, nacquero del tutto per caso. In famiglia non avevo alcuno interessato a questo sport e con gli amichetti, più che le infinite “scartatelle”, non si andava. Tutto iniziò nel lontano ’65, quando ero solito (specie il fine settimana) andare a trovare il mio papà sul posto di lavoro. Mi incamminai come al solito da casa sino ad arrivare al Viale della stazione e con mia meraviglia centinaia di persone in mezzo alla strada ad urlare festanti, non si sa cosa, verso una porta d’ingresso. Era il mitico Hotel Sarti.
La cosa mi meravigliò ma tirai dritto verso l’ingresso laterale, quello del ristorante, proprio per andare a passare un pò di tempo col mio congiunto. Solite frasi d’affetto, solito cappuccino e da lì libero di girare da solo per i corridoi a riguardarmi le varie foto dei personaggi illustri che avevano messo piede nella struttura (Totò, Carnera, Beniamino Gigli e tanti altri). Purtroppo quel giorno all’interno si faceva fatica persino a fare due passi, tanta la gente e soprattutto i capannelli di persone ad accerchiare alcuni individui trattati come star. Scoprii che erano giornalisti e tifosi e come Vip alcuni personaggi di cui avevi solo sentito nominare qua e là. Un Mazzola con la inconfondibile voce roca, un Suarez a bere il suo caffè, uno Jair a dribblare tutti in cerca di una poltrona, un Facchetti che solo con la sua altezza lo individuavi a decine di metri di distanza. Era la famosa Inter euromondiale che a Foggia pensava di fare una passeggiata, ma che passaggiata non fu (nonostante fossero stati persino avvertiti da un certo Padre Pio).
Fu comunque, ahimè, la partita che… non vidi, proprio per il disinteresse che provavo all’epoca. Da lì in poi però la cosa iniziò a “prendermi”, anche perchè lo storico Hotel (gli stimatissimi proprietari erano romagnoli, ed uno di loro aveva persino vestito la maglia rossonera, decidendo poi di mettere radici a Foggia) era meta delle formazioni che andavano per la maggiore, ed ogni volta era quasi una festa. Come dimenticare persino i gadget che venivano distruibuiti dai dirigenti avversari? Io stesso facevo incetta di foto, di gagliardetti, nonchè delle simpatiche spille da mettere alla giacca. Così tante che ne regalavo e destra e manca (dal Milan, passando per il Cesena e a finire il Taranto), fortunatamente mi lasciai quello del Foggia. La passione non era ancora al top perchè erano piuttosto i colleghi del mio papà ad insistere affinchè andassi con loro allo stadio, visto che nelle azioni-simpatia dei team avversari, erano previsti persino ingressi omaggio. Molti di quei colleghi li ricordo persino ora. La cosa man mano prese sempre più piede e l’entusiamo di quelle corse domenicali verso il mitico Zaccheria diventavano sempre più frequenti, come sempre più frequenti erano le mie visite al citato hotel. E gli aneddoti sono numerosi: dalle immancabili e numerosissime sigarette di Ricky Albertosi stravaccato in poltrona, sino al mitico Leone Rossetti (quello delle capriole sul tappeto verde del campo di gioco, dei tuffi nel fossato per recuperare un pallone, palleggiando nello stesso per guadagnare una manciata di secondi o del sale buttato nella porta avversaria), capace di spillare soldi agli sventurati calciatori con dei giochi di prestigio sul tipo delle “tre carte”.
E come scordare quando la dolcissima signora Maestrelli mi caricò in auto (credo una Mini Minor, ma la memoria potrebbe ingannarmi) accompagnandomi in tribuna d’onore.Ovviamente col passare degli anni, anche per spirito di compagnia con i miei coetanei, passai anch’io per il….”Signò, me fa trasì?”. Cosa che ebbe termine quando, nel pieno dello sviluppo fisico, beccai un tifoso più basso di me, ed a quel punto quando quest’ultimo mi accompagnò, braccio sulle spalle, dinanzi la porta d’ingresso, al controllore venne spontaneo chiedere chi dei due fosse il ragazzino. Così che da quel momento in poi toccò impegnarmi ancor di più negli studi affinchè ogni anno i miei genitori mi regalassero il preziosissimo abbonamento. Ma ancor più in là con gli anni, quasi diciottenne, quando cioè fui impegnato in una nota emittente locale, dove oltre a varie trasmissioni radio, fui impiegato anche nelle vicende relative al Foggia.
Come radiocronista, come intervistatore negli spogliatoi (in modo direi quasi artigianale rispetto ai giorni d’oggi). Anche qui gli aneddoti si sprecano e spesso molto divertenti, oltre alla conoscenza di tanti amici che a tutt’oggi sono in auge avendo trasformato la passione per il Foggia in attività lavorativa. Trasferendomi tanti anni fa per lavoro, a tutt’oggi comunque continuo a seguirli con simpatia, ma anche per seguire le vicende del nostro amato Foggia. Altro che… tifoso per caso.
Di Rino La Forgia