Esclusiva Mitico Channel – Fabio Fratena, “El Buitre” rossonero – L’intervista

In esclusiva per Mitico Channel un giocatore rimasto nel cuore della tifoseria rossonera perché capace di infiammare il pubblico con i suoi guizzi, le sue accelerazioni palla al piede e le sue giocate: Fabio Fratena, che vestì la maglia del Foggia dalla stagione 1986-87 a novembre del 1990 e che per i tifosi del Foggia risultò essere un vero e proprio idolo, tanto da essere accostato al fuoriclasse spagnolo Butragueno, detto “El Buitre”, uno dei giocatori più forti al mondo in quegli anni.


Ala destra tecnica, dotato di un un dribbling fulmineo nello stretto, abilissimo nelle ripartenze, bravo anche in finalizzazione, arrivò al Foggia dal Trento, dove si mise in mostra tanto da attirare le attenzioni di Peppino Pavone, fresco consulente tecnico dei fratelli Casillo, che decise di portarlo in rossonero.


Come si concretizzò il passaggio dal Trento al Foggia, sapeva dell’interesse dei rossoneri?
Chi la contattò e cosa le venne prospettato?

Io avevo giocato con Pavone a Cava dei Tirreni, mi conosceva bene.
Nell’estate dell’86 ero in ritiro con il Trento e Peppino mi chiamò e mi chiese se mi avesse fatto piacere venire a Foggia, non ci pensai neanche un secondo.
La trattativa purtroppo inizialmente si arenò, a causa dei problemi relativi al calcio scommesse ed al relativo -5 in classifica perché la società si prese una pausa di riflessione ma a fine Agosto finalmente arrivai in maglia rossonera.


Lei visse la prima parentesi rossonera di Zeman, che venne esonerato nel corso del campionato 86-87 perché accusato da Casillo di aver flirtato con la dirigenza del Parma. In quelle 27 giornate sotto la guida del boemo, ebbe modo di assaporare un antipasto di quella che sarebbe diventata Zemanlandia. Come fu l’impatto con quell’idea di calcio rivoluzionaria?

Io anche adesso dopo trent’anni vedo cose che facevamo negli anni 80.
Pressing alto, uscite da dietro, sembrano cose inventate adesso, tante volte vedo le partite e non mi meraviglio per quello che le squadre fanno in campo.


Il campionato 86-87 si concluse sotto la guida di Balestri, allora secondo di Zeman mentre nella stagione successiva la panchina venne affidata a Marchioro e successivamente ancora a Balestri, prima della trionfale stagione 88-89, che vide il Foggia di Caramanno agguantare la serie B dopo un’estenuante rincorsa al secondo posto, conclusasi solo all’ultima giornata, grazie alla rete di Ferrante sul campo neutro di Trapani. Che ricordo ha di quel campionato nel quale fu protagonista con 25 presenze e 6 reti ma che la vide saltare il finale di stagione a causa di un brutto infortunio?

Intanto voglio precisare che il primo anno di Zeman partimmo con la penalizzazione di 5 punti e senza quella penalizzazione forse già in quel campionato avremmo potuto raggiungere traguardi importanti e considerando che eravamo all’inizio una squadra di illustri sconosciuti, bisogna dire che abbiamo dato vita ad un grande calcio.
Con Marchioro siamo ripartiti l’anno seguente con la stessa squadra ma il mister aveva metodologie e idee diverse da quelle di Zeman e le cose non andarono bene all’inizio.
Questo comportò il cambiamento di tanti giocatori nel mese di novembre, con l’arrivo a Foggia di Barone, Barbuti, Baldini, Accardi e tanti altri giocatori importanti ma comunque non centrammo l’obiettivo.
Obiettivo centrato l’anno successivo, soffrendo tanto però, visto che l’ambiente giustamente ci contestava perché venivamo da annate deludenti.
E’ stata dura, però alla fine è arrivata una grande soddisfazione anche se personalmente magari mi sarebbe piaciuto raccogliere quello che avevo seminato ma nel calcio esistono gli infortuni ed ho dovuto saltare il finale di stagione.

Nella stagione successiva ecco il ritorno di Zeman, per lei il caloroso saluto del pubblico al suo rientro in campo contro il Brescia con tutto lo Zaccheria in piedi per riabbracciarla.
Purtroppo fu solo il preludio dell’addio perché a Novembre passò alla Salernitana, la sua maglia da titolare era ormai destinata a Rambaudi. Probabilmente quel grave infortunio ha compromesso la sua carriera, quanti sono i rimpianti per come si è conclusa la sua avventura con il Foggia?

E’ chiaro che per un giocatore di calcio che come me ha giocato in tutte le categorie, arrivare in serie A sarebbe stato il massimo però forse è stata anche mia la responsabilità perché non ho avuto la pazienza di aspettare e stare tranquillo per recuperare al 100% e probabilmente sarei rimasto a Foggia.
Quando sei giovane hai voglia di giocare e quando ti chiama una società come la Salernitana ci pensi bene, probabilmente se avessi avuto un po’ più di pazienza mi sarei tolto qualche soddisfazione e la cosa che mi dispiace di più è il non aver raccolto i frutti dei sacrifici fatti con i compagni, vale a dire la serie A.


C’è un gol messo a segno o un’azione in particolare, nella sua parentesi foggiana, che fotografa esattamente quello che era in campo Fabio Fratena?


Soprattutto il primo anno ho fatto due o tre gol belli, col Siena sono partito da centrocampo e sono andato in porta, contro la Salernitana, grazie ad uno schema preparato in allenamento, su rinvio del portiere e spizzata di un giocatore, sono entrato con un taglio e ho fatto gol sul secondo palo, a Catanzaro, su un fallo laterale sono partito ed ho fatto gol, l’anno della promozione realizzai un altro bel gol contro il Monopoli.
Ce ne sono tanti, non me ne viene in mente uno in particolare.


In merito alla sua esperienza foggiana, che ricordo porta con sé della piazza e con chi ha maggiormente legato?


Per me c’è stata subito una grande empatia con il pubblico foggiano, fin dal primo giorno.
Era una cosa viscerale, mi sentivo un tifoso più che un giocatore.
I miei amici erano Franco Mancini, Paolo List, Barone, Ferrante, De Marco, Armenise ma anche tanti altri compagni.
Ci tengo a ricordare particolarmente due amici che abbiamo perso in questo percorso, Franco Mancini e Paolo List.

Qual è il compagno di squadra più forte con il quale abbia mai giocato? E l’avversario più forte con il quale ha dovuto fare i conti?


Il compagno più forte, Beppe Signori, che insieme a Barone aveva numeri e qualità immense.
C’era poi Marco Silvestri che secondo me aveva qualità infinite ma purtroppo ognuno ha il proprio destino, come Rocco De Marco che oggi per me avrebbe potuto giocare in Nazionale, aveva una forza incredibile, arrivava sul fondo e crossava col sinistro nonostante fosse destro naturale.
Comunque Beppe Signori e Barone non erano giocatori, erano campioni, è diverso.
Come avversario, ci siamo affrontati una volta con un giovanissimo Benarrivo che mi ha dato filo da torcere perché incontrare qualcuno veloce come me o addirittura più veloce, era molto difficile e lui era molto difficile da saltare perché recuperava sempre.


Dopo l’esperienza di Foggia disputò delle annate da protagonista con la maglia della Salernitana in B ed in C, prima di andare ad Aosta e concludere la carriera a Monterotondo per poi intraprendere la carriera di allenatore proprio nella cittadina laziale. Cosa l’ha spinta ad intraprendere la carriera di allenatore?


Io sono uno che si affeziona alle squadre, sono stato cinque anni a Foggia, tre a Salerno e addirittura a Monterotondo ho finito da giocatore, ho iniziato da allenatore e ci sono rimasto altri cinque o sei anni.
Giocavo a Monterotondo e non pensavo minimamente a fare l’allenatore.
Era una società che mi aveva chiesto la cortesia di allenare gli Esordienti, mi sono appassionato e poi è successo che le cose non andavano bene, hanno esonerato l’allenatore della prima squadra e mi hanno chiesto se me la sentivo.
Ci ho provato e mi è piaciuto però non è facile fare l’allenatore perché oggi la meritocrazia non esiste, esistono altre cose, io oltre al patentino ho il Master, potrei allenare in serie A ma faccio fatica a trovare una squadra in serie B dopo aver fatto per quindici anni serie D e serie C.
Adesso è diventato tutto difficile.


Che impronta tattica ha dato e continua a dare alle sue squadre?

Quando ho conosciuto uno come Zeman mi si è aperto un mondo che non conoscevo ma a parte il 4-3-3 era la mentalità ad essere diversa rispetto alle altre perché comunque non si faceva distinzione se giocavi in casa o fuori casa, si giocava sempre alla stessa maniera, a viso aperto per vincere.
A me piace la mentalità propositiva, sempre rispettando l’avversario ma con personalità e voglia di imporsi.

Qual è stata l’esperienza più importante nella sua carriera di allenatore?


Quando ho allenato la Cisco Roma, praticamente stavo vincendo il campionato ma per problematiche societarie, da primi in classifica, dopo 18-19 partite ne perdemmo una e mi mandarono via.
Quella è stata l’esperienza più importante perché a Roma non è mai facile vincere un campionato ed io lo stavo vincendo però probabilmente stavo dando fastidio a qualcuno ed hanno pensato bene di sollevarmi dall’incarico a due giornate dalla fine, pensando di aver già vinto ma alla fine purtroppo non è stato così.


Quali sono i suoi programmi per il futuro?


Se trovassi una squadra vorrei allenare perché questo è il mio mondo ma se non dovessi trovarla non mi strapperei i capelli perché voglio allenare ma come dico io e non semplicemente per occupare un posto in panchina.
Innanzitutto mi voglio divertire e mettere la mia esperienza al servizio dei giocatori, poi vengono altre cose.


Cosa pensa del ritorno di Zeman e Pavone a Foggia?


Penso che sia stata la scelta più giusta che potesse fare un presidente nuovo che arriva in una piazza che di serie C ha solo la categoria perché con lo stadio che ha, con la tifoseria che ha, una società come il Foggia deve stare in pianta stabile in categorie importanti, di certo non in serie C.


Nonostante nel calcio moderno si tenda a prediligere i giocatori molto robusti e forti fisicamente, le partite spesso sono risolte dai giocatori estrosi ed imprevedibili come lo era lei sul rettangolo di gioco. Si vedrebbe bene quindi nel 4-3-3 di Zeman anche adesso?


Le regole che ci sono adesso tutelano molto di più gli attaccanti perché adesso se un difensore ti sfiora rischia il rigore, l’espulsione o comunque il fallo.
Prima, appena partivamo, dovevamo resistere a strattoni e gomitate, dentro l’area c’erano molti più contatti, il fallo da dietro era sistematico, adesso c’è l’espulsione.
Con le regole nuove quindi, qualsiasi attaccante del passato si troverebbe alla grande perché il calcio di qualche anno fa era vissuto con più fame e passione.


Cosa pensa dell’attuale “sistema calcio”?


Quando ho iniziato a giocare c’erano giocatori più grandi di me che mi dicevano che in passato il calcio era diverso, quando sono diventato più grande io ho iniziato a dire anche io la stessa cosa a quelli più giovani di me.
Per me era meglio prima, per i giocatori di oggi sarà meglio adesso.


Si riconosce in questo tipo di calcio nel quale la passione e l’amore per la maglia sono ormai in secondo piano al cospetto degli interessi economici?


Ho fatto per venti anni il professionista ed ho sempre firmato contratti annuali, ogni anno mi conquistavo il contratto per l’anno successivo. I Del Piero, i Totti, le bandiere in generale non ci sono più, significa quindi che c’è qualcosa che non funziona. I giocatori purtroppo adesso non si accontentano di firmare contratti annuali, chiedono come minimo due o tre anni, noi avevamo voglia di emergere, avevamo fame, in campo davamo tutto e gli allenamenti, dal martedì al sabato erano molto competitivi, come se fosse domenica. Ad esempio, gli allenamenti adesso non sono come quelli di una volta, non so se sia meglio o peggio ma la verità è questa.


Per concludere, parliamo degli Europei di calcio attualmente in corso.
Quale squadra l’ha maggiormente colpita nel corso della competizione?


L’Inghilterra perché sta facendo un calcio diverso rispetto al passato, quando giocava più un calcio fisico mentre adesso è un calcio ragionato, con tanti giovani.
C’è poi l’Italia che non sembra una nazionale, gioca come una squadra di club, organizzatissima.
Mancini, grandissimo allenatore, ha dato quel qualcosa in più rispetto alle altre squadre.


Quale, invece, è stata la delusione più grande?


Il Portogallo e soprattutto la Francia, che con quella squadra credevo potesse fare qualcosa di più.
Questa è la dimostrazione che nel calcio i nomi contano poco se non hai le motivazioni giuste e magari chi pensa di essere più forte di tutti, quando trova squadre ben organizzate può andare in difficoltà.


Se la sente di fare un pronostico sulla finale Italia-Inghilterra?

In finale arrivano due squadre forti e l’Inghilterra a mio avviso potrebbe essere la favorita ma sarà comunque una partita difficile per entrambe perché in finale non ci si arriva per caso.


Un saluto finale alla tifoseria del Foggia?

Saluto tutti i tifosi del Foggia che ho sempre nel cuore e auguro che questo sia un anno transitorio in questa categoria e che presto possano rivedere il calcio che conta.
Auguro a mister Zeman e a Peppino Pavone di togliersi tante soddisfazioni in questa città che ha dei tifosi splendidi.