Un uomo tra la gente. Pierpaolo Bresciani ed il Foggia. Un binomio consolidatosi nel tempo e frutto di un amore che stenta a rallentare. Un verbo mai appartenuto a questa società e tantomeno all’ex ala rossonera. Correre sempre avanti. Un principio di gioco, ma anche una filosofia di vita. Dall’esplosione in quell’utopistico Foggia di Zdenek Zeman alla vita nuova di un atleta diventato uomo. Bresciani è stato e continua ad essere uno dei sogni più belli della storia del Foggia. Una simbiosi che lui stesso ha voluto raccontare ai taccuini di Mitico Channel. Un viaggio tra il passato ed il futuro. Alla riscoperta di un principio che travalica l’indifferenza e si esalta castamente nelle sue parole: l’umiltà. Una costante che ha determinato la sua carriera e le gioie malinconiche di un popolo per sempre innamorato.
Bresciani oggi è un giovane “ragazzo degli anni ’70” e la sua carriera parla da sé. Cosa le racconta la sua storia calcistica?
«Dice che ho dato tutto. Sono sempre stato generoso e mi sono fatto voler bene da tutti. Ho sempre fatto il mio nel rispetto del gruppo dando tutto per la squadra e la città in cui ho giocato. La mia carriera è stata bella e non ho niente da rimproverarmi. Mi sono divertito ed ho fatto divertire. Non ho rimpianti e penso che per un giocatore sia importante.»
Lei ha giocato per diversi club molto importanti. Come ha fatto un ragazzo di provincia ad arrivare in Serie A?
«Con impegno, voglia, determinazione ed un pizzico di fortuna. Io non mi sono mai sentito un giocatore di Serie A. I miei genitori mi hanno insegnato l’umiltà e credo di averne almeno un po’. Per arrivare ci vuole un pizzico di fortuna, ma bisogna anche cercarsela. Tutti possono raggiungere la Serie A. Bastano impegno, voglia e determinazione. Questi sono i segreti per diventare un giocatore.»
A proposito di Serie A. Lei continua a rappresentare uno dei momenti più belli della storia rossonera. A distanza di tanti anni come si è trasformato quel ricordo?
«Sono stati anni bellissimi. Uno spogliatoio stupendo con ragazzi della stessa età che venivano da fuori e si aiutavano nella quotidianità. Quello che mi manca è proprio lo spogliatoio. Il calcio lo sto seguendo poco. Ma gli anni di Foggia sono stati i migliori. Perché non ho mai passato quattro anni nella stessa città. Foggia è stata determinante per la mia crescita umana e professionale.»
La prima stagione allo Zaccheria è stata incredibile. Esordio tra i grandi e capocannoniere della squadra con 6 gol. Cosa ha provato quel ragazzo?
«Toccavo il cielo con un dito. Arrivare in Serie A è il sogno che hai da piccolo ed è andata benissimo. Per tre anni sono stato capocannoniere della squadra nonostante giocassi da esterno. Ma a me piaceva correre. Ho sempre pensato di più alla squadra, che ai miei interessi personali.»
In tutto questo ha sentito la forza del popolo rossonero?
«Assolutamente si. La nostra Bombonera, lo Zaccheria era sempre pieno. Ti spingeva alla grande. Quando si giocava a Foggia avevamo una marcia in più. L’affetto era incredibile e si sentiva anche durante la settimana. Noi ci allenavamo a San Ciro e il venerdì passavamo nel mercato. Era una cosa incredibile.Io ho fatto metà della carriera al Sud: sette anni. Si respira un altro calcio ed un’altra passione. Quando finisce una partita già si parla di quella successiva. A me piaceva giocare al Sud proprio per questo: passione e carica della gente.»
Lei ha avuto grandi allenatori. A Foggia è passato da Zdenek Zeman a Tarcisio Burgnich. Senza dimenticare naturalmente Enrico Catuzzi, Beniamino Cancian e Delio Rossi. Cosa le hanno lasciato?
«Ognuno mi ha lasciato qualcosa . La grande professionalità di Burgnich, la grande fatica di Zeman e la bontà di Catuzzi che sembrava nostro padre. Lui è sempre stato un signore. Con Delio Rossi non ho avuto un gradissimo rapporto, ma ci sta. In una carriera non puoi andare sempre d’accordo con tutti. Abbiamo imparato l’uno dall’altro. In generale tutti mi hanno lasciato qualcosa che porterò sempre dentro. Li ringrazierò sempre per questo.»
A proposito di Zeman. Si parla sempre più di un suo ritorno a Foggia. Per lei è la scelta giusta?
«Zeman al Foggia è come il Papa a Roma. È un amarcord bellissimo. Chiaramente partire dalla Lega Pro non è facile. Da lui vogliono subito i risultati, il bel gioco e non è semplice. Però posso dire una cosa: il Maestro fa bene al calcio. Poi naturalmente è sempre il campo a parlare. Io sono contento che si rimetta in gioco. Perché mi ha insegnato tanto e lo ha fatto con tutti. Poi sapere se possa far bene è un terno al lotto. A Foggia sarà sempre il benvenuto, ma bisogna capire le intenzioni della società. L’importante è che ci sia gente umile con la voglia di correre e sacrificarsi. Ma sicuramente si divertiranno. Con le squadre di Zeman, il biglietto è sempre ben pagato.»
Cosa potrebbe portare a questa squadra?
«Sicuramente entusiasmo. Penso che una piazza come Foggia abbia bisogno di questo. Ha l’esperienza, il carisma giusto e non può che far bene. Poi la Lega Pro non è facile. Ci saranno squadre che daranno battaglia e con Zeman il Foggia sarà la squadra da battere. Però l’entusiasmo è assicurato e potrà beneficiarne tutto l’ambiente.»
Lui ha lanciato decine di giocatori e lei è un chiaro esempio. Qual è il suo segreto nel rapporto con i calciatori?
«Ti lascia tranquillo. Prende lui la responsabilità e non dà mai la colpa al singolo o al gruppo. Lui nello specifico è simpaticissimo. Ti fa divertire da matti. Ha sempre la battuta pronta e sa sdrammatizzare. Faccio un esempio. Quando giovavamo male, ma vincevamo non era contento. Invece, quando succedeva l’esatto contrario esaltava la nostra prestazione. Delle piccole sottigliezze che facevano bene alla squadra. Cercava lati postitivi nelle sconfitte, che ti caricavano per la gara successiva. Nello spogliatoio stavamo benissimo con lui. Non ci ha mai fatto sentire la pressione, tranne quella fisica. Ma a noi piaceva correre e non era un problema.»
Del resto la fatica è parte integrante delle squadre di Zeman. Ci puoi raccontare qualche aneddoto di quel gruppo?
«C’è un ricordo che risale al nostro esordio in Serie A. Giocavamo a San Siro, davanti a 82mila spettatori e contro il grande Milan che aveva vinto tutto. Una volta entrati negli spogliatoi, prima di parlare della partita Zeman incominciò a dire: “Oggi giocate contro Riccardino, Papino e Gullittino… cercate di correre.” Questi erano i vari Rijkaard, Papin e Gullit…Allora dalla tensione siamo passati ad una risata incredibile. Questo è Zeman: sapeva sdrammatizzare tutto e darti la carica. Quella partita la perdemmo solo per un autogol. Ricorderò sempre queste frasi.»
La sua carriera le ha permesso di girare tanto. Oggi vive con la sua famiglia e nella sua città. Quando è nato il bisogno di tornare a casa?
«Quando vivi tanti anni fuori hai bisogno di tornare. Non volevo restare nel mondo del calcio e poi ho fatto delle scelte sbagliate nel finale della mia carriera. Perché trovavo sempre squadre verso la metà dell’anno e quindi ho deciso di tornare a casa. Oggi ho altri interessi e il calcio lo seguo poco. Va benissimo così.»
In questo momento cosa rappresenta lo sporto per lei?
«I problemi fisici mi hanno tolto qualcosa. Quindi oggi lo vivo un po’ più distaccato. Io ho sempre giocato a tennis ed ora anche a padel visto che lavoro in un circolo di tennis. Ma sono sempre battagliero e non mi piace perdere. Mi diverto così.»
Quindi la sua voglia di competere non è scemata da quando ha smesso?
«Assolutamente no. Io non ho mai lasciato vincere nemmeno i miei figli e non voglio perdere neanche a carte. Sono fatto così. Altrimenti non sarei arrivato da nessuna parte.»
Oggi chi è Pierpaolo Bresciani?
«Un uomo sereno con le sue passioni. Come ho detto prima, quando uno dà tutto e non ha niente da rimproverarsi è sereno. Ho tutto quello che voglio, la mia famiglia e sono contentissimo»
Un’ultima domanda. La sua doppietta alla Juventus è ormai leggenda. Ma c’è qualcos’altro per il quale vorrebbe essere ricordato?
«Per la persona che sono. Ho sempre basato tutto su questo. Quando qualcuno mi ricorda come una persona che si è sempre sacrificata per gli altri sono contento. E penso che sia quello che ho fatto. Ancor prima del calciatore ho sempre preferito il lato umano.»