Sempre e solo 4-3-3

Sempre e solo 4-3-3. Per Zeman è il modulo di gioco più efficace per coprire tutti gli spazi del campo. A chi gli ha fatto più volte  osservare  che il suo modulo fosse ormai superato, ha risposto sempre  così: “All’inizio dicevano che ero avanti di 30 anni. Oggi ho ancora un certo vantaggio…”.    

Molte varianti negli schemi d’attacco di Zeman erano importate da pallavolo e basket. Alla base di tutta la filosofia zemaniana c’era comunque una solida preparazione atletica. Molti dei giocatori alle sue dipendenze si lamentarono della durezza degli allenamenti. A questa osservazione rispondeva seccamente che nel  calcio ci si allena molto meno che negli altri sport. Nell’esperienza foggiana Zeman ebbe due clamorosi casi di lamentele ai suoi pesanti sistemi, entrambi da giocatori stranieri:  Shalimov e Chamot.

Il  russo  addirittura abbandonò il campo d’allenamento   togliendosi la maglietta e sfogandosi platealmente per la durezza degli  allenamenti di Zeman. Il boemo, per tutta risposta disse al giocatore “Caro Igor, se sei stanco, devi fare un altro allenamento più duro e impegnativo per fare passare questa stanchezza”. La stessa  lamentela arrivò dal difensore argentino Chamot che però pensando in positivo disse:” Con questi allenamenti così duri finirò in nazionale”.

Fu facile profeta perché dopo qualche settimana fu chiamato ad indossare la maglia da titolare della nazionale sudamericana. Altra originale caratteristica di Sdengo era quella che si verificava nelle interviste del dopo partita: il suo parere sulla gara era il  più delle volte molto diverso da quello dei giornalisti. Il boemo a tal proposito precisò che le sue valutazioni erano complete perché sapeva quello che aveva chiesto a ogni giocatore, mentre il giornalisti no. E poi “Io sono facilitato perché guardo solo i miei undici e i giornalisti devono stare attenti anche all’altra squadra”.

Senza timore di essere smentito, si può affermare che Zeman è stato,  fino ad oggi, l’allenatore più amato del Foggia. Assolutamente  innovatore, carismatico, coerente fino alla cocciutaggine, Zeman è anche l’allenatore  con più presenze sulla panchina rossonera avendo allenato i rossoneri per 7 stagioni, di cui 5 consecutive(2 in serie C, 2 in B e 3 in serie A). Nato a Praga  il 12  maggio 1947, padre medico e madre casalinga, arrivò in Italia nel 1968 quando la sua città fu invasa dai carri armati sovietici. Autentico uomo di sport, diplomato all’Isef, Zeman ha praticato e insegnato basket, pallavolo, nuoto, pallamano e tennis.

Lo zio Cestmir Vycpalek, ex allenatore della Juventus  lo definì “testardo come un mulo, con un gran carattere, anche a costo di andare controcorrente”. Gran fumatore con quasi tre pacchetti di MS al giorno, con punte record nelle ore di panchina, superstizioso quanto basta con il rito domenicale di accettare un pacchetto di caramelle da un tifoso dello Zaccheria. Geloso della sua privacy  appare chiuso e taciturno, tanto che all’inizio a  Foggia lo chiamavano “il muto’, ma chi lo conosce bene lo definisce  un simpatico umorista.

“Scoperto” da Peppino Pavone quando  allenava il Licata in C1, il tecnico arrivò a Foggia nel campionato 86/87 con la squadra in C/1, partita con 5 punti di penalizzazione per un tentativo d’illecito.  All’esordio  in quel campionato la squadra fu  sconfitta in casa dal  Sorrento (0-1) al termine di una gara in cui creò  decine di  azioni da gol attraverso un gioco veloce e spettacolare. La squadra uscì dal campo tra gli applausi: era iniziato il ciclo del calcio bollicine di Zeman, con la società guidata dai fratelli Casillo che avevano rilevato il club da Nino Lioce. Nonostante si trattasse di  serie C, lo “Zaccheria” aveva una media di 10.000 spettatori, attratti dal calcio champagne introdotto da Zeman.  Il boemo non terminò il campionato sulla panchina foggiana perché fu esonerato e sostituito da Balestri.

Pasquale Casillo scoprì un accordo   segreto con il Parma, società con la quale Zeman era in parola per  la stagione successiva e dove andò effettivamente poi ad allenare in serie B. Per il boemo fu un’esperienza breve e   senza fortuna perché fu sollevato dall’incarico  dopo 7 partite. Allenò poi il Messina e portò alla ribalta un certo   Totò Schillaci che a fine campionato collezionò 23 reti per poi diventare l’anno dopo l’eroe nazionale delle notti magiche di Italia 90.  Zeman tornò a Foggia  nel 1989  dopo che il Foggia era tornato  in serie B sotto la guida di  Pino Caramanno, un  tecnico bravo e onesto, ma che non legò mai con la piazza per il suo carattere spigoloso.

Dalla stagione di serie B 89/90 iniziò lo  splendido ciclo zemaniano. Dopo un avvio incerto e un periodo in cui la sua panchina traballò, la squadra  assimilò il credo di Sdengo, sfiorando la zona promozione per poi terminare all’ottavo posto. L’anno successivo  fu quello della consacrazione del calcio champagne voluto da Zeman: stravinse il campionato con il miglior attacco del torneo  con 67 gol.   Lo spregiudicato 4-3-3 puntava  quasi esclusivamente sul gioco d’attacco. A chi gli consigliava di curare di più la fase difensiva diceva: “Va bene. Dirò agli attaccanti di fare qualche gol in più”.

Il primo dei tre campionati nella massima serie iniziò davanti a 65.000 spettatori  a San Siro il 1° settembre 1991 con una  prestazione che fece tremare l’Inter di Orrico (1-1). Zeman mandò in campo 10 debuttanti tra cui il ventenne Carneade Salvatore Matrecano cui toccò marcare Klinsmann. Particolare curioso: prima della partita il sindaco foggiano,  Domenico Verile, premiò il centravanti nerazzurro  nativo di Koppingen, città gemellata con Foggia. I Satanelli colsero il primo successo stagionale in serie A andando  a vincere a Firenze (2-1). Quella fu una stagione davvero esaltante: da ricordare le due vittorie nei derby contro il Bari e la splendida rimonta a Napoli (3-3).

Ovunque i ragazzi terribili di Zeman davano spettacolo, segnando e facendo segnare. Il primo campionato di Zeman in serie A si concluse al nono posto. Ci fu poi lo smantellamento di quella straordinaria formazione che secondo Zeman e Casillo aveva dato tutto e soprattutto era attratta dalle sirene di grandi club con offerte irrinunciabili. L’organico che aveva fatto sognare i tifosi rossoneri fu polverizzato con la cessione di tutti i migliori. Furono incassati 50 miliardi di lire e si puntò tutto su giovani sconosciuti provenienti da C1 e C2. Unica eccezione fu l’ingaggio di Bryan Roy, nazionale olandese.

Tra lo scetticismo generale e a dispetto di critica e addetti ai lavori fece di quel gruppo di sconosciuti una squadra forte e con personalità Il credo del boemo era imperniato sul lavoro, sempre e comunque con doppie sedute di allenamento e  martellante ripetizione degli schemi studiati sulla lavagna. Fu quella il vero capolavoro di Zeman che quell’anno sconfisse la Juventus di Trapattoni  e conquistò la salvezza con un dodicesimo posto,  alla faccia di tutti i sapientoni dell’ambiente calcistico che avevano individuato nel Foggia la squadra materasso del torneo.

Zeman dimostrò che con l’applicazione, la velocità, la determinazione, la resistenza e  la difesa rigidamente in linea, si potevano costruire buoni giocatori in grado di competere con i miliardari della pedata. Dopo quel successo tecnico diversi addetti ai lavori furono portati a riflettere sulle follie economiche nel mondo del calcio. Il compianto Emiliano Mondonico, allora tecnico del Torino si chiese:” Se il Foggia si è salvato agevolmente con una squadra di sconosciuti, bisogna rivedere un po’ tutta la filosofia del calcio mercato”. Fu un allarme di cui pochi si preoccuparono e continuò il teatrino con club super indebitati e vicini al fallimento.

Il terzo anno di A Zeman sfiorò la qualificazione in Coppa Uefa. Arrivò al nono posto dopo un altro torneo esaltante. A Foggia era un’icona intoccabile. Spesso allo Zaccheria campeggiava uno striscione con la scritta “Zeman Sindaco”. Oggi ci farebbe comodo certamente un primo cittadino carismatico e innovatore come lui.     

Un momento molto commovente fu quello dell’addio del boemo a Foggia. L’uomo di ghiaccio alla fine della partita interna contro il Napoli  si diresse verso la curva sud dello Zaccheria, con la sua andatura lenta. Una ventina di passi, poi un saluto con le braccia al vento. Pochi secondi, già tanti per un uomo imperturbabile e all’apparenza freddo e distaccato. All’applauso dei tifosi foggiani che per anni hanno inneggiato a lui come un autentico idolo, Zeman non resistette e fece marcia indietro dirigendosi verso il tunnel dello spogliatoio, con il cuore in tumulto fino alle lacrime.

In sala stampa il mister disse poi di essere rammaricato di non aver raggiunto il traguardo Uefa per un soffio. “Volevo regalare ai tifosi rossoneri questa grande soddisfazione, ma non è stato possibile. A Foggia ho potuto lavorare in tranquillità. Sono stato benissimo.  Mi sono tolto molte soddisfazioni. I momenti più belli alla guida del Foggia sono stati sicuramente la promozione in serie A e la vittoria contro la Juve dello scorso anno.”

I meriti di Zeman nel ciclo magico foggiano non riguardarono solo i risultati o le singole imprese, ma soprattutto il fatto di aver diffuso una mentalità vincente. Il pressing asfissiante, le improvvise accelerazioni, le immediate verticalizzazioni, le geometrie ad alta velocità sono state sempre sinonimo di grande spettacolo su tutti i campi d’Italia. Sia che gli interpreti dei suoi schemi si chiamassero Signori, Baiano, Rambaudi o Shalimov che Bresciani, Cappellini o Mandelli. La prevalenza degli schemi sugli uomini e la grande coerenza, ai confini con la presunzione, sono state le carte vincenti e le novità assolute portate da Zeman. La   valanga di elogi arrivati da ogni parte d’Italia erano sminuiti dal boemo e ribaltati su tutti i suoi collaboratori, dal  secondo Cangelosi, al preparatore atletico Danza, al direttore sportivo Pavone, al massaggiatore Rabbaglietti, e naturalmente ai fratelli Aniello e Pasquale Casillo.

foto di Franco Cautillo