Foggia olimpica: la scherma affonda in Capitanata

Foggia a cinque cerchi. Non è una contraddizione, ma la storia che si ripete. Luigi Samele e Martina Criscio saranno due degli schermidori, che rappresenteranno l’Italia alle prossime Olimpiadi di Tokyo 2020. Un motivo d’orgoglio per tutta la Capitanata, l’ennesimo, ma non per questo banale e scontato. Una sana abitudine dettata principalmente dalle grandi pagine di un racconto infinito e ricco di grandi protagonisti. Dall’indimenticabile Paolo Curcetti, primo atleta foggiano a partecipare alle Olimpiadi (Roma 1960) a suo fratello Gaetano presente a quelle di Monaco 1972. Due testimoni di una leggenda sportiva tempestata da grandi protagonisti. Un viaggio che si perde nei decenni e che ha trovato nel pugilato un appiglio motivazionale, anche per lo stesso Samele.

“Lo sport —afferma l’azzurro a Fanpage— va preso come divertimento. Questa è la prima cosa. Io ho avuto tanti, troppi, amici nella scherma che erano dei fenomeni ma per le eccessive aspettative personali e della famiglia non hanno imparato a perdere e nello sport, più che festeggiare una vittoria, bisogna capire come recuperare da una sconfitta. A meno che tu non sei la Vezzali o Valentino Rossi, o altri super campioni che fortunatamente per loro sono stati più sul podio che ad inseguire, la statistica ti dice che devi imparare a prendere i pugni. Questo l’ho imparato leggendo anche cose sul pugilato: bisogna menare ma bisogna apprendere anche come incassare”.

Imparare a subire i colpi. Questo è il più grande insegnamento che possa donare lo sport. Un approccio alla vita, ancor prima che ad una gara. Anche il campione foggiano ha dovuto affrontare momenti difficili. Tanto da arrivare ad una conclusione spiazzante: smettere. Su questo tema ha aggiunto.

“A mio parere, spesso e volentieri scatta la noia. Quando fai uno sport individuale, la componente psicologica è importantissima perché non hai appigli reali. Puoi cercare scuse, ma non ti portano da nessuna parte. È tutto in mano a te e quando subentrano la noia e la routine, ti chiedi se stai facendo la cosa giusta. In quel momento ti fai delle domande e cerchi delle risposte, a reinventarti. Io, ad esempio, ho deciso di cambiare allenatore e città, per la seconda volta, in un periodo della mia carriera che mi sentivo fermo”.

Uno stallo emotivo in contraddizione con quanto già fatto e vissuto nella propria vita: quotidiana e sportiva. Un momentaneo di stop dalle possibilità nascoste: quelle di migliorare se stessi. Un obiettivo persistente in ogni persona a maggior ragione nell’atleta. Su questo tema Martina Criscio ha commentato: “ Le difficoltà — afferma in un’ intervista a “dea – donne che ammiro”— sono parecchie. Avvolte ricapitano anche le stesse dopo un periodo. Quindi pensi agli allenamenti fatti tutti i giorni e ai sacrifici. Poi magari fai le prime gare, non arriva il risultato e ti demoralizzi. Però credo che lì sia il contesto e le persone che sono intorno. 

Chi lavora con te deve darti sostegno e infondere quella fiducia quando la tua viene un po’ meno. Il mio maestro è praticamente di famiglia. Perché mi ha preso a nove anni ed ora ne ho ventisette. Lui mi ha aiutato parecchio in qualsiasi tipo di situazione anche a livello personale. Se non si sta bene ne risenti nello sport. Perché credo che sia la manifestazione di quello che si è. Devo dire che è sempre riuscito a darmi forza per tirare avanti e farmi sempre riaccendere quella fiamma che arde dentro di me. A lui devo tantissimo.”

Inseguire sempre se stessi. Questa è la vera sfida di ogni atleta. Andare oltre i propri limiti e tentare di afferrare qualcosa dall’odore metallico: una medaglia. Allora quale migliore occasione se non le Olimpiadi di Tokyo 2020. Un appunto per un’altra pagina di storia già scritta. In attesa di un finale ancora tutto da scoprire.