Israeliani e palestinesi: il dialogo è possibile?

Abbiamo affrontato con Gadi Polacco, imprenditore, già Consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e come ama definirsi, un “liberale della comunità ebraica livornese”, il difficile argomento della possibile ripresa del processo di pace tra israeliani e palestinesi, all’indomani dei recenti lanci missilistici partiti da Gaza e che hanno determinato la reazione israeliana (leggi anche l’articolo /intervista con il prof. Maurizio Vernassa  https://www.miticochannel.com/2021/06/01/la-geo-politica-del-conflitto-israelo-palestinese/ n.d.r.) e a cui ha fatto seguito un cessate il fuoco che fortunatamente sembra reggere nonostante le difficoltà che le due parti manifestano a trovare un più ampio accordo di pace.

Quali sono a suo avviso i principali ostacoli ad una reale iniziativa di pace in Palestina?

In questa materia si ragiona spesso per slogan: “Due popoli, due Stati” è uno di questi, ed è stato utilizzato da tutti, anche dai Governi israeliani. In questo momento storico questa visione del problema è superata o quanto meno necessita di una ridefinizione dei termini dell’accordo.

Due a mio avviso sono i problemi che occorre risolvere prioritariamente ed entrambi riguardano il versante palestinese.

Innanzitutto occorre considerare che per avviare un tavolo di negoziato occorre avere una controparte legittimata a questo ruolo e in questo momento, anzi da anni, quella palestinese è divisa in più entità, Hamas e Al Fatah sono le principali (Hamas è una organizzazione politica e paramilitare, islamista, sunnita e fondamentalista; Al Fatah laica e politicamente di sinistra e ha guidato il popolo palestinese per quasi cinquant’anni n.d.r.) e vi sono altre fazioni riconducibili più o meno direttamente a vari sostenitori/manovratori quali Hezbollah, Al Qaida, ecc.. Ognuna di queste entità politiche va per conto proprio ed è in netto contrasto con l’altra. Peraltro la dicitura ufficiale che dovrebbe essere utilizzata per indicare quella che giornalisticamente viene indicata come “Palestina”, sarebbe Territori dell’Autorità Palestinese, divisi tra Gaza e Cisgiordania.

Come in tante altre occasioni, anche in queste settimane abbiamo assistito ad un copione già andato in scena negli ultimi anni: gli scontri armati, che questa volta hanno visto un intenso lancio di razzi dall’una e dall’altra parte, le pressioni internazionali che arrivano alimentate dall’aspetto umanitario inerente la situazione che viene vissuta a Gaza, il conseguente cessate il fuoco che dura per un certo tempo, e poi si ritorna allo scontro armato, alla prima scintilla. Per arrivare ad un accordo o quantomeno per avviare una seria trattativa di pace occorre, per Israele, individuare una controparte legittimata a svolgere questo ruolo. Dal 2006 ad oggi sul versante palestinese non ci sono più state elezioni, anche se per noi occidentali risulta difficile chiamare con questo nome quelle che si sono svolte nei Territori dell’Autorità Palestinese in passato. Di questo aspetto sulla stampa internazionale e nelle valutazioni politiche che si fanno della situazione, non si tiene conto. Sul versante israeliano il governo è invece l’espressione di un voto democratico.

Le elezioni palestinesi previste per lo scorso 22 maggio sono state annullate poche settimane prima del voto e forse, secondo alcuni analisti, anche il riaccendersi del conflitto armato con Israele potrebbe avere una correlazione con questa decisione. Hamas veniva indicato come possibile vincitore della tornata elettorale e qualora questa previsione si fosse concretizzata, come avrebbe inciso questa eventuale vittoria nei rapporti con Israele?

Questa è infatti l’altra grande questione, anzi, a mio avviso, la più importante.

Nello statuto fondante di Hamas, è scritto che tra gli obiettivi di questo gruppo paramilitare, c’è quello di annientare non lo Stato di Israele, bensì gli ebrei, elemento questo che tradisce un fondamentalismo religioso che sfocia nel razzismo e nell’antisemitismo. Richiama i vecchi slogan del ‘48. In una prospettiva di trattative, questo rende le cose notevolmente più difficili, se non addirittura costituisce una preclusione totale a possibili trattative di pace. La grande differenza tra le due parti è che da un lato abbiamo un popolo libero, che elegge democraticamente i suoi rappresentanti, possono piacere o meno, ma sono comunque l’espressione di un voto, e dall’altra abbiamo una parte che è in mano ad un gruppo che a livello internazionale è riconosciuto come terroristico.

Come si può uscire a suo avviso da questa situazione che appare bloccata dal ruolo che Hamas ha assunto a Gaza e non solo?

Il popolo palestinese, mi riferisco ai civili e non certo ai terroristi di Hamas e all’apparato militare, non è realmente libero. Non hanno riconosciuti i propri diritti politici e civili e vivono in una situazione di dittatura, sotto un regime che ha creato problematiche non indifferenti anche per le comunità che professano altre fedi e non solo nei confronti di quella ebraica. Io da amico di Israele dico da anni a quelle persone che dichiarano di volersi occupare dei palestinesi, “occupatevene veramente”, nel senso di favorirne la crescita democratica interna.

Non ho problemi a dichiarare e sottoscrivere che le maggiori vittime di questa situazione sono i palestinesi, i civili palestinesi, che di fatto sono ostaggi di un regime che, come ho già detto prima, non ha una minima forma di democrazia.

Ritiene possibile che in questo momento storico possa essere avviato un processo di questo tipo?

Non è facile. Forse il momento storico più propenso poteva essere 30 anni fa quando si erano provate delle forme di dialogo tra le parti. Invito a leggere le memorie di Clinton sulla grande delusione provata sul mancato accordo seguito ai Trattati di Camp David (11/24 luglio 2000). In quella occasione venivano accolte la maggior parte delle richieste palestinesi, Clinton dichiara fossero state inserite nel Trattato il 97% del totale di quelle avanzate dalla parte palestinese, ribaltando il canovaccio secondo il quale, dopo ogni guerra, è la parte più debole a pagare il prezzo più salato. Ricordiamo che Ehud Barak, in seguito alle pressioni del presidente Bill Clinton, offrì a Yāsser Arafāt uno Stato palestinese nella Cisgiordania e nella Striscia di Gaza con capitale Gerusalemme est, il ritorno di un limitato numero di profughi e un indennizzo per gli altri. Con una mossa estremamente criticata, Arafāt rifiutò l’offerta di Barak senza peraltro presentare delle controproposte.

Esistono oggi però segnali che sembrerebbero essere favorevoli per un avvio delle trattative. Mi riferisco ad alcuni articoli apparsi sulla stampa araba che hanno riconosciuto il diritto di Israele a rispondere al lancio di razzi provenienti da Gaza, posizione mai assunta negli anni passati. Molti Paesi arabi stanno cercando di rivedere la propria posizione nei confronti di Israele, con il quale peraltro hanno intensificato gli accordi economici (l’anno scorso, i cosiddetti accordi di Abramo, mediati dal presidente Trump, hanno visto Israele normalizzare i legami con il Bahrein e con gli Emirati Arabi Uniti. Israele ha successivamente normalizzato i rapporti con il Marocco e ha raggiunto un accordo diplomatico con il Sudan n.d.r.). Le vicende iraniane che costituiscono un pericolo per tutta l’area mediorientale, stanno ridisegnando il fronte politico interno al mondo arabo e ne favoriscono delle aperture verso l’occidente, Israele inclusa, che fino a pochi anni fa erano impensabili. Di fatto il problema palestinese, detto in modo sicuramente cinico, sembra essere un pò sorpassato anche nel campo arabo che lo ha sempre tenuto acceso a condizione che la situazione rimasse quasi congelata.

Una trattativa di pace ma senza Hamas,

E’ il mio pensiero. Se non si fa evolvere il popolo palestinese verso una forma di auto-determinazione democratica, non potrà esserci un valido interlocutore per Israele. Essere amici di Israele non vuol dire essere anti palestinese, lo ribadisco. Mi auguro per il popolo palestinese una reale liberazione da Hamas che consenta di potersi sedere ad un tavolo di trattative con Israele quando ci sarà la reale volontà di risolvere il problema. Senza questa pre-condizione la situazione purtroppo continua ad essere bloccata.