La solitudine dei numeri uno

Fra tutti i ruoli nel calcio, il più difficile e il più affascinante è sicuramente quello del portiere. L’uomo che passa metà della partita solo nella sua area a guardare i compagni giocare, impotente, si vinca o si perda, rispetto alle sorti della partita giocata dai suoi colleghi nella metà campo avversaria. Solo con se stesso, lì a pensare, cercando di non perdere mai la carica giusta, la concentrazione per tornare protagonista in azione al primo capovolgimento di fronte. Un ruolo infame che non ammette errori. Tutti in campo possono sbagliare e non importa, ci sta, puó succedere. L’attaccante puó fallire un’occasione, senza per questo compromettere irreparabilmente l’esito della partita. Se dopo farà gol tutto sarà dimenticato. Il portiere no, non puó sbagliare, perchè l’errore di un portiere vuol dire, quasi sempre, gol per l’avversario, e un gol preso spesso è inappellabile, tanto da determinare vincitori e vinti. Poi puoi fare anche miracoli fra i pali, ma sarai ricordato solo per quello, per quella rete presa in malo modo, magari l’unico sbaglio, l’unica incertezza, ma che ti macchia irreparabilmente. 

Chi scrive sa bene cosa vuol dire indossare la maglia numero uno perché il portiere l’ha fatto per trent’anni nei tornei minori, senza che questo gli abbia però risparmiato amarezze nei momenti più bui, quelli che, presto o tardi, arrivano a tutti coloro che hanno giocato al calcio in un campetto di terza categoria come nei palcoscenici prestigiosi degli stadi metropolitani più acclamati. Così il momento buio è arrivato anche per un ragazzo che fra i pali, solo un anno fa, ha dimostrato di valere la fiducia di tecnico, società e tifosi. Davide Di Stasio, foggiano d’adozione, secondo portiere dell’undici di Marchionni, sta vivendo un periodo difficile della sua carriera e non per colpa sua. Tre prestazioni sottotono contro Avellino, Juve Stabia e Catania, e nove gol al passivo, lo hanno messo sul banco degli imputati senza che alcuno abbia sottolineato le sue attenuanti. Molto tifosi (forse troppi) lo hanno messo all’indice quale unico responsabile del declino di risultati che hanno relegato il Foggia al nono posto finale in classifica. Anche la stampa e le tv locali non ci sono andate tenere. Tutto questo clamore, questa giubilazione pubblica, avrebbe annichilito chiunque, figuriamoci un ragazzo di 19 anni che quel ruolo se lo sente cucito addosso e per il quale ha fatto e continua a fare enormi sacrifici. Come si può giocare serenamente a quell’età, e con tanta responsabilità sulle spalle, quando si sa di avere gli occhi inquisitori puntati addosso in ogni momento, pronti a giudicare ogni tuo gesto, ogni tuo respiro? È impossibile, anche per chi avesse un carattere d’acciaio. 

Allora credo sia giunto il momento di raccontare quello che è successo al giovane Di Stasio in questa stagione, perchè la gente capisca che nulla accade per caso, che certe prestazioni non sono casuali ma hanno una loro spiegazione, qualcosa che nessuno ha saputo o ha voluto approfondire.

Già durante la preparazione a Davide subisce la lussazione della spalla, che lo tormenta fino ad ottobre, quando si aggrava costringendolo all’immobilità. Non un infortunio qualsiasi, ma forse il più invalidante per un portiere: la lussazione della spalla, un incidente che ha costretto molti a saltare addirittura un’intera stagione. Davide tuttavia non si è  perso d’animo. Ha preso in mano l’iniziativa e si è fatto operare con urgenza, non poteva e non doveva perdere tempo. Sono seguite lunghe settimane d’immobilizzazione e solo a febbraio è arrivato l’ok per riaggregarsi ai compagni. Ma non ha fatto in tempo a mettere i piedi tra i pali ed indossare i guanti in allenamenti che Fumagalli si è fatto espellere e così, a pochissime settimane dall’intervento, a Di Stasio è stato chiesto di scendere in campo contro l’Avellino. Davide è un ragazzo, nel suo cuore sapeva di non essere pronto, che non lo sarebbe nemmeno stato dopo un mese, ma è disciplinato e ha diligentemente obbedito alla chiamata, con grande coraggio, per mettersi a servizio della sua squadra. Ad Avellino comincia alla grande, ma è innegabile che è fuori condizione, non si allena da quattro mesi, la spalla è ancora dolorante e non è a posto. Si concretizza una durissima sconfitta ed una prova incerta. Piovono le prime critiche, alcune senza alcuna pietà o comprensione. Torna Fumagalli e il ragazzo tira un sospiro di sollievo perché può tornare a riprendere la preparazione, a rimettersi in forma perché vuole trovarsi pronto alla prima occasione. La sfortuna però continua a perseguitarlo. Arriva il covid, la febbre alta, la reclusione in casa in quarantena. Riprende gli allenamenti dopo un mese, deve ricominciare tutto d’accapo. Ma ancora una volta il fato si mette di mezzo. Il covid colpisce anche Fumagalli e a due giornate dalla fine, ancora lontano dalla forma ottimale, con poco più di un mese e mezzo di allenamenti veri (e nemmeno consecutivi) in una intera stagione, deve tornare in campo a Castellammare. Nel secondo tempo Marotta, implacabile e colpevolmente lasciato smarcato  solo in area, segna due gol di testa chiudendo sul 3-0 la gara. È allora che le critiche s’inaspriscono, senza alcuna indulgenza. Ancora una settimana di passione sui social, ancora nell’occhio del ciclone e non completamente ristabilito deve affrontare la difficile partita contro il Catania. Il resto è storia di ieri. La rimonta degli etnei è di nuovo imputata a Di Stasio e le critiche diventano addirittura feroci. 

Qualcuno ha scritto che avrebbe potuto rifiutarsi di giocare se non in condizione, altri hanno dato la colpa a chi lo ha messo in campo. In verità, evidentemente, non c’era scelta migliore, non c’era il “piano b”, e si è dovuto fare di necessità virtù chiedendo al ragazzo di giocare in qualsiasi condizione. Davide ha avuto la forza di non tirarsi indietro nonostante col Catania quella maglia pesasse come piombo. Sentire la diffidenza del tifo intorno non lo ha aiutato e non lo aiuterà di certo qualora fosse chiamato al Massimino a difendere la porta rossonera nel primo turno play off. Chi lo critica e lo ha criticato non vuole il suo bene e non vuole il bene del Foggia. Il vero Di Stasio lo abbiamo conosciuto l’anno scorso e abbiamo visto tutti di cosa è capace. Qualcuno ha la memoria corta. In coppa ha giocato contro Brindisi (suo il gran merito del passaggio di turno), Acireale e Vastogirardi, tre vittorie e un solo gol subito. In campionato ha sostituito Fumagalli a Gravina, poi col Cerignola e a Casarano per 45 minuti. Solo col Cerignola ha giocato tutta la partita in occasione di un importantissimo successo e una prestazione da incorniciare. A Gravina (i filmati sono ancora su Youtube) salva la porta più volte miracolosamente nonostante la sconfitta per 2-0 in inferiorità numerica. A Casarano esce imbattuto dopo il primo tempo. 

Questo il Di Stasio che ricordiamo, quello vero, un portiere che ha ancora tutta la vita davanti e che non sarà certo questo sfortunatissimo scorcio di carriera ad impedire di tornare protagonista acclamato fra i pali. Diamogli tempo e fiducia. Il calcio, come la vita, non perdona nulla ai vinti, e nello sport soprattutto, secondo meritocrazia, va avanti solo chi merita. Giudicare oggi Davide Di Stasio è sbagliato e non è giusto e, soprattutto, dovesse giocare a Catania, controproducente. Abbiamo bisogno di un portiere che scenda in campo con la testa sgombra da pensieri e consapevole di avere la fiducia e l’affetto della tifoseria. Davide lo merita, e questa fiducia, se gli sarà accordata, saprà ripagarla sul campo.

Francesco Bacchieri

One thought on “La solitudine dei numeri uno

  1. A parole chiediamo a gran voce di investire sui giovani, poi però non diamo loro il tempo di maturare. Di Stasio merita di essere rivisto quando avrà raggiunto un buono stato di forma. Solo allora potrà essere valutato per le sue reali qualità.

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