“Sinayayogo Boubakar, detto Biggie, ha il fisico imponente. Per questo lo chiamano così”.
Così scrive chi lo conosce, in un post dedicato alle lotte contro il caporalato che porta la firma della Confederazione Generale Italiana del Lavoro.
“È un giovane ragazzo maliano”, si legge, “è un bracciante che vive nel ghetto di Rignano, a Foggia. È uno che sogna un futuro migliore ed è anche uno di quelli che ha deciso di iscriversi al sindacato per provare a uscire dalla schiavitù del lavoro nero. Ieri notte, Biggie, è stato aggredito”.
Un suv ha affiancato la macchina sulla quale viaggiava con i suoi due compagni ed ha sparato. Lui è stato ferito al volto. Una minaccia ma anche una vendetta perché solo qualche giorno prima erano stati proprio gli abitanti del ghetto ad aiutare le forze dell’ordine a fermare un gruppo di criminali.
Un episodio abietto, vile e violento che riapre la dura, irrisolta ed insanabile piaga dello sfruttamento e del maltrattamento perpetrato ai danni dei fratelli africani impiegati nei campi del tavoliere per la raccolta del pomodoro e dei prodotti della filiera dell’agroalimentare di Capitanata.
L’oro rosso, come lo chiamano da queste parti, ha anche il colore del sangue versato dagli immigrati che arrivano da Mali, Nigeria, Costa D’Avorio, Guinea o Senegal, sfuggiti a guerra e torture e in cerca di futuro ma costretti a vivere in alloggi di fortuna, autovetture, sporche baracche, prive spesso delle necessarie condizioni igienico sanitarie.
Secondo uno degli ultimi report, stilati dall’associazione umanitaria del MEDU (i medici che operano in difesa dei diritti umani), i dati relativi allo sfruttamento dei lavoratori immigrati sono allarmanti e stanno raggiungendo livelli di estrema gravità.
Gli immigrati, in prevalenza africani, vivono al limite della schiavitù, in condizioni disumane, all’interno di baracche senza acqua né servizi igienici. Il Ghetto di Rignano Garganico, dove vive Biggie, ne è esempio emblematico perché in quell’accampamento di fortuna, situato alle porte di Foggia, nell’agro dell’Alto Tavoliere, con l’arrivo dell’estate, i fratelli africani offrono le proprie braccia per la raccolta del pomodoro.
Fatica, sangue e sudore per loro che vivono, peraltro, in un clima di grave discriminazione. Paghe da fame, irregolarità contributive, caporalato, a cui si aggiungono gli orari eccessivi di lavoro, la mancata tutela della sicurezza e della salute, le difficoltà nell’accesso alle cure.
Un rapporto frutto di testimonianze e dati raccolti con la pratica sanitaria ma anche un’indagine che può rappresentare un valido strumento per la comprensione del fenomeno a cui si aggiunge il clima violento e di discriminazione in cui vivono gli immigrati.
Dalle parti del ghetto, dove vive Biggie, c’è da quasi 10 anni un’associazione, si chiama Casa Sankara e prende il nome da Thomas Sankara, il politico e rivoluzionario del Burkina Faso, simbolo delle lotte per la emancipazione in Africa.
Una comunità che oggi ospita quasi 500 immigrati e che opera proprio vicino al Ghetto di Rignano, gestita dai migranti africani per aprire all’accoglienza e per dare supporto e affiancamento, finalizzato all’inserimento lavorativo e sociale degli stranieri in Italia. Un’associazione che è cresciuta negli anni e che, dal 2013 ad oggi, rappresenta un concreto segnale ed un’operosa risposta della comunità africana presente a Foggia per lanciare un messaggio di speranza contro sfruttamento, fame e povertà.
Abbiamo raggiunto telefonicamente il Presidente dell’associazione di Casa Sankara, Papa Latyr Faye (Hervè), che è anche mediatore interculturale nel progetto di inclusione sociale dei migranti.
Ci riporta l’episodio ignominioso di cui è stato vittima, due giorni fa, Sinayogo Boubakar, detto Biggie.
“Sono stato anche io bracciante e conosco la gravità delle condizioni in cui si è costretti a lavorare e a vivere qui, ora però siamo diventate vittime di un clima di odio inaccettabile dove gli esseri umani sono prede di altri esseri umani. Sembra quasi una caccia all’uomo”, aggiunge Hervè Faye, “questi episodi mi riportano a pensare ai genocidi dei nativi americani avvenuti con l’arrivo degli europei nelle Americhe, quando vennero sterminati milioni di popoli. Non è più tollerabile tutto questo”, sottolinea ancora, “con l’associazione stiamo portando avanti diversi progetti di inclusione ed abbiamo l’appoggio di Coldiretti e dei sindacati CGIL, CISL e UIL ma non basta”, dice ancora il presidente di Casa Sankara. “Non basta organizzare tante manifestazioni isolate, ognuno da sé. Per cambiare davvero le cose dobbiamo avere la possibilità, con i Sindacati che ci sostengono, di presenziare agli incontri con le istituzioni territoriali. Perché se siamo uniti siamo più forti”.
Così il Presidente dell’associazione per l’accoglienza ed il reinserimento dei migranti che lotta anche contro il fenomeno del Caporalato.
Casa Sankara promette di continuare questo percorso lungo e difficile che rimetta al centro la dignità ed i diritti degli immigrati, impegnandosi a portare avanti la battaglia più difficile da vincere: quella culturale.