Affidiamoci alla buona stella

Mercoledì 31 marzo la Camera e giovedì 1 aprile il Senato, hanno approvato le linee guida del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) affidando al Governo il compito di redigere il PNRR nella sua versione definitiva che dovrà tenere conto degli orientamenti contenuti nella Relazione delle Commissioni riunite Bilancio e Politiche UE e che sarà nuovamente comunicato alle Camere prima della sua trasmissione a Bruxelles così da assicurare il pieno coinvolgimento del Parlamento.

Ricordiamo che la UE aveva deliberato il pacchetto di misure economiche volte a stimolare la ripresa delle economie dei Paesi del Vecchio Continente colpite dalla crisi dovuta al Covid-19, nel corso del Consiglio straordinario europeo dello 21 luglio 2020, fissando tra l’altro il termine di fine aprile per la presentazione dei Piani di utilizzo dei fondi da parte dei singoli Paesi. 

L’esecutivo italiano, quello presieduto da Giuseppe Conte, aveva da subito dichiarato di voler inviare i propri progetti a Bruxelles molto prima della scadenza prevista, addirittura all’inizio del 2021 e infatti già nel mese di ottobre la V Commissione (Bilancio, Tesoro e Programmazione) aveva approvato e presentato alla Presidenza del Consiglio una relazione sulla “Individuazione delle priorità nell’utilizzo del Recovery Found” (vedi atti parlamentari documento XVI n. 4).

Tra mille difficoltà il governo Conte a metà gennaio 2021 ha inviato alla Commissione Europea una prima bozza del PNRR che è stata accolta con molto scetticismo a Bruxelles tant’è che  lo stesso Commissario europeo all’Economia, l’italiano Paolo Gentiloni ha dichiarato in quella occasione che  “…le autorità italiane sono coscienti della necessità di rafforzare la proposta che è stata presentata”, e ancora “abbiamo bisogno specialmente di due cose: la prima è avere messaggi chiari sulle riforme relative alle raccomandazioni specifiche per Paese comunicate dalla Commissione nel 2019, la seconda sono dettagli sul tempismo dei progetti …” in buona sostanza, traducendo dal politichese, Gentiloni faceva trapelare che la bozza presentata a gennaio non era certo motivo di vanto per l’Italia e che bisognava stilare un piano in linea con i dettami di Bruxelles, peraltro noti da tempo, e soprattutto credibile per qualità dei progetti presentati, modalità di controllo sui tempi e fasi di realizzazione e per le ricadute sulla economia del Paese e sull’occupazione. 

C’è poi stato a fine gennaio il colpo di scena con il quale Matteo Renzi ha deciso di mettere fine al secondo Governo Conte adducendo tra le cause della crisi che la bozza del Recovery Found presentata all’UE fosse inadeguata e auspicando il famoso “cambio di passo” da parte del governo subentrante nella formulazione del PNRR. Il rafforzamento del piano era infatti una delle priorità dichiarate dal nuovo presidente del Consiglio Mario Draghi e il 17 febbraio, durante il suo insediamento davanti al Senato,ha  dedicato una lunga parte del suo discorso ad esaminare questo aspetto affermando che il governo precedente aveva «già svolto una grande mole di lavoro», ed elencando tutta una serie di punti in cui il piano avrebbe dovuto essere «rafforzato» e migliorato. «Non basterà elencare progetti che si vogliono completare nei prossimi anni. Dovremo dire dove vogliamo arrivare nel 2026 e a cosa puntiamo per il 2030 e il 2050», aveva aggiunto Draghi.

Dal punto di vista dei contenuti, per ora le differenze tra il piano di Conte e quello di Draghi non sembrano molto marcate, anche a causa del poco tempo a disposizione. La bozza di PNRR che il governo Draghi ha consegnato al Parlamento, e che è stata votata ad inizio aprile, “… è ancora la bozza del governo precedente, con pochissimi ritocchi, usata per avere una base comune di lavoro …” ha spiegato in audizione il ministro delle Infrastrutture Enrico Giovannini.

Insomma siamo a poco più di venti giorni dal termine perentorio del 30 aprile per scrivere, approvare e  consegnare a Bruxelles il Piano che segnerà in maniera determinante il nostro destino economico a medio e lungo periodo. Pensare che a questo decisivo appuntamento si possa arrivare con una meditata, ponderata e condivisa visione strategica del futuro del nostro Paese è quantomeno difficile se non totalmente illusorio. 

Noi italiani, crediamo di saper dare il meglio di noi stessi solo quando siamo messi alle strette o ci troviamo di fronte a difficoltà che altri affronterebbero dopo attenta analisi e programmazione. Volendo fare un paragone con il mondo del calcio, noi siamo quelli del colpo di reni all’ultimo momento, che sanno trovare la giocata spettacolare e risolutoria quando ormai la partita sembra persa, del gol in zona cesarini. 

Eppure abbiamo perso europei e mondiali alla lotteria dei rigori, anche quando avremmo meritato di vincerla la partita per qualità di gioco espresso. Non sempre ci va bene, non sempre la fortuna ci arride e ci protegge.

L’italico stellone, che non per niente è parte del nostro stemma nazionale, ci guiderà anche questa volta? La partita, lo ribadisco è decisiva e a Bruxelles non sono disposti a fare sconti a nessuno anche perché gli altri Paesi ci guardano con sospetto e non sono disponibili a impegnarsi economicamente per il nostro rilancio se non a patto di precise garanzie. Il rischio è altissimo e qualora qualcosa andasse storto e non dovessimo ottenere i miliardi attesi e sperati, lo dico ora a futura memoria, non prendiamocela con l’Europa, cattiva e matrigna come sicuramente tanti politici avrebbero a rimarcare, scaricando ad altri responsabilità invece proprie, di una nostra classe politica, di maggioranza e di opposizione, una volta ancora non all’altezza del difficile momento storico che stiamo attraversando.